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gentildonna avrà potuto dar tutte di suo, alcune di tali acconciature son eleganti, altre bizzarre, altre sembrano fin quasi impossibili: ma che fossero usitate non potrebbe forse negarsi. Il tempo nel quale visse l'artista che, incise, le pubblicò, le riporta alla seconda metà del secolo xvi; e allora siffatte acconciature, che volevano lungo lavoro e non facile, saranno state per le feste, i balli, i conviti: le usuali dovettero essere piú semplici d'assai, come semplicissime si vedono quelle molto più antiche nelle figure muliebri in miniatura nell'esemplare laurenziano (plut. XL cod. 52) del secolo xiv dell'Acerba di Cecco d'Ascoli. Se non che quanto camino si fosse fatto già nel seguente secolo in quest' arte dell'acconciature, e come di esse le bizzarrie delineate da Giovanni Guerra fossero cosa non molto lontana dal vero, impariamo da un predicatore popolarissimo, poi santo, che sulla piazza a piè della torre del palazzo del comune, nel 1427, rimproverava: «O donna, pon mente al mio dire. Del tuo capo tu n'hai fatto un iddio; e cosí ne fai tu, madre, del capo de la tua figliuola; tu non pensi più là: sempre la studi, e talvolta » (mel perdonino i lettori, e perdonino anche al buon fraticello) « è piena di lendini!»: e delle acconciature prosegue a dire (accennando ancora ai capelli dei morti e ai crini dei cavalli portati in capo dalle donne) chiamandone le fogge varie con nomi di scherno: « Egli mi pare vedere ne' capi vostri tanta vanità che mi pare un orrore: chi'l porta a merli, chi a'càssari, chi a torri trasportate in fuore, come questa torre. Io vego i merli dove si rizzano le bandiere del diavolo; e tali hanno le balestriere atte a poter percuotere altrui, e cosí da essere percossi; dove si fa sempre battaglia, come se fusse una de le vostre terre, la quale fusse combattuta. So anco di quelle che hanno più capi che 'l diavolo; ogni dì rimutano un capo di nuovo, e ci è tale che n'ha anco più; che di quello ch'io mi ricordo da quindici anni in qua, tanti modi, tante forge, ch'io trasecolo! Io vego tale che porta il capo a trippa, chi il porta a frittella, chi a taglieri, chi a frappole, chi l'avviluppa in su, chi in giú »'). Alle quali descrizioni del santo possono ravvicinarsi le altre accompagnate da figure sincrone raccolte, per l'antichità, dal Manoni 2), per la Francia moderna, dal D'Èze e Marcel3), dalla contessa di Villermont'), e dal con

1) Le Prediche volgari di S. BERNARDINO DA SIENA dette nella Piazza del Campo l'anno 1427 ora primamente edite da LUCIANO BANCHI. (Siena, tip. editrice San Bernardino, 1880-1888, volumi 3), III, pagine 206, 209.

2) MANONI (A.), Il Costume e l'arte delle acconciature nell'antichità. Milano, Hoepli, 1895.

3) D'ÈZE e MARCEL (A.), Histoire de la Coiffure des femmes en France. Paris, Ollendorff, 1886. 4) DE VILLERMONT (Comtesse Marie), Histoire de la Coiffure femminine. Bruxelles, Ad. Mertens, imprimeur-éditeur, Rue d'Or 14, 1891.

fronto, avremo argomento per credere non imaginarie queste italiane incise da Giovanni Guerra sulla fine del cinquecento.

