La mente di Adolf HitlerGingko edizioni, 13 dic 2013 - 272 pagine Hitler era molto diverso da come si mostrava. Coabitavano in lui due persone opposte. L’una dolce, sentimentale e indecisa, con scarsa attitudine al comando, l’altra dura, crudele e impositiva, pronta ad andare avanti indipendentemente dai costi. Era il primo Hitler che piangeva copiosamente per la morte del suo canarino, e il secondo che urlava ai raduni ‘‘Le teste rotoleranno’’. Il primo che non se la sentiva di scaricare un assistente e il secondo che poteva ordinare l’assassinio di centinaia tra i suoi migliori amici e dire con grande convinzione: ‘‘Non ci sarà pace nel paese fino a quando un corpo non penderà da ogni palo della luce’’. Mentre il primo Hitler passava le sue serate a guardare film o ad andare ai cabaret, era il secondo che poteva lavorare per giorni e giorni con poco sonno o senza dormire per fare progetti che avrebbero influenzato il destino delle nazioni. Era il primo Hitler che indulgeva in rapporti incestuosi con sua nipote e nella coprofagia, che amava lasciarsi prendere a calci dalle sue amanti ballerine e che aveva subito una vessatoria autorità paterna sviluppando un complesso edipico; che era stato vagabondo e misero a Vienna, privo di ogni scopo, rifiutato dall’Accademia d’Arte e simpatizzante di omosessuali ed ebrei. Ed era stato sempre il primo Hitler che da soldato si era sottomesso ai suoi ufficiali a tal punto da offrirsi di lavare i loro panni. Questo Hitler aveva bisogno di una trasformazione per apparire il Führer. Come ‘‘Führer’’ poteva affrontare i problemi più importanti e ridurli subito ai minimi termini, tracciare campagne, essere il giudice supremo, trattare con i diplomatici, ignorare tutti i principi etici e morali e ordinare esecuzioni o la distruzione delle città senza la minima esitazione. Ed essere anche di ottimo umore mentre lo faceva. Ma il ‘‘Führer’’ era un artefizio, una concezione grossolanamente esagerata e distorta della mascolinità come Hitler la concepiva, una formazione reattiva che era stata creata inconsciamente a titolo di risarcimento e copertura per occultare nel fondo le tendenze che egli disprezzava. Hitler, in realtà, era un insieme di paure. Nel 1943 allo psicanalista Walter C. Langer fu commissionato uno studio sulla personalità di Hitler dai servizi segreti americani. La relazione era destinata a far luce sul carattere difficile da prevedere del leader tedesco. La ricerca restò top secret fino al 1968, e quattro anni dopo, quando una casa editrice di New York la pubblicò in un libro, divenne un best sellers. Oggi è considerata un classico della psicologia politica. Langer si servì di tutto il materiale in circolazione su Adolf Hitler e intervistò conoscenti e amici intimi del dittatore, il suo medico di famiglia, suo nipote, ex collaboratori ed ex gerarchi nazisti. Realizzò la prima profilazione criminale di un politico vivente e fornì un quadro abbastanza completo di Hitler come psicotico e schizofrenico. Predisse, tra l’altro, il suo suicidio; analizzò le sue abitudini, la vita sessuale, l’infanzia, l’ambiente familiare, ogni aspetto della sua vita presente e passata. Trattò brevemente la possibilità che fosse di origine ebrea, passò in rassegna la formazione scolastica, gli scritti e le letture, la capacità di concentrazione, la sensibilità al rumore, la capacità di silenzio, la conversazione e l’oratoria, la condizione fisica e l’aspetto personale, la pulizia, la resistenza, la voce, la malattia, il sonno, la dieta, il consumo di alcool, il fumo, la protezione personale. Ma anche la sua vita sessuale e ancora le tecniche spettacolaristiche di preparazione dei suoi raduni, l’uso della propaganda, le relazioni interpersonali, formali e affettive. Ma il rapporto di Langer cercò soprattutto di delineare, sulla base di tutte queste informazioni, quale comportamento Hitler avrebbe potuto tenere nell’immediato futuro. Langer teorizzò che Hitler sarebbe diventato sempre più nevrotico man mano che le sorti della guerra gli si sarebbero rivoltate contro. Le sue collere sarebbero state più frequenti e intense. Hitler avrebbe fatto meno apparizioni pubbliche e sarebbe diventato sempre più solitario. Aspettandosi la completa distruzione della Germania avrebbe ordinato una politica di terra bruciata e infine si sarebbe ucciso. Con piglio profetico, alla fine della relazione, l’autore concludeva: ”In ogni caso, la sua condizione mentale continuerà a peggiorare. Egli combatterà con qualsiasi arma o tecnica che può essere evocata per risolvere l’emergenza. Il corso che seguirà sarà quasi certamente quello che gli sembrerà essere la strada più sicura per l’immortalità e, al tempo stesso, per trascinare il mondo in fiamme”.
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