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C. SALLVSTI CRISPI

DE BELLO IVGVRTHINO

I. Falso queritur de natura sua genus humanum, quod 1

I primi quattro capitoli contengono il proemio di tutta l'opera. Il pensiero ivi espresso dal nostro autore si può riassumere così: A torto si lagnano gli uomini della propria natura, dicendo che è troppo debole e dominata più dalla fortuna che dalla virtù. Anzi non vi è nulla di più eccellente della natura umana; alla quale manca più l'attività degli uomini che valore intrinseco e tempo (I, 1-2). Gli è che signore della vita è lo spirito; ora questo, se cammina per la via retta, è potente da sè e non ha bisogno della fortuna, ma se si lascia dominare dalle passioni, si sciupa, ed allora si accusa la debolezza della natura (id. 3-4). Abbiano gli uomini cura del bene e diventeranno superiori alla fortuna e acquisteranno eterna gloria (id. 5). L'eterna gloria; perchè i pregi corporali son caduchi, ma i fatti dello spirito sono, come esso, cose immortali (2, 1-2); ed è lo spirito che domina ogni cosa senz' essere dominato (id. 3). Sicché vergogna a coloro che, dediti ai piaceri del corpo, trascurano lo spirito; massime che sono tante le vie per cui l'ingegno s'acquista rinomanza (id. 4). Però fra queste vie dell'ingegno ai tempi nostri, non è più da desiderarsi la vita politica, perchè invece del merito trionfa la violenza, e neppur questa non partorisce sicurezza od onori (3, 1-4). È invece sempre fra l'arti dell'ingegno di molta utilità lo scrivere storie. Al che io mi sono accinto, abbandonata la vita politica (4, 1-3). Nè mi muovono i rimproveri di quelli che chiamano oziosa questa occupazione. Se si pensi, in quei tempi in cui io ho conseguito le pubbliche cariche quali persone non hanno potuto arrivarci, e che razza di gente poi è entrata in senato, si vedrà che è più utile il mio ozio che l'attività d'altri. Perchè il contemplare le imagini de' maggiori ha sempre acceso a egregie cose l'animo de' buoni, e ciò per la memoria delle loro gesta che si sentì il bisogno di imitare ed emulare (id. 4-6). Ma ora è di moda non per via dell'onestà e dell'attività, bensì colle ricchezze e colle spese emulare i maggiori; e persino gli uomini nuovi si sforzano di ottenere i pubblici onori in tutt'altro modo che coll'onestà, come se la carica onorasse le persona e non viceversa (id. 7-8). Ma torniamo al nostro proposito (id. 9); io ho intenzione di narrare la guerra di Giugurta sia per la sua importanza, sia perchè allora cominciarono le lotte tra i partiti che prepararono le guerre civili (5, 1-2). Paragonando questo proemio con quello della Catilinaria, si vede che in entrambi Sal lustio vuole giustificare il suo proposito di scrivere storie, dicendo che

inbecilla atque aevi brevis forte potius quam virtute regatur. 2 Nam contra reputando neque maius aliud neque praestabilius invenias, magisque naturae industriam hominum quam vim aut 3 tempus deesse. Sed dux atque imperator vitae mortalium animus est. Qui ubi ad gloriam virtutis via grassatur, abunde pollens potensque et clarus est neque fortuna eget quippe probitatem industriam aliasque artis bonas neque dare neque

uomini hanno il dovere di esercitare la parte più nobile della loro natura che è lo spirito, e di attendere ad una o ad altra delle tante occupazioni che son figlie dell'ingegno, come far guerre, governare città, promuovere l'agricoltura, ecc.; egli pertanto, disgustato della vita politica a cui attese negli anni giovanili, ora s'è accinto a scriver storie, occupazione tutt'altro che vana e tutt'altro che facile. I due proemii dunque si somigliano perchè è identico il concetto fondamentale che vi domina, sebbene sia diverso lo svolgimento. E son proemii non intimamente legati colla storia a cui servono d'introduzione, non oggettivi, ma esprimono i sentimenti dell'autore e le ragioni che lo hanno indotto a scrivere, proemii dunque soggettivi, specie di prefazione che deve considerarsi come staccata dal racconto.

