Immagini della pagina
PDF
ePub

Gabrielli con si malvagia opera saziato l'odio de' Guelfi, d' indi a pochi mesi con un' altra sentenza crudelissima condannò Dante e Petracco, padre di Francesco Petrarca, con altri tredici fiorentini, venendo eglino alle mani del comune, ad essere bruciati vivi, come rei di estorsioni e baratterie. Brutta calunnia e crudele vendetta, che non avrebbero avuto luogo fra un popolo che libero si chiamava, se due freni fossero stati in quella republica; uno alla licenza ed uno alla tirannide. Ma era nome vanissimoin Firenze la libertà; imperciocchè quelli che alla publica forza imperavano, tenevano congiunta a tanta potenza anche l'autorità d'intromettersi ne' giudizi, di riformare e di abrogare le leggi, le quali essi ordinavano sovente a pro loro e a depressione della setta contraria. Questo fece che i rancori e le discordie e i tumulti moltiplicassero, e non avessero fine se non quando il popolo, sotto la balia di una ricca famiglia, venne alla quieta servitù che prese l'onesto nome di pace. Da Roma si recò Dante alla Toscana, e in Siena fu reso certo della sua disgrazia, e seppe come Corso Donati sformava la giustizia e per vana gloria si faceva chiamare barone; come si uccidevano uomini, si sfacevano e si ardevano case, ed altre male opere a danno de' Bianchi si commettevano. Ponendo egli allora la speranza del suo ritorno nelle facili permutazioni della fortuna, passò ad Arezzo, dov'erano convenuti quelli di sua parte, che, collegatisi con alcune potenti famiglie di Pistoia e di Bologna, e creato loro capo Alessandro di Romena, pensarono di far impeto contro Firenze. Se

[ocr errors]

condo questa deliberazione nell'anno 1304, con intelligenza del legato del papa vennero gli usciti a Firenze, ed entrati per le mura corsero la città fino alla piazza di S. Giovanni; ma il popolo, che dianzi avevano amico, irritato da quella violenza li cacciò fuori. Allora venne meno à Dante la speranza del suo ritorno; perchè abbandonata la Toscana, si riparò in casa di Bartolomeo della Scala, signore di Verona, che, essendo in somma felicità di ricchezze e di onori, dava cortesemente rifugio agli uomini per qualche virtù prestanti, che da' Guelfi erano perseguitati. Per le cortesie pei beneficii del magnifico signore non sentì Dante diminuire il desiderio di ritornare alla patria: anzi, tenendo per incomportabile cosa l'esilio, scrisse ad autorevoli uomini ed al popolo fiorentino, pregando istantemente il suo ri. torno ma veggendo poi ogni priego tornargli vano, andò qua e là peregrinando, e per mitigare il suo cordoglio e per vaghezza di conoscere i costumi degli uomini. In Padova, nel Casentino, nella Lunigiana alcun tempo dimorò; a Serazzana nel 1306 fu procuratore della concordia tra la casa Malespini ed il vescovo Antonio: anche presso ai signori della Faggiola si fermò ne' monti d'Urbino. Andò a Bologna ed a Padova; fu ospite di Bosone Rafaeli in Agobbio, dei monaci dell'Avellana e di quelli di S. Croce di Luni, dove conobbe frate Ilario, priore di quel convento, al quale fece preghiera acciocchè volesse far sì che Uguccione della Faggiola gradisse intitolata a lui la prima cantica della Divina Commedia. Dall' Avellana incamminatosi alla volta di

Francia, recossi a Parigi, e di colà, secondo che il Boccaccio in un carme latino racconta, dopo alcun tempo passò in Inghilterra. Essendo in Parigi, molto studio in divinità; sicchè poi tenne dispute sottili e fu chiamato teologo, che a quei tempi era quanto dire sapientissimo. Occorse nel 1313 che Arrigo di Lussemburgo, l'anno innanzi coronato imperatore di Roma, deliberò di restituire i Ghibellini alle patrie loro e di sottoporre Firenze al suo dominio. Dante allora sentì rinascere la morta speranza, e l'animo talmente infiammò che si spinse a scrivere ai perversi suoi nemici una lettera piena di acerbissimi detti; tanto è difficile, quando la fortuna ci mostra il volto benigno, l'usare moderazione. Poichè Arrigo ebbe consumati quaranta giorni sotto le mura di Firenze in vani combattimenti, lasciò quell'assedio e mosse il campo contro il regno di Napoli; ma infermatosi a Bonconvento, ivi a piccol tempo morì; ondechè a' Ghibellini fallì di nuovo la speranza del ritorno. Non andò poi guari che la fortuna dell'armi ghibelline prosperò alquanto: per che l'Alighieri, ripreso animo, fermò la sua dimora in Lucca, dove si accese dell' amore di colei della quale si fa menzione nel canto XXIV del Purgatorio. Nell'anno 1315 essendosi rinnovata da Zaccaria d'Orvieto, vicario in Firenze del re Roberto di Napoli, la crudele sentenza di Cante dei Gabrielli, l' esule infelice si riparò novellamente in Verona in casa di Can Grande, ove dimorò quasi tre anni in compagnia di molti uomini letterati, che da quel magnifico giovanetto onorati erano. Dalla Lombar

