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credo potrà dubitare. Né deve recar meraviglia ch'esso sia rimasto nascosto per quattro secoli; sí perché il libro è stato per intero letto da pochissimi; sí perché, sopravvenuta la reazione alle audacie dell' umanesimo, e risuscitate da Martin Lutero le questioni teologiche, la dottrina d'Epicuro, fino ai nostri giorni che i risultati della scienza han richiamato su di essa l'attenzione dei filosofi, era talmente. ignota o mal nota, e ritenuta pazza e assurda, che ad essa non andava, neppur per caso, il pensiero. Ma per questo significato filosofico, spetta al nostro poema (ché sotto le forme di romanzo erotico, e quantunque scritto in prosa, è vero e proprio poema), un posto singolare nella storia dell' umanesimo. L'equilibrio dello spirito umano, rotto dopo la Divina Commedia pel risorgere della civiltà antica, si ristabilisce nel nostro poema sopra nuova base, e lo spirito del pensatore s'acquieta di nuovo nell'unità d'un sistema filosofico, disotterrato fra i ruderi dell'antichità! Avvolto ancora nelle forme medioevali dell'allegoria, al poema del Dio cristiano l'umanesimo contrappone il poema della dea Natura; a Beatrice Portinari guidante il poeta fiorentino alla visione del Dio Uno e Trino, Lucrezia Lelio veleggiante con Polifilo nella navicella d'amore alla visione della Dea madre: religiosa visione d'una verità ch'egli crede apparsa ai popoli primitivi, adombrata ne' misteri d'Eleusi, nel culto della Dea Siria, ne' geroglifici de' graniti egiziani, e che quindi circonda di solennità jeratica e di riti misteriosi.

La piú gran parte del pensiero moderno, dalle altezze paurose del misticismo, dalle profondità dell'anima tentate colla sonda della meditazione, alle scherme della ragione affilata come una spada, alle ribellioni della carne mortificata, alle audaci costruzioni del naturalismo e del panteismo, ha fermentato, coll' irrequictezza dell' anima aggirantesi sopra sé stessa ne' silenzi delle celle monastiche. Nulla di piú mirabile che vedere contemporaneamente da due celle dello stesso Ordine religioso uscire, col Savonarola e col Colonna, i due pensieri che segnano i due poli del mondo dello spirito, e scomunicarsi a vicenda : l'uno a nome della Fede, e l'altro della Natura. Scomunicarsi, associati, all'occhio sereno dello storico, nella santa attività dello spirito.

Confesso che, nonostante l'acrostico, e quantunque nessuno ne abbia mai dubitato, procedendo nel mio studio, m'era nato il dubbio che un qualche illustre umanista si nascondesse dietro la tonaca di frate Francesco. Né mi pareva che mancassero gravi ragioni da dubitarne.

Frequenti erano in quel tempo, sia nelle zuffe ringhiose, sia nel mutuo incensamento, le relazioni fra gli umanisti, tantoché i nomi, non pur de' maggiori ma de' mediocri, s'incontrano non raramente negli scritti di quell' età. Come mai di questo frate Colonna che, a giudicarne dal Polifilo, dovrebbe per la vastissima erudizione essere annoverato fra i primissimi, non solo non si conosce alcun altro scritto, ma neppure, per quel ch'io sappia, se n'incontra mai il nome? E ancora: quanto si era, in quell'età, indulgenti ne' costumi, altrettanto nelle dottrine si era feroci; e la storia annovera non pochi frati ribelli, ma inquieti, fuggiaschi, perseguitati come cani rabbiosi. Il frate ignoto che, al tempo del Sogno, era a Treviso, dove rimase per diciassette anni maestro de' novizi, che le monache eleg

gevano a loro procuratore, che per ventisei anni possiamo seguire nel convento de' domenicani a Venezia, dove moriva vecchissimo, può esser lui quel pozzo d'erudizione profana, l'autore d'un libro che, pur lasciando da parte la dottrina d'Epicuro, circonda di sacri riti Amore, Venere e il dio di Lampsaco? Tali insegnamenti dava ai novizi il maestro?

E se il frate teologo aveva interesse, com'è ben naturale, di nascondersi, non era forse un velo troppo trasparente l'acrostico? Il quale poteva ben essere uno scherzo, di cui la spiegazione non sarebbe difficile. I domenicani si erano costituiti tutori dell'integrità della fede; e posto che il nostro domenicano fosse noto per intollerante ferocia d'inquisitore, nulla di piú naturale che rispondere malignamente a chi chiedesse il nome dell'autore: è frate Francesco Colonna. Come chi oggi, d'un libro diretto a combattere l'autorità della Chiesa, ne facesse autore il Generale dei gesuiti.

Ma d'altra parte, c'è l'acrostico, c'è la nota contemporanea scritta, sia pure da un ignoto, sull'esemplare del Polifilo conservato presso i domenicani delle Zattere, che ne dice autore il Colonna, vivente ancora nel convento di San Giovanni e Paolo; e negli anni a cui si riferisce la storia di Lucrezia Lelio, lo troviamo realmente maestro de' novizi a Treviso dov'era vescovo Teodoro Lelio; onde non si tratterebbe d'un semplice scherzo, ma d' un disegno continuato per farne apparire autore il Colonna; il che veramente è poco

credibile.

