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parere in tali parole: Signor Pietro, voi vi siete posto nel capo una corona, ma di spine.

Ho creduto di far bene, facendo qui l'apologia del Giannone, la quale se trasferita avessi altrove, niun luogo avrei saputo trovare, per non tralasciarla, più opportuno e più convenevole di questo. Tornando or di bel nuovo là dove intralasciai il filo della narrazione, dico, che pubblicata che fu la Storia Civile nel mese di marzo dell'anno 1723, fu incontanente da tutti gli uomini savi e sinceri ammirata ed applaudita. Le persone più intelligenti, singolarmente tra quegli ch'erano per professione applicati al foro, non poterono non accogliere favorevolmente una si fatta opera, siccome quella ch'era di gran pro e di continuo uso nel loro mestiere per ben intendere le pubbliche e le private leggi e le varie usanze del regno. Per la qual cosa gli eccellentissimi Deputati all'interior governo della città di Napoli avendo bene considerato, per avviso del loro avvocato, signor Vincenzo d'Ippolito, uomo savio ed erudito ed insieme grande amico del Giannone, quanto e qual profitto sarebbe per tornare al regno intero dal diligente esame fatto in cotest'opera de' suoi dritti e ragioni, ordinarono con pari deliberazione d'eleggere l'autore in avvocato ordinario della città, ed oltracciò di fargli alcun presente, per testimoniargli l'universale stima e compiacimento con cui il suo libro era stato da quel Comune ricevuto1.

Ma quanto era più questa opera commendata dagli ordini secolari, e più distinto onore reso al suo autore, tanto si sollevarono maggiormente gli animi de'preti e de'frati; e da forte rabbia accesi pel vedere posto in credito

Ecco il tenore dell'appuntamento datato 17 marzo 1723.

« Si è « appuntato d'eleggersi per avvocato ordinario di questa fedelissima città « il Mag. D. Pietro Giannone; ed il Mag. segretario ne stenda la conclu<<sione. Si è appuntato che il Mag. Razionale spedisca il mandato di du«< cati centotrentacinque a beneficio del Mag. Matteo Tassone, per dover<«< li impiegare in compra di una galanteria d'argento per regalarsi in no« me di questa fedelissima città al dottor Pietro Giannone in segno di gra« titudine per il libro composto dell'Istoria Civile di Napoli, che può ri« dondare in tanto beneficio di questo pubblico.— Marchese Costanzo, Pi«gnone, Serra, Pignatelli, De Maria. » A libro IV Appuntamentorum, fol. 39. J. Velli, Segret.

un libro che dipingeali al pubblico con troppo neri colori, e che de' loro artifizi e raggiri scrovia le fonti e gli effetti, si dettero a tutto potere, ma con calunnie ed imposture, ad avvilirne il pregio, ed a spacciarne il demerito e l'empietà presso gli sciocchi, l'infinito numero de'quali è sempre a loro divozione; nè ad altra cosa volsero tutti quasi gli sforzi loro, e nelle private conversazioni e ne'segreti tribunali di penitenza e pubblicamente d'insù i pergami stessi, che di far credere al volgo che in sì fatto libro si ragionava male de' santi e de' loro miracoli, si metteano in ridicolo le indulgenze, le ordinazioni de' vescovi e le particolari divozioni degli ordini mendicanti, s'appellavano superstiziosi i pellegrinaggi, ed apertamente si negava il miracoloso annuale scioglimento del sangue di S. Gennaro speziale protettore de'napoletani. Essi non miravano a nulla meno con accreditare presso al popolo minuto sì fatte imposture, e singolarmente l'ultima troppo per sè sola efficace a metterlo in furia, che a sollevare contro l'autore la cieca e furiosa ira di questo, e così perderlo e subbissarlo, e vendicarsi insieme de' torti e delle ingiurie ch'essi credevano fatte colla sua opera a tutti gli ordini ecclesiastici. Un gesuita tra gli altri, che a sorte dava ne' primi giorni della pubblicazione di quest' opera gli esercizi spirituali al popolo basso nella sua chiesa del Mercato, dov'è questo più che in altro luogo della città in folla radunato, più non curando d'ispirare a quella gente que'santi e religiosi sentimenti che i ministri evangelici sogliono risvegliare in que' giorni di pietà negli animi cristiani, avvisò meglio di scagliarsi nelle sue declamazioni contro la Storia Civile, e di aggrandire con parole l'empietà e la scelleratezza del suo autore, cercando a questo modo di concitare quella vile turba alla rovina del Giannone; e di fatti accesi gli animi del popolaccio da cieco zelo di religione, cominciavano già a fare di quel susurro e mormorio che scoppiato sarebbe senza dubbio in qualche popolare insulto, se ad uopo riparato non avesse il vicerè cardinale d' Althan, a cui pervenne a tempo l'avviso di tanta insolenza. Il vicerè adunque ordinò di presente che il gesuita tosto dovesse uscire

