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religion cristiana surta nel mezzo di esso, la sua economia interiore e la sua esterior polizia pel corso de' tre primi secoli, il suo governo e disciplina nelle regioni d'Occidente, e spezialmente in quelle di cui egli tesse la storia, la gerarchia ecclesiastica, l'elezione de'ministri, il dritto e le cagioni delle convocazioni de'concilii, i regolamenti ed i canoni in essi stabiliti. Inoltre storicamente esamina i dritti e l'autorità conceduta dal nostro divino Redentore alla sua Chiesa ed a' cherici, interamente distinta e separata dalla potestà e giurisdizione temporale de'principi, che col novello stabilimento della sua spirituale religione Gesù Cristo in niuna parte diminuita volle, ovvero ristretta. Ultimamente non tralascia nella fine di questo libro di cominciar la storia, ch'egli con esquisita diligenza a mano a mano prosiegue per l'intero corso dell'opera, dei beni temporali e delle immense ricchezze acquistate dagli ecclesiastici del regno con diverse arti e con singolari mezzi.

Dopo di avere con convenevole brevità toccati quegli argomenti, onde ben si comprende lo stato e la polizia del romano imperio, anteriore a' tempi di Costantino, e ciò affine che il lettore potesse entrare in migliore e più intera intelligenza delle seguenti narrazioni; egli dà principio nel secondo libro all' ordinato corso della sua Storia colla descrizione della nuova forma e polizia introdotta da Costantino nell' imperio, della nuova distribuzione degli uffiziali di quello, e de' loro diversi gradi e dignità; dello stato e del governo di queste provincie; della Campagna, e de' consolari che la reggevano; della Puglia e Calabria; della Lucania e de' Bruzii, e de' loro correttori; del Sannio, e de' suoi presidi. Quindi ci mette in veduta l'alterazion sofferta dalla giurisprudenza romana per la nuova disposizione dell' imperio, per esservi fortunatamente ricevuta, qual dominante, la sagrosanta religion cristiana, e per le novelle massime e costumi introdottivi. Da questo egli passa a ragionare de' giureconsulti, e de' loro libri ed autorità: dell'accademie, e della loro fortuna nel quarto e porzione del quinto secolo: delle costituzioni de'principi cristiani raccolte in un codice dall'imperator Teodosio il giovane, del suo uso ed

autorità, così nell' Oriente come nell' Occidente, e singolarmente in queste provincie. Finalmente egli entra a narrarci della polizia ecclesiastica del quarto e del quinto secolo; della esteriore, in quanto ella s'apparteneva alla cognizione degl' imperatori, ed era parte della polizia civile; dell'interiore, per quanto ci è di mestieri a far giusto concetto della disciplina e dell' intrinseco governo dell'ordine ecclesiastico, ch'era pur allora uno de' principali membri dello Stato: dell'aggrandimento di cotest'ordine derivato dall'istituzione de' monaci, e da' grandi acquisti de' beni temporali; delle sue particolari prerogative e della sua legittima giurisdizione: della giudiziale cognizione delle cause de'chierici, che cominciò in questo secolo tratto tratto a concedersi dagl' imperatori a' vescovi, è ad altri superiori ecclesiastici: della legittima autorità, e della sovrana economica podestà ciò non ostante ritenuta ed esercitata dagl'imperatori e dagli altri principi cristiani sull'ordine ecclesiastico pel mantenimento della vera disciplina e per l'osservanza de' sagri canoni, e per la difesa e custodia della purità della religione. Questo articolo è per tutta l'opera con ispeziale riguardo e diligenza maneggiato, siccome sono generalmente tutti quegli che la giustizia e la legittima osservanza ne dimostrano de' regali dritti e delle sovrane preminenze.

In questa forma, e sempre con eguale maturità di giudizio, egli vien di mano in mano adempiendo ne' seguenti libri il piano della sua opera, secondo che disposto lo avea su'l bel principio. Così s'introduce nel terzo libro a raccontar de' Goti, dell'acquisto da lor fatto dell'Italia, dell'antica polizia da essi quivi mantenuta, e della sovrana economica podestà de're di questa nazione esercitata su'beni e sulle persone de' chierici. Quindi passa a ragionare della rovina e discacciamento de' Goti dall'Italia, seguito per opera dell' imperatore Giustiniano, e pel valore de' suoi generali Belisario e Narsete: della nuova forma data alle romane leggi da cotesto imperatore, delle sue compilazioni e dell'autorità loro in Oriente ed in Occidente dell' accrescimento dell'ordine e della potestà ecclesiastica, parte cagionato dall'esenzioni e parte