Fu Giovanni il piú noto di due altri fratelli anch'essi artisti: Gaspero, intagliatore in legno, architetto della chiesa e di parte del convento di Sant'Andrea delle Fratte in Roma; Giovanni Battista, Filippino alla Chiesa Nuova di Roma, ove diresse i lavori, alcuni su disegni propri. Giovanni (diverso da un Giovanni Guerra bolognese, plastico) nacque in Modena nel 1544: e presto, come i fratelli, trasferissi a Roma dove molto, nel pontificato di Sisto V, lavorò; di pittura, quasi sempre in compagnia d'altri, la tribuna sopra l'altare della chiesa della Rotonda, la facciata di San Giacomo a Scossacavalli, di San Niccolò ai Cesarini; d'architettura, la Scala santa, e in patria, la chiesa della Beata Vergine del Paradiso, l'altra della Madonna delle Asse, dei canonaci lateranensi'); d'incisione, un numero grande di composizioni tratte dalla Scrittura, dalle storie greca e romana, le carte nell'opera del Fontana sul trasporto della guglia di San Pietro, un'altra carta detta il Paradiso mistico; disegnò i rami, che il Tempestino incise, per l'opera del Galloni su' tormenti de' martiri, e disegnate e incise da lui, le Acconciature delle quali abbiamo qui tenuto parola 2). Di queste scrive il Gori3) che furono quaranta incisioni: onde, se in quel numero non deve contarsi il frontespizio, una ne mancherebbe nell'esemplare di cui discorriamo, senza che sappiamo qual sia, poiché quello storico degli incisori, solo a farne ricordo, non le descrive. L'esemplare che n'abbiamo sott' occhio appartenne a nobil famiglia pisana, come ci dice, incollato nella faccia interna del cartone anteriore, un ex libris che è un'incisione d'uno stemma gentilizio, nobiliare, che ha lo scudo spaccato, sopra rosso sotto bianco, e nel bianco tre foglie di vite in triangolo, due sotto e una sopra, portando scritto sotto «Stemma Nob: Fam: Patriciae Pisanae | Del Testa De Tignoso » e, a mano, sotto il frontespizio « Del C. A. del Testa » : al quale esemplare pochi compagni si darebbero, dacché non lo registra il

1) Due disegni del Guerra, « parte di una facciata di una chiesa a due ordini » sono nella Galleria degli Uffizi: cfr., a pagina 26, l'Indice geografico analitico dei disegni di Architettura civile e militare esistenti nella R. Galleria degli Uffizi in Firenze (Ministero della Pubblica Istruzione, Indici e Cataloghi. III) compilato da NERINO FERRI. Roma 1885.

2) Cfr. GIROLAMO TIRABOSCHI, Notizie de' Pittori, Scultori, Incisori e Architetti natii degli Stati del Serenissimo Signor Duca di Modena, con una Appendice de' Professori di musica. Modena, 1786. G. CAMPORI, Gli Artisti italiani e stranieri negli Stati estensi. Catalogo storico corredato di documenti inediti. Modena, 1855.

3) Notizie Istoriche degl' Intagliatori. Opera di GIO. GORI GANDELLINI SANESE (Presso Vincenzo Pazzini Carli e Figli, Siena 1771, tomi 3 in-8), II, pag. 124. Nella Allgemeine Encyklopädie der Wissenschaften und Künste (Leipzig, Brockhaus, 1877): Guerra radirte auch 48 Blätter unter dem Titel: Varie Acconciature di teste usate da nobilissime dame in diverse città d'Italia. »

Catalogo') della ricchissima collezione di stampe appartenute a Leopoldo Cicognara.

