Immagini della pagina
PDF
ePub

sere compreso nella grazia dall'imperator Carlo VI conceduta a'nazionali del regno, la quale vietava che tutti i benefizi ecclesiastici in questo situati si potessero conferire a' forestieri, ammettendo solamente al godimento di quelli i regnicoli. Avverso di questa ed altre somiglianti pretensioni il Giannone compose una dotta e famosa scrittura, di cui ci toccherà a ragionare più distesamente in appresso. L'altra causa che agitò fu intorno alla successione della casa Barberini, quistionata in Vienna innanzi a quattro reggenti del Consiglio di Spagna per quella parte che compredeva i feudi di detta casa nel regno di Napoli tra D. Cornelia Barberini figlia legittima dell'ultimo possessore di que' beni, e D. Maffeo Barberini marchese di Corese figliuolo naturale dello stesso. Il Giannone scrisse a favore di D. Maffeo Barberini con molta maturità ed energia, e s'ingegnò di mostrar chiaramente che costui in vigore delle disposizioni di Urbano VIII sommo pontefice, istitutore della grandezza e signoria di questa famiglia, avea per sè manifesto dritto, comechè sol naturale, d'escludere dalla successione di quella D. Cornelia ancorchè legittima e naturale; e che quindi S.M.I. non avrebbe fatto cosa che regolare non fosse, e giusta la mente del primo regolatore di questa successione, ad investire di que' feudi il marchese di Corese, spogliandone D.a Cornelia, dacchè costei incorsa era nell'imperial indignazione per aversi tolto marito contro al sovrano comando di non torlo senz' espresso reale assenso. Le ragioni del marchese di Corese poste dal Giannone in si fatto lume avrebbono per avventura sortito il desiderato effetto appresso l'imperator Carlo VI, ove il cardinal Francesco Barberini adoperato non si fosse co'suoi maneggi a placar l'irato animo di quel sovrano in favore di D. Cornelia sua nipote.

Fuor di queste il Giannone dettò in Vienna più altre scritture, le quali non essendoci in mano pervenute, ne abbiamo sol notizia nelle sue lettere 1. Una ne compose spezialmente sulla ragione d'un fedecommesso che a sè credea d'appartenere la duchessa di Nevers in Francia,

1 Lettera del Giannone a suo fratello degli 11 novembre 1724.

2

ov'ella mandata fu e bene accolta 1. Si lamenta egli però al tempo stesso che il mestier di avvocato poco pregiato era in Vienna e scarso, ovvero niun frutto gli rendeva. Intanto il rumore de' suoi libri e le comuni voci d'applauso che suonavan di essi per ogni parte, destarono voglia ne'primi personaggi e letterati ch'erano nella corte, o che per Vienna passavano oltre3, di conoscerlo e praticarlo. Gl'inviati ed i ministri delle Potenze straniere che risedevano in Vienna mostrarono a gara particolar premura d'averlo nella loro amicizia e conversazione, ed in fra questi più si distinsero il marchese Breglia ministro della corte di Torino, il marchese Doria della repub blica di Genova, e gl'inviati di Danimarca, di Svezia e di Prussia, i quali ebbero impegno di fornire i loro paesi di molti esemplari della sua opera", per cui il Giannone avea d'ogni luogo continue e premurose ricerche. Il marchese Doria singolarmente, fuori delle ordinarie pruove di stima che al nostro autore rendette, s'interessò con raro zelo, in quanto valea la stretta sua amicizia col marchese Perlas, a promuovere vigorosamente i vantaggi e gli avanzamenti di lui 5. A richiesta di questo signore fu che il Giannone compose la scrittura di sopra detta a pro della duchessa di Nevers dama francese, la quale incaricato avea il marchese Doria a fare ragionatamente difendere il suo dritto da uno de' miglior giureconsulti di Italia.Il general Marulli similmente nazionale del Giannone e suo amico, preso dalla novità e dall'importanza delle cose ch'erano contenute nella Storia Civile, fece opera di spanderla in Ungheria, ov' egli si trovava col suo quartiere, tra le persone che vi professavano lettere e s'intendevano dell'idioma italiano".