Né il Colonna, che sopravvisse molti anni alla pubblicazione, avrebbe mancato di protestare, e se ne avrebbero tracce nella seconda edizione del 1545, che invece è una semplice ristampa della prima. Né credo facile, fra i noti umanisti, trovarne alcuno a cui poter attribuire il Polifilo.

Checché ne sia, certo è che un gran buio, studiosamente voluto, avvolge ancora lo strano libro; che è, a mio avviso, la maggiore opera fantastica, il solo poema (tali non possono dirsi i romanzi cavallereschi) del secolo decimoquinto; il libro che meglio riassume nella sua ultima espressione, le tendenze filosofiche, la passione dell'antichità, lo spirito sensuale, la dottrina copiosa e indigesta, il pedantismo pettoruto di quel periodo; il solo poema che, dalla Divina Commedia, abbracci in un sistema di filosofia l'universo.

Ed ora, ricerchiamo l'opera d'arte, nella lingua, nello stile, ne' vari elementi che la compongono.

(Continua)

D. GNOLI.

RECENSIONI

Conte EMILIO BUDAN. L'Amatore d'autografi. (Milano, Ulrico Hoepli, 1900, in 8, con 361 fac-simili. L. 4,50).

Con questo titolo è venuto testè alla luce un Manuale decorato da una dedicatoria all'A. R. del Principe di Napoli Vittorio Emanuele e da una prefazione di Salvatore Farina. Questa è una difesa sì de' collezionisti, sì degli autografi; la brevità spigliata e briosa della quale mi dispensa dal dire che non ce n'era punto bisogno. L'utilità delle collezioni, specialmente di documenti e autografi, e le benemerenze de' collettori sono ormai riconosciute da tutte le persone cólte del vecchio e del nuovo mondo.

Segue poi l'introduzione dell'autore, il quale cita una sentenza di Paolo Mantegazza a rincalzo della difesa di simili raccolte, fondata su uno degli odierni e principali suoi scopi: « Fino ad oggi si sono raccolti gli autografi come reliquie preziose di uomini grandi, mentre invece sono documenti umani che ci danno un ricco materiale per la psicologia. » Sono tra noi dello stesso avviso il Lombroso, il Ferri e il Ferriani, e di loro pregevoli scritti su questa importante materia hanno arricchito la nostra letteratura criminale.

Quali sono i fini che con questa compilazione il conte Budan si è proposto,

e quali i mezzi messi in opera per viemeglio conseguirli?

Sin dalla dedicatoria egli si affretta a dichiarare: « Io ho ritenuto (ci varremo spesso delle stesse sue parole sia per non apparire maligni o inesatti, sia per esilarare una materia piuttosto noiosa) di dover colmare una lacuna, pubblicando un libro di tutta freschezza e modernità.» Affrettiamoci anche noi a dichiarare che quel po' di buono che vi è in esso è una copia non sempre fedele e non di rado peggiorata di altre consimili compilazioni straniere e di vecchi cataloghi.

Nella introduzione e anche altrove ripete che ha voluto colmare un vuoto: << Mancava sinora un libro in cui l'amatore di autografi potesse trovare riunito tutto quanto l'interessa, perció, consegnando alle stampe il risultato dei (sic) studi fatti e della pratica acquistata in materia, spero di rendere un servigio ai collezionisti e da quelli che desiderano divenirlo (sic). » In piú luoghi millanta la pratica acquistata in materia e persino la creazione di un nuovo sistema (pag. 177) di classificazione degli autografi. Non è raro, specialmente in Italia, il caso di chi si mette a parlare, a scrivere e a stampare e magari a dettar lezioni ex professo di cose di cui non s'intende né per istudio né per esperienza. Beata la matematica, ch'è la sola scienza che va immune dalla piaga del dilettantismo, dilatantesi come can

crena nel corpo sociale. Senonché, neppure il titolo di dilettante può attribuirsi al buon Budan, apparendo manifesto dal principio alla fine di questa scompigliata, spropositata e ridicola compilazione, ch' egli si è occupato di tutto altro, che d'autografi, non sapendo nemmeno dove stiano di casa.

Se, com' egli stesso riconosce, per essere un buon raccoglitore d'autografi occorre intendersi di varie lingue, antiche e moderne, di paleografia, di storia, di biografia, di bibliografia, e possedere una non comune cultura generale ed enciclopedica, parrebbe che il corredo di queste cognizioni si dovesse richiedere maggiormente in chi pretende erigersi a maestro e duce degli stessi collettori.

Ora, basta leggere pochi periodi del libro del Budan per accorgersi che il pover'uomo.... è un grande enciclopedico! Lingue? - Vorrebbe far credere di sapere persino il greco e il latino; ma le poche parole che ne cita, lo tradiscono.

