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dei Galli. E fin che non abbia giustificata questa confidenza che io gli accordo si concederà per lo meno che ci apprestino dei prospetti sull' aumento, e sulla diminuzione dello stato romano. Un annalista inventore non avrebbe mancato di fabbricarle unanimi a' suoi racconti; se adunque queste numerazioni sono affatto inconciliabili cogli annali, meritano qualche attenzione per essere l'espressione di una forma appartenente ad un' epoca molto più antica. Ora Dionisio ci dà il censo di 246, 256 e 261 colle cifre 130,000, 150,700, 110,000, e nei nostri annalisti la guerra contro Porsena cade fra il primo ed il secondo di questi anni. Dal 257 al 261 non vi ha nè peste, nè perdita di territorio, ma si bene la vittoria sopra i Latini. Mal saprei dove ritrovare una maggiore contraddizione; ma chiunque non si lascia abbagliar dagli annali appunto perchè sfoggiano delle date potrà sempre sperimentare una spiegazione. E si acconsenta almeno come ipotesi che il primo accrescimento di popolazione ha per causa l'estensione dell' isopolitia. La separazione di popoli isopoliti può da un altro canto spiegar benissimo la diminuzione di 40,000 anime, ma la perdita delle regioni levate a Roma pare che v' abbia avuto una gran parte. Per verità tutti i proprietari non saranno rimasti addetti alla gleba, e lo fossero anche, il loro numero non si alzava a tante migliaia. Nulladimeno la somma dei Romani ne scemò gran fatto, e la circostanza che in T. Livio non s'incontrano in questi anni che nomi e non avvenimenti, conferma la congettura che ve ne aveano degli sventuratissimi ad occultare. La servitù del Lazio sotto Mesenzio altro non è che la ricordanza di quei tempi risospinta a tempi ancor più lontani; e potrebbe occorrere che Virgilio, così avanti in archeologia avesse veramente conosciute delle tradizioni

che riferivano al medesimo etrusco da cui più tardi il Lazio, si scosse, la sommissione d' Agilla, città che al tempo di Ciro, quand' essa consultava l'oracolo di Delfo era forse ancora del tutto tirrena.

Se il termine della guerra tirrena dinnanzi a Cuma fosse storicamente certo, vi avrebbero senza dubbio delle ragioni intrinseche che si opporrebbero che la spedizione d'Aristodemo verso Aricia fosse posta alla fine della 70a Olimpiade; perchè è già assai poco credibile che vent'anni soli dopo il primo di cotesti avvenimenti (437) gli Oli garchi avessero cercato di perderla per tutte quelle animosità che covavano; giacchè le inimicizie non si covavano così nelle antiche repubbliche. Dionisio però non ha calcolato l'intervallo se non perchè degli autori greci gli indiepoca della guerra di Cuma (458) e degli autori romani quella della spedizione d' Aricia. Ma l'indicazione cronologica d'una guerra in cui i fiumi montano alle loro sorgenti, non ha più pregio a miei occhi della favola dei Pelopidi, ove il sole fece altrettanto. E quelli che stimano che rispetto a questo tempo la storia di Cuma abbia miglior fondamento di quella di Roma, confrontino di grazia le narrazioni di Dionisio sopra Aristodemo con quelle di Plutarco (439).

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DAL PERIODO CHE CORSE DOPO LA MORTE

DI TARQUINIO.

Eccomi costretto a dividere il tempo in periodi sui medesimi limiti dell' istoria mitologica che degl' anuali non potrebbero se non per miracolo surrogare ad un tratto. Obbedisco in questo ad una spiacevole necessità che non vorrei che mi fosse rimproverata come una discordanza. I confronto dei due storici fa vedere di qual natura siano le narrazioni che corrono su questo tempo. Sotto gli anni 251 e 252 T. Livio racconta una guerra contro Pomezia e gl' Aurunci, guerra che ripete nel 259 come fatta contro i Volsci (440). Dionisio non poteva ingannarsi a questo proposito onde non la riferisce che all' ultima di queste date. Men ponderato in questa parte, T. Livio si mostra più savio nella guerra sabina. Di tutti i fasti non cita che due trionfi, nè dice cosa degl' avvenimenti guerreschi, che Dionisio racconta con tutti i suoi particolari come che fossero cinque campagne.