GIANNONE Vol. I.

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dalla città, ed allo stesso tempo impose a tutti i superiori delle case religiose che sono in Napoli, ch' espressamente dovessero vietare a'Regolari loro suggetti d'avere l'ardire di più ricordare nelle prediche od in altre sagre funzioni il nome del Giannone e della sua opera, sotto pena d'essere immantinente cacciati fuor del regno. Ma un si savio ed opportuno ordinamento non potè spegnere i semi di quel fermento ch'alterati avea di già gli animi del popolo intero, di sorta che il nome del Giannone spesse volte tra loro membrato, e più ancora la vista di lui trattener non li potea, ed in privato ed in pubblico, dallo accendersi d'ira e di mal talento. Ed in vero egli fu più d'una volta in gran pericolo di pruovare i tristi effetti della rabbia popolare. Un di spezialmente che il Giannone traversava in carrozza la piazza volgarmente detta la Carità, appena che egli venne veduto da quella moltitudine di popolo che ivi sempre suol essere in calca, che tantosto da un repentino furore questa commossa, sarebbegli corsa addosso per farne scempio, s'egli accortosi del soprastante periglio non se le fosse sottratto in fretta col tramutar via. Un somigliante disastro fu per intervenire nella contrada del real palazzo ad un professore di leggi simile al Giannone della persona, e però tolto in suo cambio, se nello avventarsegli che fece la vile plebaglia, co'gridi e co'strepiti non l'avesse fatta accorta dell'error preso. Mi ha inoltre narrato un amico del nostro autore, ch'essendo uno di que' giorni entrato insieme col Giannone nella chiesa dello Spirito Santo, dove per essere tempo di quaresima molta gente era occupata ad ascoltar la predica, non si tosto fu il Giannone nella chiesa, che il popolo tutto verso di lui rivolto, un si forte bisbiglio eccitò in quella, che obbligato fu e l'orator d'intralasciare il suo ragionamento, e il Giannone di partirsi senza indugio.

Veggendo intanto il vicerè cardinal d'Althan un si generale commovimento nel popolo, e dubitando non si fatta alterazione degli animi producesse al fine qualche sinistro accidente, stimò di proporre nel suo Consiglio Collaterale tutte le pericolose circostanze che accompagnavano questo fatto, perchè quivi deliberato si fosse di to