Se le Acconciature di Giovanni Guerra non sono splendida opera d'incisore, se fanno incerta testimonianza per la storia del costume 2), questo non toglie che di esse la raccolta, quale l'abbiamo descritta, sia libro rarissimo. La piú parte delle figure, come si vede in quella che per saggio è riprodotta, sono sottoscritte nel centro della cartella inferiore, sotto l'epiteto attribuito alla gentildonna rappresentata, dove si vedono due G (le iniziali di Giovanni Guerra) legate in monogramma; mancano di questa sigla, e quindi possono aversi come incisioni avanti lettera, la Venetiana, la Romana, la Viterbese, la Spoletina, la Fulginata, la Gaetana, la Veronesa, la Piacentina, la Tivolesa, la Vicentina, la Urbinata, la Piamontese, la Sabinese, la Lodegiana, la Perugina, la Udinese e la Bergamasca. E poiché il saggio dato rappresenta, secondo il Guerra, l'acconciatura delle fiorentine nella seconda metà del secolo xvi, diremo che queste e le altre toscane avevano avuto, nei tempi passati, da portare sulla testa, Cerchielli e Corone, di tessuti e di metalli, Frontali, Frenelli, Intrecciatoi: i quali, venuti in uso o dal desiderio d'adornarsi o dal bisogno di tener fermi e ravviati i capelli, diventarono ben presto cose di lusso e molti divieti ebbero o provvisioni che ne limitavano la spesa negli Statuti medievali dei nostri Comuni. Piú alla storia delle vesti che all' adornamento della testa, appartiene un curioso ricordo lasciatoci dal cronista Donato Velluti d'una monna Diana fiorentina del Trecento; la quale (forse fu usanza sua, non di tutte) << portava molto in capo: intanto che essendo una volta al palagio vecchio de' Rossi, dirimpetto a Santa Filicita, ove oggi è l'albergo, e cadendo d'in sul palagio una grande pietra, e cadendole in capo, non la sentì, se non come fosse stata polvere venuta giú per razolire di polli: onde ella, sentendosi, disse: Chisci, chisci; e altro male non le fece, per cagione de' molti panni ch'avea in capo. » 3) C. MAZZI.

1) Le premier Siècle de la Calcographie ou Catalogue raisonné des Estampes du cabinet de feu M. le comte Léopold Cicognara avec une Appendice sur les nielles du même cabinet. Ecole d'Italie par ALEXANDRE ZANETTI. Venise, Joseph Antonelli imprimeur-libraire, 1837.

2) Non sarà inutile richiamare qui nella erudita memoria di A. Luzio e R. RENIER, Il lusso d'Isabella d'Este i capitoli VII e VIII, « Accessori e segreti della toilette » (Nuova Antologia, Serie quarta, LXV, 20).

3) Cfr. a pag. 36 La Donna Fiorentina nei primi secoli del Comune, monografia di I. DEL LUNGO (Estr. dalla Rassegna Nazionale, vol. XXXV [1887]).

D'UN PREGEVOLE CODICE

DELLA COSMOGRAFIA DI TOLOMEO

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ENCHÉ, come documento storico, l'esemplare della Cosmografia di Tolomeo, del quale ci occupiamo, non ci dia quasi nulla piú di quanto ci viene generalmente dato dalla piú parte de' Mss. che di tale opera si conservano nelle Biblioteche, è tuttavia prezzo dell'opera discorrerne e richiamare su di esso l'attenzione degli studiosi, sia perché - com'è noto dei codici di Tolomeo non è ragguardevole il numero, sia perché si tratta d'un esemplare di estrema eleganza e finitezza, notevole per alcune particolarità, che vanno messe nel debito rilievo.

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Il testo è quello della ben nota versione latina, che dell'opera di Tolomeo (fatta venir di Grecia in Italia da Palla Strozzi') nei primi anni del xv secolo) procurò per ordine di papa Alessandro V il dotto discepolo del Crisolora e Segretario Apostolico Jacopo Angiolo o d'Angiolo della Scarperia (nel Mugello): la quale versione sarebbe ozioso ricordare quanto potentemente abbia influito sul concetto scientifico, che del mondo s'erano formato gli scienziati del medio-evo.