Quest' ultimo non entra in minori dettagli nella guerra Latina, dove, se si eccettua la battaglia del lago Regillo, non s'incontra in T. Livio che un magro ricordo che nell'anno 255 fu posto l'assedio a Fidene, occupata Crustomeria, e che Preneste si gittò dalla parte di Roma. In quanto a questa battaglia cosi celebrata, confessa egli stesso che se taluni, di cui segue l'avviso, la pongono nel 255 degl' altri la differiscono sino al 258 sotto il consolato di Postumio, come fa Dionisio. È chiaro per questa discordanza che gl' antichi fasti dei trionfi non ne parlavano per nulla. E senza dubbio anche Postumio non ebbe nome Niebuhr T. II. 14

di condottiero in questa battaglia che dagl' annalisti più

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recenti, i quali avevano obbliato di già che colui la di cui gloria era stata cantata dalla musa di Calabro, ebbe, pel primo dei Romani un soprannome dalla conquista del I' Affrica (441). Nè videro come di spesso nei fasti antichissimi v' hanno dei soprannomi che non si riferiscono che al domicilio. I Claudi si chiamavano Regillensi ; e lo stesso intervenne a Postumio. Intercalata nell' istoria, la battaglia del lago Regillo v' apparisce senz' effetto e senza legame; è un' intiera vittoria; e dopo parecchi anni vuoti di fatti un trattato d'alleanza suggella l' indipendenza e l'eguaglianza latina mentre era per l'appunto il motivo per cui erano venuti alle mani.

Quivi pure non abbiamo che il canto eroico, a cui appartiene pure un altr' avanzo tramandatoci da Dionisio. Prima che si svegliasse la trista gara fra i due popoli congiunti di sangue, s' erano assicurati un anno di pace onde sciogliere amichevolmente i vincoli individuali. Consenti alle donne dell' una e dell' altra nazione, che s' erano maritate coll' una o coll' altra di ridursi colle proprie figlie presso i propri padri. Tutte le romane abbandonarono i mariti latini (442); tutte le latine, da due in fuori, rimasero in Roma. La fiera virtù delle matrone fioriva ancora in tutta la sua purezza, quando furono inventati cotesti canti.

La battaglia del lago Regillo come la pinge Livio, non è Furto di due armate, ma un combattimento eroico come nell' Illiade. Tutti i capi s' incontrano a corpo a corpo e fanno pendere la vittoria ora da un lato, ora dall' altro mentre le masse sono alle mani fra loro senza risultato. Il Dittatore Postumio ferisce il re Tarquinio che gli si oppone nel principio della battaglia (443). T. Ebuzio capitano dei

cavalli ferisce il dittatore latino ; ma egli stesso pericolosamente malconcio è obbligato d'uscir dalla mischia. Mamilio, concitato dalle sue ferite trae alla carica la coorte degl' emigrati Romani, e rompe le prime file nemiche. La finzione romana non poteva concedere quest' onore che ai suoi concittadini sotto qualunque bandiera essi pugnassero. M. Valerio soprannominato Massimo cade nell' arrestare i loro progressi. Publio e Marco figliuoli di Publicola incontrano la morte per trarre dalle mani nemiche il corpo della zio (444). Ma il Dittatore colla sua coorte li vendica tutti, sbaraglia ed insegue gli emigrati. Iuvano Mamilio s'ingegna di rinnovare la battaglia, T. Erminio compagno di Coelite lo riversa. Ed a vicenda Erminio è ferito da un giavelotto mentre dispoglia il generale latino. In fine i cavalieri Romani combattendo a piedi dinuanzi le loro insegne risolvono la vittoria; appresso montano a cavallo, e sperdono il nemico. Nella battaglia il Dittatore avea VOtato un tempio ai Dioscuri; poichè si videro combattere nelle prime file due giovani guerrieri di persona gigantesca che cavalcavano due bianchi destrieri. E siccome immediatamente dopo la menzione del voto si riferisce che il Dittatore aveva promesso delle ricompense ai due primi che scalerebbero le trincee del campo nemico, sospetto che il poema dicesse che persona non riclamò questo premio, perchè furono i Tindaridi che aprirono il passo alle legioni (445). Non aveano ancora fiuito di perseguire il nemico che già pieni di polvere e di sangue apparirono in Roma i due eroi, i quali lavarono se e le proprie armi nella fontana juturna presso il tempio di Vesta ed annunciarono al popolo congregato nel comizio l'avvenimento della giornata. Il tempio promesso dal Dittatore fu edificato all' altro lato della sorgente, e sul campo di battaglia

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