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I. 1. Inbecilla atque aevi brevis, l'uno significa la mancanza d'energia, di virtù intrinseca; l'altro la breve durata. Nota il genitivo di qualità in luogo di un secondo aggettivo. Forte potius, etc., qui forte non è avverbio, ma è vero e proprio ablativo, come si vede dal termine di confronto virtute. Il pensiero è: gli uomini si lagnano che, per natura essendo scarsi di intima energia ed avendo corta vita, sono soggetti ai capricci del caso, e ne sono dominati anzichè essi lo dominino colla loro virtù. Ora questa lagnanza si fonda su un falso supposto, però è ingiusta (falso). Quod... regatur, qual'è la ragione del congiuntivo? 2. Reputando; reputare è il riflettere bene, e si contrappone al giudicare le cose superficialmente. Maius... praestabilius, intendi: quam hominum naturam. Industria è attività, dipendente dal buon volere; ossia la volontà stessa in quanto si estrinseca in moltiformi operazioni. Vim aut tempus, rispondono ad inbecilla atque aevi brevis. 3. Sed, introduce un pensiero nuovo, col quale si farà capire in che consiste il falso supposto che fa muovere quell'ingiusta lagnanza. Puoi parafrasare così: Bisogna riflettere che, ecc. » Dux atque gli è che... o simili. imperator vitae.... animus, lo stesso pensiero vedemmo già Cat., I, 2: Animi imperio, corporis servitio magis utimur. E nota la parola imperator usata nel suo senso etimologico non in quello tecnico del linguaggio militare; val lo stesso che dominus. Animus, qui come nella Catilinaria, è la parte più nobile di noi, lo spirito, che comprende l'intelletto, l'ingegno, e il sentimento nelle sue varie forme, specialmente nella forma morale. Grassatur; grassor, frequentat. di gradior, non è voce usata da Cesare e da Cicerone; si trova invece qua e là in Livio, Tacito e negli scrittori più recenti. Sallustio la adopera qui e altrove (cfr. c. 64, 5) per la sua predilezione ai verbi frequentativi. Pollens potensque est; pollens esprime la forza in sè, potens l'efficacia che ne deriva. Neque fortuna eget, si confuta l'opinione espressa da principio che l'uomo sia ludibrio della fortuna; anzi se lo spirito esercita tutta la propria attività è forte di per sè e non ha bisogno della fortuna, la quale non può nè

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eripere cuiquam potest: sin captus pravis cupidinibus ad 4 inertiam et voluptates corporis pessum datus est, pernitiosa lubidine paulisper usus, ubi per socordiam vires tempus ingenium diffluxere, naturae infirmitas accusatur: suam quisque culpam auctores ad negotia transferunt. Quod si hominibus bo- 5 narum rerum tanta cura esset, quanto studio aliena ac nihil profutura multaque etiam periculosa petunt, neque regerentur magis quam regerent casus et eo magnitudinis procederent, ubi pro mortalibus gloria aeterni fierent.

II. Nam uti genus hominum conpositum ex corpore et 1 anima est, ita res cunctae studiaque omnia nostra corporis alia, alia animi naturam sequuntur. Igitur praeclara facies, magnae 2 divitiae, ad hoc vis corporis et alia omnia huiuscemodi brevi dilabuntur, at ingeni egregia facinora sicuti anima inmortalia

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4. Ad inertiam et volup.

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Pessum

Pernit.

dare nè togliere alcun pregio dello spirito. corp. si contrappone all'ad gloriam del § 3; e specificatamente inertia qualità opposta a industria, voluptates corporis a probitas. datus est, da tradurre col verbo fraseologico « lasciarsi >. lubid. paul. usus, chi si lascia trascinare dalle passioni, dopo un breve godimento (lubid. paul. usus), precipita in fondo ad ogni dissolutezza. Vires... ingenium diffluxere, le forze e l'ingegno nell'ozio anneghittiscono e si sciupano, perciò diffluunt. Suam quisque c. etc., ripete lo stesso pensiero che è detto con naturae infirmitas accusatur; salvochè qui si accenna al lato oggettivo (negotia), mentre prima si parlava del lato soggettivo, la debolezza della natura; in ogni modo si fa ricader sempre la colpa su cose non dipendenti dalla nostra volontà. 5. Aliena, intendi a bonis rebus. Regerentur, sottintendi: casibus. Eo magnitudinis, nota questo costrutto che in Sallustio ricorre più volte (cfr. 5, 2; 14, 3), mentre non se ne dànno esempi nè in Cesare, nè in Cicerone. Ubi, dopo eo, perchè si concepisce il grado di grandezza come un luogo; altrove invece di ubi, usasi ut consecutivo (cfr. 5, 2eo vecordiae processit, ut, etc.).