I Citata lettera degli 11 novembre 1724, dalla quale si ha similmente ch' egli colà fece una legale scrittura per li creditori di Dubei e Regazzi contro i signori Bolza, ed un'altra per lo marchese Spinola genovese. 2 Citata lettera degli 11 novembre 1724.

Lettera del Giannone al fratello de' 4 ottobre 1727. Lettera del medesimo al signor Cirillo de' 6 settembre 1723.

4 Lettera del Giannone al fratello de'24 giugno 1724.

5 Lettera del Giannone al fratello degli 11 novembre 1724.

6 Citata lettera degli 11 novembre 1724.

"Lettera del Giannone a suo fratello de'24 giugno 1724.

Queste ed altrettali dimostrazioni d'onore che tanti illustri personaggi rendevano al merito ed alla dottrina del nostro autore, ed insieme l'attenta lezione de' suoi libri fecero discredere di quella cattiva opinione che ne aveano da prima per opera de' suoi malevoli concepita molti cavalieri spezialmente suoi nazionali dimoranti in Vienna. Il marchese Westerlò signor fiammingo, il duca della Castelluccia, il principe di Chiusano, D. Marzio Caraffa, ed altri cavalieri napoletani, dopo di aver letta la sua opera, cercarongli scusa di que'discorsi, che mal prevenuti contra di lui, tenuti aveano in suo disvantaggio1.

Il signor Apostolo Zeno insigne storico e poeta cesareo e letterato di quella immensa e varia erudizione che è conto ad ognuno, comechè da principio ancor egli fosse trasportato dalle voci de'suoi avversari a credere della persona e dell'opera del Giannone tutto il male che costoro ne sparsero, siccome appare da una lettera ch'egli scrive a suo fratello in data de 22 maggio 17232, non cessò tuttavia al leggere della Storia Civile, ed al conoscere dappresso il suo autore, di torsi in buona parte dalle prime mal ricevute impressioni. Credo bene che poi che era il Zeno in ciascun altro, ma spezialmente nel fatto di religione più che discreto e temperato, gl'increscesse alcun poco quella soverchia asprezza, quel continuo rigore con cui il Giannone tratta la corte di Roma e l'intiero ordine ecclesiastico; nè dovè parimente, siccome zelante cittadino, poter approvare que'tratti e quelle pruove che contro alle stabilite massime ed a' pretesi dritti della repubblica di Venezia s'incontrano nella Storia Civile. Contuttociò essendo egli uomo che ben discerneva l'una cosa dall'altra, tra i veri néi di quest'opera o quei falsamente appresi per tali, dovette meglio che altri distinguerne i pregi, e giusta il suo ingenuo costume liberamente esaltarli. In fatti il Giannone assai si loda del Zeno per questo conto in una lettera a suo fratello. « Io

Lettere del Giannone a suo fratello scritte in varie date dell'anno 1724. 2 Lettere di Apostolo Zeno, vol. 2, num. 138.

3 Veggasi nel tom. 2 delle Lettere del Zeno quella del 1 febbraio 1727 scritta a suo fratello il P. Pier Caterino Zeno, num. 235.

« debbo molto, egli dice, a questo letterato, il quale ol«tre aver fatti pubblici elogi de'miei libri in corte pres« so i suoi amici, per gratitudine di avergli io donato un

66

[ocr errors]

