Immagini della pagina
PDF
ePub
[graphic][subsumed][subsumed]

INTRODUZIONE

SOMMARIO: I e II. Notizie intorno alla vita e agli scritti di Sallustio.
III. Giudizio di queste opere considerate in ordine alla verità storica.
Loro pregi artistici. - IV. Lingua e stile di Sallustio. Fama di lui nei

[ocr errors]

secoli seguenti. Codici ed edizioni.

I. C. SALLUSTIO CRISPO nacque ad Amiternum, città dei Sabini (oggi S. Vittorino presso Aquila), il 1° ottobre dell'anno 668 di R.86 av. C. La sua vita cade adunque in quell'età in cui la repubblica romana, mentre raggiungeva all'estero l'apogeo della potenza colle conquiste in Oriente, all'interno travagliata dalle discordie civili si avvicinava rapidamente al suo fine (1). L'anno stesso della nascita di Sallustio moriva Mario nel decimoterzo giorno del suo settimo consolato; rimaneva a dominare in Roma. L. Cornelio Cinna alla testa del partito popolare, mentre il capo del partito aristocratico Cornelio Silla trovavasi in Grecia, impegnato nella guerra contro Mitridate re del Ponto (Prima guerra mitridatica 666/88-670/84), di cui aveva testè sconfitto due grossi eserciti a Cheronea ed Orcomeno. Poco tempo dopo, allorchè Silla sbarcò in Italia, e vinte in più scontri le reliquie del partito mariano, die' di piglio alla podestà dittatoriale in Roma, facendo sanguinosa vendetta de' suoi nemici colle famose proscrizioni (672/82), Sallustio, fanciullo di quattro anni, udì certamente a raccontare quei terribili avvenimenti, massime che anche molti de' suoi compatrioti, avendo prese le armi in favore

(1) Fu dunque contemporaneo di Cicerone, di Cesare e di Cornelio Nipote; ma venti anni più giovane del primo, quattordici anni più giovane del secondo e otto del terzo; fu poi coetaneo del poeta Catullo (667/87-700/54).

di Mario, vi avevano perduta la vita (1); e se pure per la tenera età non poteva ben capire il triste racconto, nondimeno dovette riceverne un'impressione profonda e non cancellabile. Seguirono gli anni della dittatura di Silla, e della violenta ricostituzione del governo oligarchico (672/82-676/78); poi la reazione del partito popolare e le guerre di Lepido e di Sertorio (676/78-682/72), durante le quali cominciò a grandeggiare la figura di Pompeo; poi la guerra di Spartaco (681/73-683/71); poi l'anno memorabile del consolato di Pompeo e di Crasso (684/70), nel quale anno già cominciava a farsi notare in Roma il grande avversario politico di Pompeo, Giulio Cesare, allora trentenne, e Cicerone si acquistava fama di valente avvocato nel processo contro Verre. Partito Pompeo per l'Oriente coi pieni poteri concessigli dalle leggi Gabinia e Manilia (687/67 e 688/66), rimase capo del partito popolare in Roma Cesare, a cui si univa Crasso divenuto influente per le sue immense ricchezze. La loro impazienza di arrivare al supremo potere li indusse a far parte, anzi forse a promuovere una congiura, la quale mirava a uccidere i consoli del 689/65 il giorno stesso della loro entrata in carica, e sostituirvisi coll'autorità dittatoriale (2). Fallito questo tentativo, si ordì una nuova congiura, quella di Catilina, narrata da Sallustio (691/63), il quale potè assistere a quei fatti con piena coscienza, avendo omai raggiunto l'età di 23 anni. Senonchè, si domanda, era egli in Roma quell'anno? e quando venne a Roma? e come passò questi primi anni della sua giovinezza?

Su tutti questi punti non abbiamo precise notizie. È pro

(1) Alla battaglia di Sacriporto presero parte nell'esercito guidato da Mario il giovane (figliuolo del celebre C. Mario) parecchie migliaia di Sanniti. Più tardi un altro esercito di costoro capitanato da C. Ponzio Telesino diè molto da fare a Silla combattendo contro lui alle stesse porte di Roma. In seguito di ciò 6000 Sanniti, fatti prigionieri dal vincitore, furono trucidati senza pietà nel circo Flaminio. Ora i Sanniti ed i Sabini erano stretti di parentela fra loro ed avevano origine comune (Samnites Sab(i)nites).

