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come altrove fece del Fonte Aretusa' posto nel territorio di Squillace2, di descriverci il maraviglioso Fonte Marciliano ch'era nella Lucania, ed impiegare nella descrizione del medesimo, secondo il solito stile, tutte le sue arditezze ed iperboli: e quel ch'è più, ponendole in bocca d'un principe che non aveva altro scopo che con severi editti proibire che tanta celebrità non fosse da'rei e perversi uomini disturbata.

[Il Fonte Marciliano in Lucania, descritto da Cassiodoro lib. 8, ep. 33, era vicino alla città chiamata Cosilina, oggi distrutta, la quale avea un subborgo chiamato Marciliano, dove poi andò ad abitare il vescovo, onde prcmiscuamente fu da poi nominato ora Episcopus Marcellianensis, ora Cosilinus. Ecco come ne parla Ostenio nelle note a Carlo S. Paolo in Lucania et Bruzia: Cosilianum antiquissima Lucaniae Civitas (Cassiodor. Var. lib. 8, ep. 33) Suburbicum habuit Marcilianum, sive Marcellianum, unde Marcellianensis Episcopus et Cosilinus promiscue dicebatur. Contrastano i vicini abitatori per appropriarsene i ruderi; e chi vuole che sian quelli onde surse la città di Marsico, altri pretendono che da que'ruderi fosse surta non già Marsico, ma la città di Sala.]

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Del Sannio e suoi presidi.

Viene in ultimo luogo il Sannio, provincia, siccome appo i Romani, cosi ne'tempi di Teodorico non decorata. d'altro che di preside. In questa provincia si legge presso a Cassiodoro essersi da Teodorico mandato a preghiere de'sanniti un tal Gennaro, ovvero, come altri leggono *, Sunhivado per lor moderatore e giudice, imponendosegli che accadendo litigio nella medesima tra'Romani con Goti, ovvero fra'Goti con Romani, dovesse secondo le leggi romane diffinirlo; non volendo egli permettere che sotto varie e diverse leggi i Romani co'Goti vivessero, le cui parole già furon da noi ad altro proposito recate. Ebbe anche questa provincia i suoi cancellieri, come è chiaro

Cassiod. 1.12, c.15.-2 Nel territorio di Sicilia presso Siracusa. L'ed. 3 Cassiod. 1. 3, c. 13. 4 P. Garet.

appresso Cassiodoro'; e del Sannio pur altrovea fassi da Teodorico memoria; tanto che non v'è stata provincia di quelle che ora compongon il nostro regno, che, per le memorie che a noi sono rimase di questo principe, le quali tutte fra gli altri scrittori le debbiamo a Cassiodoro, non si vegga da Teodorico providamente amministrata, e dati giusti ed opportuni rimedii per lo governo loro.

8 V.

I medesimi codici ritenuti e le medesime condizioni
delle persone e de retaggi.

Quindi può distintamente conoscersi che le nostre provincie, estinto l'imperio romano d'Occidente, ancorché passassero sotto la dominazione de' Goti, non sentirono quelle mutazioni che regolarmente ne'nuovi dominii di straniere genti soglion accadere. Non furon in quelle nuove leggi introdotte, ma si ritennero le romane; e la legge comune de'nostri provinciali fu quella de’Romani, ch'allora ne' Codici Gregoriano, Ermogeniano, e sopra ogni altro nel Codice di Teodosio e nel corpo delle Novelle di questo imperadore, di Valentiniano, Marziano, Magioriano, Severo ed Antemio suoi successori si contenevano ed a'libri di quelli giureconsulti che Valentiniano trascelse, era data piena autorità e forza.

Non s'introdusse nuova forma di governo, e si ritennero i medesimi ufficiali; nè la variazione de'magistrati fu tanta, che non si ritenessero le dignità più cospicue e sublimi. Poichè l'idea di Teodorico, e poi del suo successore Atalarico fu di reggere l'Italia e queste nostre provincie col medesimo spirito e forma colla quale si resse l'imperio sotto gl'imperadori; ed è costante opinione de'nostri scrittori che le cose d'Italia sotto il suo regno furon più quiete e tranquille che ne' tempi degli ultimi imperadori d'Occidente, e ch'egli fosse stato il primo che facesse quietare tanti mali e disordini.

Quindi è avvenuto che ancor che queste nostre provincie passassero da' Romani sotto la dominazione de'Goti, non s' introducessero, siccome nell'altre provincie dell'im

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perio romano, quelle servitù ne'popoli che passati sotto altre nazioni sofferirono. Così quando la Gallia fu conquistata da' Franzesi, fu trattata come paese di conquista; essendo cosa certa che si fecero signori delle persone e de'retaggi di quella, cioè si fecero signori perfetti, così nella signoria pubblica, come nella proprietà e signoria privata1: ed in quanto alle persone, essi fecero i naturali del paese servi; non già di un'intera servitù, ma simili a quelli che i Romani chiamavan censiti, ovvero ascrittizi, o coloni addetti alla gleba 2. Non così trattaron i Goti l'Italia, la Sicilia e queste nostre provincie, ma lasciaron intatta la condizione delle persone, poichè non gli governava un principe straniero, ma un re che si pregiava di vivere alla romana, e di serbare le medesime leggi ed instituti de' Romani, Furon bensì in molti villaggi delle nostre provincie di questi ascrittizi e censiti (siccome vi furon anche de'servi, perchè a'tempi dei Goti l'uso de'medesimi non s'era dismesso '), ma quelli stessi, o loro discendenti, in quella maniera che prima si tenevano da'Romani, e di essi ci restano ancor molti vestigi ne' Codici di Teodosio e di Giustiniano, che poi i secoli seguenti chiamaron angarii e parangarii. Ciò che si conferma per un avvenimento rapportato da Ugone Falcando in Sicilia a'tempi del re Guglielmo II, poichè essendo i cittadini di Caccamo ricorsi al re contro Giovanni Lavardino franzese, il quale affliggeva i terrazzani con esigere la metà delle lor entrate, secondo che diceva esser la consuetudine delle sue terre in Francia; e riportate queste querele al gran cancelliero, ch'era allora Stefano di Parzio, perchè questi era ancor egli franzese, lasciò la cosa senza provvedimento, onde i suoi nemici gli concitaron l'odio di tutti i Siciliani e di molti cittadini e terrazzani, gridando ch'essi eran liberi, e che non dovea permettere, secondo l'uso di Francia, Ut universi populi Siciliae redditus annuos et exactiones solvere