dalla giurisdizione concessagli dall'anzi nominato principe. Dal quarto fino all'ottavo libro ci tesse la storia del regno de' Longobardi: della sua civile economia e disposizion politica: de' nuovi costumi e delle nuove leggi per essi apportate in Italia: de'feudi e delle usanze feudali da essoloro quivi introdotte e fermate: della varia natura e condizione de' feudi secondo le diverse qualità loro attribuite ovvero per consuetudine, ovvero per legge scritta de'novelli titoli, dignità ed uffizi stabiliti nel loro regnare in Italia. Si distende particolarmente sulla speziale polizia ch' ebbe luogo in queste provincie componenti il ducato Beneventano, mentre era in piedi il regno Longobardo, a cui quello era in certa forma subordinato; e poichè si fu questo spento nel re Desiderio, egli vien divisando la nuova forma che presero sotto a' principi di Benevento, e quindi sotto ancor quei di Capua e di Salerno, che dismembrando il Beneventano, costituirono nuovi principati. Non tralascia insieme di ragionare dell'imperio ed autorità che gl'imperatori d'Oriente ritennero in Roma, ed in una considerabile porzion d'Italia, poichè la si fu occupata da' Longobardi: della varia estensione, polizia e fortuna di cotesto lor dominio mal regolato, e peggio difeso dalle lontane loro forze della grande alterazione che sofferse nel principio dell'ottavo secolo dall' ostinato impegno e da' violenti modi adoperati dall'imperator Lione Isaurico per abolire nell'Italia, siccome negli altri suoi Stati, il culto delle immagini: de'tumulti e delle sedizioni quindi eccitate tra' popoli, ed in qualche modo pur fomentate da' romani pontefici, che in aperta ribellione finalmente terminando, dettero all'imperio greco in Italia l'ultimo crollo, e'l cominciamento al dominio temporale de'romani pontefici; i quali entrati in briga per conto delle immagini cogli imperatori dell' Oriente e co're Longobardi per la gelosia della loro crescente potenza, invitarono al loro aiuto i re di Francia Pipino e Carlo Magno, i quali colla forza delle loro armi togliendo agli uni l'autorità insieme colla miglior parte dello Stato che possedevano, e mettendo fine al regno degli altri, fecero d'alquanta porzione delle loro spoglie liberal dono a' romani pontefici: prima

e principal epoca del genio brigante di costoro, e della possanza del loro favore, o disfavore, non meno che del loro temporale ingrandimento. Qui egli esamina, dietro la sicura scorta de' più assennati critici, il vero senso ed intendimento delle donazioni di Pipino, di Carlo Magno e di Lodovico Pio, oltre al dovere ampliate da' partigiani della corte di Roma: le città ed i luoghi che questi principi ebbero pensiero in quelle di comprendere : le ragioni che ci dimostrano come le provincie ora componenti il regno napoletano non vi furono giammai con

tenute.

La storia delle leggi e delle loro compilazioni, del loro uso ed osservanza, e delle varie vicende a cui furon soggette nelle provincie spezialmente di questo regno (ciò ch'è uno de' principali argomenti della sua opera) non è perduta di mira nelle disordinate rivoluzioni, e nel buio e rozzezza di questi secoli. E poichè l'autorità delle leggi romane si fu in buona parte adombrata dalle longobarde, il Giannone s'occupa principalmente a mettere in veduta l'ordinata serie e successione di coteste : le cagioni e la maniera di stabilirle: la loro giustizia, saviezza ed opportuna economia: le varie raccolte che ne furono fatte: il loro uso ed osservanza, mentre fiorì il principato e la potenza de' Longobardi : l'autorità che in queste provincie ritennero, e per lunga stagione si conservarono, ancor dappoi che si fu estinto il dominio Longobardo. Dopo di queste egli non obblia, per quanto si appartiene alla parte marittima del nostro regno, ch'era pur allora sottoposta all'imperio ed alle leggi romanogreche, di render conto a' suoi lettori del vario stato delle leggi romane dopo il tempo di Giustiniano: del loro decadimento nel settimo e nell'ottavo secolo, non solo in Occidente a cagione delle leggi longobarde che vi prevalsero, anzi pure in Oriente per la dappocaggine dei principi e la rilassatezza de'popoli, e per le continue turbolenze e confusioni in cui fu miseramente involto quell'imperio del loro ristabilimento proccurato dagli imperatori Basilio il Macedone, Lione il Filosofo e Costantino Porfirogenito nel nono e decimo secolo, colle compilazioni da essi fatte de' Basilici: dell'uso ed auto

rità che questi ottennero in Oriente, ed in alcuna parte di queste provincie, piccolo avanzo del greco imperio in Occidente.

Egli procede per ultimo a divisarci colla stessa diligenza lo stato e le vicende della polizia ecclesiastica in questi secoli: l'alterazione ch'ella sofferse nella interiore economia e nella esteriore: lo scadimento della disciplina cagionato e per lunga pezza fecondato da' pessimi costumi degli ecclesiastici; come ciò non ostante parte per concessione, parte ancora per condiscendenza dei principi, s'accrebbe al sommo in questi tempi la loro cognizione giudiziaria e l'ordinaria loro giurisdizione: le cure e le sollecitudini che, trasandate quelle del loro mestiero, presero quindi i prelati ed i pontefici romani soprattutto delle cose temporali e secolaresche, per modo che guastando la pura disciplina e l'antica polizia, una essi ne vennero formando a tutt' altro fine diretta, fuorchè a quello che a'chierici si conveniva, e la quale si fu ad essoloro ispirata dall'interesse e dall'ambizione, ed in tutti i cristiani dominii stabilita coll'occasion favorevole della supina ignoranza e delle folte tenebre in cui si giaceano i secolari. Quindi egli viene notando con quali regole e per quali modi erano maneggiati i maggiori affari della Chiesa: come la podestà ordinaria dei vescovi rovinò in questi secoli a gran passi, fino a che restò finalmente rovesciata e depressa: qual arbitrio e signoria s'attribuirono i romani pontefici nel governo ed amministrazione delle chiese tutte dell'orbe cristiano: quali erano le favorite massime che cominciarono allora tratto tratto a prevalere intorno alla potestà e alla giurisdizione de' papi: come e per quali ragioni i monaci divenuti già ricchi e potenti, e per conseguenza meno curanti delle cose spirituali che de' negozi temporali, divennero il maggior sostegno e'l più forte appoggio dei dritti e delle pretensioni de' pontefici, e della legittima autorità loro non meno che dell' arbitraria. Non tralascia finalmente, quanto gli è possibile, di porci in chiaro lume la varia e disordinata polizia ecclesiastica di queste provincie in que' tempi che arden do più che mai le scisme e le discordie tra il romano pontefice e'l patriarca

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