=

(2) V. Sall., Cat., 18, colle note della pres. ediz.

babile che egli nato di famiglia plebea bensì (1) ma agiata, sia stato presto condotto a Roma, dove affluivano da tutte le provincie i giovani delle migliori famiglie per godervi i vantaggi della capitale, e anzitutto per potervi compiere studi regolari e proficui. Fioriva allora in Roma ogni genere di studi, specialmente per i molti maestri greci che venivano a fondarvi delle scuole; il foro risonava della voce di oratori omai non lontani dall'eccellenza; e dei già morti come M. Antonio (ucciso dai Mariani nel 667/87) e L. Licinio Crasso († 663/91) o viveva la memoria, o correvano per le mani dei giovani, scritti, i discorsi più celebri. Sallustio studiò dunque certamente quelle materie che erano oggetto della coltura di quell'età, cioè retorica, filosofia, letteratura latina e greca, dei quali studi sono manifeste le traccie nelle sue opere. A questo fine molto gli giovò l'amicizia di ATEIUS PRAETEXTATUS, quel rinomato grammatico, che chiamava sè stesso Philologus, perchè si credeva di molteplice e varia dottrina fornito. Ma principalmente Sallustio rivolse la sua attenzione agli avvenimenti politici, dei quali fin da giovane si sentì inclinato a studiare la storia (Catil. 4, 2), massime essendo vissuto in un'età così feconda di rivolgimenti, non meno gloriosa per vittorie riportate sugli stranieri, che turbolenta per intestine discordie. - Senonchè la Roma di quei tempi non era solo un centro di coltura e di studi, ma anche una sentina di corruzione e di vizi. L'ambizione prima, poi l'avidità del danaro aveva guasto da lungo tempo i costumi; e, soffocato ogni sentimento del dovere, non v'era più alcuna cosa sacra per i Romani: trascurare la religione degli avi; altro tener chiuso nel petto, altro aver sulle labbra; misurare le amicizie e le inimicizie dall'utilità che se ne ricavasse; i pubblici onori non guadagnarsi coi meriti, ma afferrar cogli intrighi; ed ottenuto il potere, valersene per sè non pel bene comune; nella vita privata poi non rispettar più

(1) Se non fosse stato plebeo non avrebbe potuto nel 702/62 conseguire il tribunato della plebe senza la così detta transitio ad plebem, come si fece per Clodio l'anno 695/59.

nè il sacrario della famiglia, nè il vincolo dell'amicizia, ma tutto manomettere, calpestare, deridere persino; infine vendere per danaro l'opera propria, la propria fede, gli amici, i parenti, ogni cosa; ecco a qual punto di depravazione erano giunti la maggior parte dei cittadini di Roma nel 7° secolo; e Sallustio stesso vide questo stato di cose, e ce ne lasciò una dipintura vivissima nelle sue storie (Catil. cap. 8 e sgg.). Sallustio lo vide, ma si tenne egli immune da codesta lebbra? Disgraziatamente dobbiamo rispondere di no; perchè, sebbene sia esagerata la tradizione, dalla quale il nostro storico ci vien rappresentato come tutto dedito alle dissolutezze (1), nondimeno si rileva da parecchi fatti che anch'egli fu irretito nei lacci dell'ambizione, della lussuria, della smodata avidità di ricchezze, i tre vizi che dominavano allora. È ben vero che nel principio della Catilinaria, parlando di sè medesimo, dice che egli da giovane sentiva un disgusto delle male arti con cui i suoi coetanei cercavan farsi strada nella vita, ma confessa poi egli stesso, che in mezzo alla depravazione generale non era così forte da resistere alla corrente, e che per l'ambizione di conseguire onore e fama andò incontro alla calunnia e alla malevolenza come gli altri. Nelle quali parole si scorge manifestamente l'intenzione di stendere come un velo sulla vita passata, attribuendo allo spirito di parte il cattivo nome e le dicerie che s'erano sparse sul suo conto. Ma è certo che egli ha pagato il suo tributo alla dissolutezza dei contem

(1) Esistono due discorsi, intitolati l'uno Oratio in M. Tullium Ciceronem, l'altro Responsio in C. Sallustium, ed attribuiti il primo a Sallustio, il secondo a Cicerone. Vi si contengono le più volgari ingiurie all'indirizzo dei due nominati scrittori. Ma è dimostrato, che questi discorsi non sono altro che declamazioni di ignoto autore, frutto della scuola retorica fiorita a Roma nei tempi imperiali; perciò non hanno alcuna autorità. Neppure vale molto quello che, per testimonianza di Svetonio (De ill. grammaticis, c. 15) scrisse LENEO, un liberto di Pompeo, in una certa satira contro Sallustio, dove lo chiamava lastaurum et lurconem et nebulonem popinonemque, et vita scriptisque monstrosum, o come diremmo noi: << un bordelliere, uno sciupone, impostore, bettoliere, schifoso sia nella vita sia negli scritti », il quale linguaggio basta di per sè a dimostrare che Leneo parlava per passione, volendo vendicare il suo padrone dal severo ma giusto giudicio dato di lui da Sallustio, quando lo diceva oris probi, animo inverecundo.

« IndietroContinua »