gliere il partito migliore da recarvi rimedio. V'ebbero alcuni reggenti in quel Consiglio, i quali furono d'avviso che per tranquillare il popolo in istante, s'avesse il Giannone a porre in arresto e tener custodito per alcun tempo. Ma come che questo parere piaciuto fosse a molti di que'reggenti, non fu tuttavia messo ad esecuzione, quali che mai fossero le ragioni che io non saprei qui determinare. Si attennero in fine, per appagare la moltitudine in qualche modo, e senza recare al Giannone danno veruno, ad un più discreto consiglio, qual si fu quello che il vicerè pose in opera. Egli spedi un ordine per segreteria di guerra al tribunale della Vicaria, perchè facesse inchiesta nelle botteghe de❜librai e de'ligatori de libri, ed in ciaschedun altro luogo, ove vi fosse sospetto che i corpi della Storia Civile stessero riposti, e senz'altro presili, li trasmettesse nella reale Cancelleria, cioè nel Consiglio Collaterale, affine di esaminarvisi quanto conveniva d'esaminare in quelle circostanze: ordinò al tempo stesso che il tribunale facesse intanto divieto a'librai di poter vendere questo libro, fino a che altra sovrana risoluzione non fosse presa. Era in quel tempo caporuota della gran corte della Vicaria il consigliere D. Francesco Ventura nipote del presidente Argento, e però amico del Giannone, il quale sapendo bene che il fine di questo sovrano comando richiedeva solo che si eseguisse in apparenza, ne diè subito avviso al Giannone, perchè procurasse di mettere in salvo i suoi libri, siccom'egli fece, trasportandoli di sua casa in quella di un suo vicino amico, è ripigliandosi in fretta daʼlibrai e da' ligatori quelli esemplari ch'essi aveano nelle mani; per modo che mandato dal tribunale uno de' suoi giudici ad eseguire l'ordinata inquisizione, costui non rinvenne che alcuni sciolti fogli avvisatamente lasciati per le botteghe de' librai, i quali messi insieme furono trasportati nella reale Cancelleria.

Sarebbe per avventura questo spediente stato bastevole ad ammorzare cotesto fuoco ne' suoi principii, se non vi si fossero attraversati i preti ed i frati, i quali con nuovi raggiri si studiavano di via più fomentarlo. La corte arcivescovile di Napoli volle ancor ella far la sua parte

in questa scena; e non veggendo impetrata, secondo il costume e giusta le pretensioni che la si aveva, la sua espressa licenza per l'impressione di questo libro, riputó cotesto un grave attentato fatto a'suoi dritti ed alla sua giurisdizione. Ella adunque volendo far vendetta del torto che le parea in ciò d'avere ricevuto, cominciò dallo stampatore, che nominavasi Niccolò Naso, il quale per aver avuto l'ardire di stampare un libro senza ottenerne prima la facoltà dall'arcivescovo, fu dal costui vicario generale solennemente scomunicato qual manifesto trasgressore, a quello che egli credeva, de' canoni contenuti nel Concilio di Laterano sotto Lione X e nel Concilio di Trento.Veggendosi quel pover uomo colpito da un tal fulmine, tanto più sensibile, quanto meno aspettato, tuttochè potuto avesse, richiamandosi di sì ingiusta censura nel Consiglio Collaterale, quivi mostrarne l'abuso e la nullità; nondimeno temendone i temporali effetti, per cui ella è dal volgo singolarmente riverita, si contentò anzi di riconoscersi per iscomunicato, e di domandare umilmente di esserne assoluto, siccome fu, dopo varie istanze e replicati prieghi, dal cardinal arcivescovo Pignatelli.

Reso più ardito per si felice riuscita il vescovo di Castellaneta, che qual vicario generale del cardinal Pignatelli reggeva allora la corte arcivescovile di Napoli, penso di procedere più oltre, e d'attaccarla a dirittura coll'autore dell'opera. Ma poichè egli voleva prendere del Giannone, siccome del principale offensore de' dritti ecclesiastici, più acerba vendetta che fatto non avea dello stampatore, s' avvisò d'indugiare insino alla fine di aprile, nel qual tempo e' fece conto che il suo disegno sortir potrebbe un miglior effetto negli animi della moltitudine, più che d'ordinario commossi ed infervorati per la prossima festa di S. Gennaro, che in quell'anno 1723 ricadeva nel primo di maggio. Intanto e' convien di sapere come dopo che gli ecclesiastici ebbero veduto che i rumori da prima eccitati da loro non aveano prodotto sulla persona del Giannone quell'effetto ch'essi bramavano, riputarono miglior consiglio di togliere l'opportuna occasione della festa di S. Gennaro, per ispargere a bello studio tra la volgar gente, siccome i frati fecero

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