Si sa che Jacopo fece solo la traduzione del testo, non curandosi delle carte, rifatte probabilmente nel v secolo dall' alessandrino Agatodemone, insieme con quello stesso pervenute dall'oriente per cura dello Strozzi, e poi copiate da Francesco di Lapacino e da Domenico di Leonardo Buoninsegni, che ai termini greci vi sostituirono quelli latini: e tali carte infatti non furono riprodotte nella prima rarissima edizione della Cosmografia in latino di Tolomeo, cioè in quella di Vicenza (« ab Hermano Leuilapide Coloniensi accuratissime impressa » 1475:

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1) Cfr. ad es. Mehus, Vit. Ambr. Trav. I, 360, dove da una biografia di Palla Strozzi è riferito che « Messer Palla mandò in Grecia per infiniti volumi tutti alle sua ispese. La Cosmografia di Tolomeo colla pittura fece venire infino da Costantinopoli.... >> ecc.

Hain *13536), e non s'introdussero nel testo che nell'edizione del 1478, di Roma, incise in rame da Arnoldo Buckink (« .... geographiam Arnoldus Buckinck e Germania Rome tabulis aeneis in picturis formatam impressit »), e piú tardi in legno da Nicola Donis e da Gio. Schnitzer de Arnsheim (de Arnissheim) per l'edizione del 1482. Analogamente nel nostro codice, che appartiene alla metà circa del secolo, il quale ne vide la prima impressione a stampa, e non può esser molto lontano dagli anni in cui Jacopo eseguiva la versione, sono omesse le tavole, senza pregiudizio però del testo, che è integro, e dà anche le illustrazioni che ad ogni tavola si riferirebbero.

Ma è tempo che diciamo piú particolarmente di questo codice. È esso un volume cartaceo, della prima metà del secolo xv, di cc. 173 numerate verso la fine del secolo XVI (0,198 X 0,290), distinte in quinterni 17 di IO carte ciascuno coi richiami nell'ultima carta, oltre ad un duerno in fine, nel quale però manca l'ultima carta bianca. La carta di cui consta sarebbe quella levigata, lucida, consistente, che si suol ancora chiamare bombycina o bambagina. La rilegatura, de' secoli XVI-VII circa, consta di tavole in legno ricoperte di cuoio, che fu già ornato di ampie e ricchissime inquadrature o cornici impressevi a secco, e fregi varî elegantissimi; v' hanno le tracce de' fermagli. La scrittura del codice è la minuscola umanistica nella sua piú bella e piú elegante forma. Ogni pagina piena conta in media n.o 31 righe di scrittura, con ampi e ricchi margini per ogni parte. Il volume comincia senz'altro con la nota dedica di Jacopo « Beatissimo Patri Alexandro quinto». Seguono gli otto libri completi della Cosmografia con l'indicazione numerica per ciascuno corrente nel margine superiore (I 2o; II 19'; III 46'; IV 75'; V 96′; VI 123'; VII 140′; VIII 155'): a ciascun libro è premesso il titolo e l'esposizione del contenuto. Nei libri II-VII è aggiunta inoltre, da mano posteriore, l'indicazione delle carte o tavole cui essi si riferirebbero; ad es.: c. 20 nel lib. II « T. I. EVR. »; c. 46′ principio del lib. III «T. VI. EVR. » c. 75' princ. del IV «T. I. APHR. »; c. 96* princ. del V «T. I. AS. »; c. 123′ princ. del VI «T. V. AS. » ; c. 140′ princ. del VII «T. X. AS. ». Le quali tavole, oltre a quella generale del mondo, dovevano essere le solite 26, come si desume dalle cc. 156' sgg. « Expositio omnium summarum quibus continentur in Eoropa tabule X »; c. 161' « in Lybia tabule quatuor »; c. 163 « Asie maioris tabule duodecim1) ». Il

1) Nell' edizione romana del 1478 sono appunto 27 le tavole; però in parecchi Mss. le tavole sono 30, come fra gli altri nello splendido esemplare laurenziano, riccamente miniato, Plut. xxx, 3-fatto pel Duca di Modena e Reggio, Borso d'Este: dove la prima rappresenta tutto il mondo, tredici riguardano l'Europa, quattro l'Africa e dodici l'Asia. In altri codici, ad es. nel Plut. XXX, 4, sono 32 le tavole, quante cioè nell'edizione d'Ulma (1482).

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