Togliamone qualche esempio dai Facsimili per confronti (vera accozzaglia di nomi antichi e rari con nomi moderni e comunissimi, anche di viventi, come se anche per questi ci fosse bisogno di ricorrere a confronti per accertarsi dell'autografia!), facsimili dei quali poi dà la riproduzione in caratteri tipografici, chiamandolo indice, in servigio dei collettori, supposti cosí ignoranti da non saper leggere nemmeno gli autografi odierni da essi posseduti.

Lasciando stare l'Amadeus del n.o 2, che nel facsimile apparisce Amedeus, come nel n.o 11 leggesi chiaramente Amed., è troppo grande lo svarione del n. 10 ove il princeps pedemontanus o pedemontium è convertito in princeps pedumonicum lautenente.

E sí che vorrebbe farsi credere molto versato nell' etimologia latina: e però scrive: «Facsimili (dal latino: fac-simile imita)! »

Né è meglio trattato il francese: nel n.o 82 il mieux possible del Talleyrand è mutato in mieux mossible e un ce in un a. E nel n.o 256 les tristes circumstances del Dreyfus è cangiato in circumtances.

Non avendo saputo decifrare alcune linee autografe di Napoleone il grande (n.o 417), se la cava dicendola in parentesi (chiusa d'una lettera diretta a Giuseppina sua moglie).

Ma, quel ch'è peggio, non pare abbastanza sicuro nemmeno nell' italiano. Nel n.o 62 La repubblica sola può far queste cose, scrive Mazzini, e il Budan legge questa cosa.

A Raffaello Sanzio (n.o 229) storpia un verso facendogli dire:

Per la vaghezza che abaglia di splendore,

mentre dal fac-simile appare scritto:

Per (o par) vaghezza abbaglia ogni splendore.

Nel n.o 104 pare errato anche il periodetto spezzato di Massimo d'Azeglio, che forse volea dire: sono accettato come volontario, non già ho accettato.

Ma queste sono quisquilie in confronto degli errori di lingua e di stile onde

sono ingemmati gli autografi del conte Budan; e sono tali e tanti da fornire la prova pienissima, che il proto non c'entra per nulla, e ch' ei non sa nemmeno la lingua del proprio paese.

Se vi dicessi ch'egli ha orecchi sí delicati da non sentire l'asprezza della s impura, voi non mi credereste. Ebbene, guardate a pag. 22 e troverete del studio, a pag. 163 e troverete del specialista, e qui e là ai studi, dei studi, dai scienziati, esser stato, bei autografi, e simili. E dire che si occupa con mirabile disinvoltura anche di musica e di musicisti!

Ricorrono spesso parole e frasi o di nuovo e brutto conio o infranciosate o improprie. Onde non di rado gli avviene di dire una cosa per un'altra, come in questo periodo:

<< Il secondo punto d'esame concerne la rarità: difatti il valore d'un autografo dipende in buona parte dalla sua frequenza. » Il senso porta che in cambio di valore si doveva dire deprezzamento, a prescindere dalla improprietà del vocabolo frequenza, come contrapposto a rarità.

Egli scrive con questo bel garbo:

« Felice Cavallotti, scrittore, commediografo e uomo politico è da piazzarsi fra i letterati. »

<< Ferdinando Martini.... sarà da mettere fra gli uomini politici. » Non conoscendo il valore di certi vocaboli, li adopera talvolta in modo da risultarne un controsenso o una ridicolaggine. Egli, p. es., dopo avere esagerato « l'imbarazzo in cui il collezionista si trovi dinanzi ad un nome che può benissimo essere assegnato a due o più riparti » aggiunge: « in questo frangente, decida, ecc. » non altrimenti che si trattasse di una gran lite da decidere, di un pericolo gravissimo da scongiurare.

A me è venuta spontanea una risata col ricordo de' versi del poeta:

Che far potea la sventurata e sola,

Sposa di Collatino, in quel frangente?

Nel caso che ha tanto commosso il conte Budan non si tratta di frangente, ma, tutt' al piú, dell'incertezza, in cui si trovava l'asino di Buridan, descritta da Dante.

Egli, ignaro come si dimostra d'ogni tecnologia, chiamerà reparti o riparti la divisione degli autografi in categorie o in classi; Letteratura degli autografi, letteratura dei fac-simili, letteratura dei ritratti, in vece di Bibliografia delle loro collezioni, o delle pubblicazioni in cui sono inseriti 1).

1) Eccone qualche altro esempio:

Generalizzatosi (?) l'amore alle raccolte d'autografi, attribuisce agli antiquari la prima pubblicazione dei loro cataloghi, accompagnandoli (sic) coi relativi prezzi.

Definisce il Catalogo alfabetico • un libro grosso secondo i casi, munito di registro alfabetico. >> E il catalogo sistematico solo se fatto a schede sarà eterno, pratico e perfetto. » Il catalogo dei doppi sarà utile, sebbene giá « secondaria introduzione. >>

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