XVIII

dia passò poi nella Romagna, indi a Gubbio, e da Gubbio a Udine, dove stette fino alla morte di Uguccione della Faggiola. Nell' anno 1320, trascorsa la Marca Trevigiana, venne a cercare tranquillo e riposato vivere nella Romagna. Guido Novello dei Polentani, signore di Ravenna, che il rimeritare e l'onorare i sapienti stimava principal parte di giustizia, a lui mandò lettere e messi, offerendogli ospizio ed amicizia. Mosso da questa rara benignità venne Dante alla detta città, ed ivi sciolto da' publici negozi pose tutto l'animo alla filosofia ed alle lettere, e diede ammaestramento a molti, i quali poi ebbero lode di non vulgari poeti; tra i quali fu Pietro Giardino, il cui nome solo ci è rimasto. Avea Dante passati in questo dolce riposo diciotto mesi, quando nel 1321 da Guido fu mandato oratore a' Veneziani per chiedere la pace. Non avendo egli potuto vincere gli ostinati animi di quell'ambizioso senato, lasciata la via del mare, che per cagione della guerra era piena di pericoli, ritornò indietro per le disabitate ed incomode vie de' boschi. La tristezza che gli avea messa nel cuore il superbo contegno dei Veneziani e i disagi dell' aspro cammino poteron tanto nel corpo suo travagliato ed indebolito dalle lunghe fatiche e dall'esilio, che infermò per istrada. Giunto a Ravenna aggravò, e il giorno 14 settembre del detto anno, con sommo dolore di Guido e di tutta la città, rese lo spirito. Il liberale cavaliere fece con pomposi funerali onorare il glorioso poeta, ed egli stesso parlò della sapienza, della virtù, degli infortuni del perduto amico, ed il

morto corpo in un'arca di marmo fece porre, e di più egregia sepoltura l'avrebbe onorato, se non gli fossero venuti manco lo stato e la vita. Quello che il magnifico signore non potè, fece poi nel secolo decimosesto Bernardo Bembo, e nel finire del decimottavo il cardinal Luigi Valenti, che, secondo il disegno di Camillo Morigia, illustre architetto ravignano, edificò quell' adorno monumento che oggi si vede.

Poichè s'è detto de' casi di Dante Alighieri, ora delle qualità e dell' opere sue resta a dire alcuna cosa. Delle sembianze di lui ci serba memoria l'effigie in molti luoghi dipinta e in molti rami intagliata, tolta da quella che Giotto fece nella cappella del podestà di Firenze. Dell'altezza dell' ingegno suo farà testimonio eterno la Divina Commedia; de' suoi costumi parlano più scrittori, ed io le cose per loro narrate ricorderò. Egli fu sino dalla sua giovinezza assiduo negli studi e dedito alla solitudine; di cantare, sonare e disegnare molto si dilettò; amò gli uomini letterati, i pittori e i cantori. Ebbe tra gl'illustri amici suoi Guido Cavalcanti filosofo e poeta, Giotto restitutore della dipintura Oderigi d'Agobbio miniatore, Casella dolcissimo cantore, Dante da Maiano, Cino da Pistoia poeti, Bosone Rafaeli, Carlo Martello figliuolo di Carlo II re di Napoli, Uguccione della Faggiola famoso guerriero ed alta speranza de' Ghibellini (1), gli Scali

(1) Il dottissimo sig. Carlo Troya, amico mio, nel suo libro che ha per titolo « Del veltro allegorico di

[ocr errors]
« IndietroContinua »