corpo della mia opera m'ha egli fatto presente delle « opere di Fra Paolo ultimamente impresse in Venezia « in due tomi in 4o grande, colle note d'Amelot, che io "tanto desiderava. Mi ha ancora estremamente consolato « per avermi mandato l'istoria delle Pandette del Brenc"mann colle due dissertazioni aggiunte della città di A"malfi: dove con indicibile mio contento, ancorché que"sto autore non avesse veduto nè il mio secondo tomo, perchè ancora non era impresso, nè l'opera del nostro « Donatantonio d'Asti, conferma con maggior autorità e copiosamente quanto io scrissi del ritrovamento delle "Pandette in Amalfi, e non sapendolo, manda a terra tutte « le vane speculazioni e que'ridicoli argomenti dell'Asti." Tali fatti e si distinti segui di stima resi al nostro autore dagli uomini più insigni e riputati ch' erano allora nella corte, siccome addivenivano pubblici, così riempivano i suoi malevoli d'ira e di dispetto. V'eran taluni in quella che mal volentieri soffrivano pe'loro particolari disegni che il Giannone ricevesse quelle lodi e quegli applausi che gli erano dati d'ogni parte. Rincresceva a tali altri partigiani perduti della corte di Roma, e superstiziosi adoratori fin anche de'vizi degli ecclesiastici, che egli ottenut' avesse la narrata pensione, quegli ostacoli superando ch'essi con molto artifizio frammessi v'aveano. Poichè dunque ingannati si videro del loro avviso, risolvettero gli uni e gli altri a vegliare accortamente su i suoi passi e sulle sue parole, per cogliere quindi nuove occasioni di metterlo male agli occhi del sovrano e dei suoi ministri: e non è da dubitare che, oltre le cagioni di sopra dette, le arti di costoro e le loro diverse macchinazioni e raggiri non contribuissero di poco a tenerlo sempre lontano da quegli accrescimenti di fortuna ai quali egli aspirava. Vero è che alcuna volta a'guardi del marchese Perlas e del sovrano stesso chiaro appariva la malvagità e l'impostura delle loro trame1; ma v'erano dei

I Lettera del Giannone a suo fratello de'27 genn. e de'29 settem. 1725.

rincontri si malagevoli e si destramente combinati, che l'animo di questo ministro côlto vi restava e soverchiato. Ho qui riferito in uno le cure e le traversie che il Giannone ebbe a soffrire in Vienna dalla gelosia degli emoli e dal mal talento degli avversari, perchè io non sia obbligato a rompere quasi ad ogni momento il filo della narrazione, per dar luogo a certi minuti accidenti e maneggi, de'quali il sapere soltanto il fine a cui furono adoperati, giova senza più al lettore.

Fin qui ragionato abbiamo di coloro che occultamente sì bene, ma con modi tanto più rei e maligni macchinarono contro al Giannone. L'ordine del tempo ora richiede che si narri di quegli altri che se gli dichiararono contro alla scoperta. Il primo di costoro fu monsignor Filippo degli Anastagi arcivescovo di Sorrento. Questo prelato era uomo di molta erudizione, ma di spirito sì altiero ed ambizioso, che non fu sol pago d'aver nell'anno 1702 fulminata sua scomunica contro agli economi laici d'alcune chiese della sua diocesi che a lui non intendevano di · render ragione dell'amministrazione loro, ed avean perciò ottenuto decreti dal delegato della real Giurisdizione, i quali vietavano all'arcivescovo di richieder loro di tali conti; ma passò ancor oltre a scomunicare il vicerè, il Consiglio Collaterale, il delegato della real Giurisdizione, ed un giudice di Vicaria, il quale mandato fu dal Collaterale ad intimargli l'uscita dal regno, siccome a contumace ed orgoglioso violatore de'suoi ordini. Ciò fatto, e'si parti per Roma, e nel partire sottopose a generale interdetto l'intera sua diocesi, il che avvenne nell'anno 1703. Giunto ch'egli fu in Roma, procurò accortamente questa corte di concordare nella miglior maniera l'affare col vicerè di Napoli, e per mezzo di tale accordo restarono disciolti dalle censure tutti coloro contro cui si erano fulminate. Tornò quindi nel regno monsignor Anastagi con animo nulla meno che prima borioso ed irrequieto; e dopo alcun tempo cercò nuove cagioni da torre briga colla podestà laicale, negando ostinatamente di volersi ricevere la nomina che i popoli d'alcune parrocchie della sua diocesi avevano dritto di fare dei propri pastori, sotto colore che i loro economi, co'quali

GIANNONE

Vol. I.

6

« IndietroContinua »