Loyseau des Seign.

2 Cod. de Agric. et Cens. 1.11.Comnan. in Com. jur. civ. lib. 2, lit. C. Leon. Ostiens. in Cronic. Cassin. Glossator in notis. c. 6, num. 532. 4 Got. in Cod. Theod. 1. 8, tit. de curs. pub. et angar. 1. 4.

cogerentur juxta Galliae consuetudinem, quae cives liberos non haberet.

Ed in quanto a'retaggi e terre della Gallia, i Franzesi vittoriosi le confiscaron tutte, attribuendo allo Stato l'una e l'altra signoria di quelle1. E fuor di quelle terre che ritennero in dominio del principe, distribuiron tutte l'altre a'principali capi e capitani della loro nazione; a tal uno dando una provincia a titolo di ducato, ad un altro un paese di frontiera a titolo di marchesato; a costui una città col suo territorio adiacente a titolo di contea, e ad altri de' castelli e villaggi con alcune terre dintorno a titolo di baronia, castellania, o semplice signoria, secondo i meriti particolari di ciascheduno ed il numero de'soldati ch'aveva sotto di sè, poichè davansi così per essi che per li loro soldati. Non così fecero i Goti in Italia ed in queste nostre provincie, poichè si lasciarono le terre a'loro posseditori, nè s'inquietò alcuno nella privata signoria de' loro retaggi; e le provincie e le città eran amministrate da'medesimi ufficiali che prima, secondo che si governavano sotto l'imperio di Valentiniano e degli altri imperadori d'Occidente suoi predecessori. Nè in Italia ed in queste nostre provincie l'uso dei feudi e de' ducati e contadi fu introdotto, se non nel regno de'Longobardi, come diremo nel quarto libro di questa Istoria.

VI. Insigni virtù di Teodorico e sua morte.

Fu veramente Teodorico di tutte quelle rade e nobili virtù ornato, che fosse mai qualunque altro più eccellente principe che vantassero tutti i secoli. Per la sua pietà e culto al vero Iddio, fu con immense lodi celebrato da Ennodio cattolico vescovo di Pavia. E se bene istrutto nella religione cristiana, i suoi dottori gliela avessero renduta torbida e contaminata per la pestilente eresia d'Ario, siccome fecero a tutti i Goti, questa colpa non a'Goti dee attribuirsi, ma a'Romani stessi, e spezialmente all'imperador Valente, che mandando ad istruir

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questa nazione nella religione cristiana, vi mandò dottori ariani; tanto che Salviano', quel santo vescovo di Marsiglia, nomò questa loro disgrazia, fallo non già dei Goti, ma del magistrato romano; e testifica questo santo vescovo che nel medesimo lor errore non altro fu da essi riguardato se non che il maggior onore di Dio; e per questa pią lor credenza ed affetto non dover essere i Goti reputati indegni della fede cattolica, i quali, comparate le lor opere con quelle de' cattolici, di gran lunga eran a costoro in bontà e giustizia superiori, o si riguardi la venerazione delle chiese, o la fede, o la speranza, o la carità verso Dio; quindi è che Socrate2, scrittore dell'Istoria Ecclesiastica, a molti Goti, che per la religione furono da'Pagani uccisi, dà il titolo di martiri, come quelli che con semplice e divoto cuore eransi a Cristo lor redentore dedicati. E se per altrui colpa incorsero i Goti in quest'errore, ben fu questa macchia tolta e compensata col merito di Riccaredo del loro sangue, che purgò dall' arianesimo tutta la Spagna.

E fu singular pietà de'Goti e di Teodorico precisamente d'astenersi da ogni violenza co' suoi sudditi intorno alla religione; nè perchè essi eran de'dogmi ariani aspersi, proibiva perciò a'suoi popoli di confessar la fede del gran concilio di Nicea; anzi Teodorićo, in tutto il tempo che resse l'Italia e queste nostre provincie, non pure lasciò inviolata ed intatta la religione cattolica ai suoi sudditi, ma si permetteva ancor a' Goti stessi se volessero dall' arianesimo passare alla fede di Nicea, che liberamente fosse a lor lecito di farlo.

Maggiore rilucerà la pietà di questo principe, in considerando che della cattolica religione, ancorchè da lui non professata, ebbe egli tanta cura e pensiero, che non permetteva che al governo della medesima s'eleggessero se non vescovi di conosciuta probità e dottrina, de' quali fu egli amantissimo e riverente: di ciò presso a Cassiodoro ce ne dà piena testimonianza il suo nipote stesso Atalarico: Oportebat enim arbitrio boni principis obediri,

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