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II. 1. Nam, in questo capitolo (1-3) si dimostra come gli uomini possono diventare eterni per gloria di mortali che sono; ciò avviene per Î'eternità dello spirito e delle sue doti. È lo stesso pensiero già espresso nel 1° cap. della Catilinaria (§ 2-4). Conpositum, nota la collocazione e la forza di questo participio; più che participio potrebbe ritenersi un predicato nominale, come quando noi diciamo: «l'uomo è un composto di anima e corpo ». Res cunctae studiaque omnia nostra; il nostra va riferito anche a res cunctae. Studia, al plur. si usa a significare le varie nostre tendenze ed inclinazioni ed anche gli oggetti di esse. Corporis alia, alia animi nat. seq., a tradurre bada che devi trasportare le parole naturam sequuntur, comuni ai due membri della proposizione, dal 2o membro nel 1°. Nota poi l'uso promiscuo che Sallustio fa delle parole anima e animus; in questo senso Cicerone direbbe sempre animus.

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3 sunt. Postremo corporis et fortunae bonorum ut initium sic finis est, omniaque orta occidunt et aucta senescunt: animus inconruptus, aeternus, rector humani generis, agit atque habet 4 cuncta neque ipse habetur. Quo magis pravitas eorum admiranda est, qui dediti corporis gaudiis per luxum et ignaviam aetatem agunt, ceterum ingenium, quo neque melius neque amplius aliud in natura mortalium est, incultu atque socordia torpescere sinunt, cum praesertim tam multae variaeque sint artes animi, quibus summa claritudo paratur.

1 III. Verum ex eis magistratus et imperia, postremo omnis cura rerum publicarum minume mihi hac tempestate cupiunda videntur, quoniam neque virtuti honos datur, neque illi, quibus 2 per fraudem is fuit, tuti aut eo magis honesti sunt. Nam vi

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3. Postremo, nel senso di « insomma cfr. Cat., 14, 3. Corporis et fortunae, entrambi i genit. dipendono da bonorum e questo da initium e finis. Inconruptus, non ha senso morale, ma designa la qualità per cui lo spirito permane sostanzialmente non soggetto a deperimento come il corpo; quindi inconruptus = indeperibile. E nota che spesso in latino i partic. passati passivi hanno il senso degli aggettivi verbali greci in to, con cui hanno comune la formazione tematica; quindi invictus invincibile, infectum =cosa non fattibile, e simili. Agit atque habet cuncta, fa le cose e però le domina, ne è signore, senza essere egli dominato (neque habetur, cfr. Cat., 1, 4). 4. Admiranda est, in senso cattivo reca stupore, è cosa vergognosa. Ceterum, nel senso di < e invece, e poi ». Cfr. Cat., 51, 26. Ingenium, non solo la mente, la parte intellettiva, ma qui è usato come sinonimo di animus, cfr. Cat., 1, 3. Tam multae... artes animi, di questa moltiplicità di mezzi con cui l'uomo può segnalarsi fra i suoi simili ha già parlato Sallustio nei cap. 2 e 3 della Catilinaria.

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III. 1. Ex eis, intendi artibus animi, ed è partitivo. Magistratus et imperia, comprende e le alte cariche dello stato in tempo di pace e il supremo comando delle milizie in guerra. Tutto è poi riassunto in una parola con omnis cura rerum publicarum. Hac tempestate, sul tempo in cui Sallustio scrisse queste storie v. l'Introduzione. Neque virtuti honos datur, etc., per due ragioni afferma Sallustio non sembrargli più desiderabile la vita politica; prima perchè gli onori non si dànno al merito, ma cogli intrighi (per fraudem) s'acquistano, poi perchè neppure chi ci arriva con questo mezzo acquista con ciò sicurezza o stima.

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Is,

cioè honos. 2. Nam, spiega il pensiero precedente: l'arrivare al potere per la detta via (vi quidem, perchè l'intrigo è una violenza fatta al diritto e all'onestà, ed anche perchè alle brighe spesso va congiunta la violenza materiale; sicchè il vi sinonimizza con per fraudem e si contrappone al virtuti), sebbene poi si possa far del bene al paese, è sempre odioso, per la ragione che i rivolgimenti politici recano con sè stragi, esilii e altri somiglianti mali. Se poi altri non sa far nulla a pro del paese, e con tutti i suoi sforzi non riesce ad altro che ad attirarsi l'odio dei con

quidem regere patriam aut parentis, quamquam et possis et delicta conrigas, tamen inportunum est, cum praesertim omnes rerum mutationes caedem fugam aliaque hostilia portendant: frustra autem niti neque aliud se fatigando nisi odium quae- 3 rere extremae dementiae est. Nisi forte quem inhonesta et per- 4 niciosa lubido tenet potentiae paucorum decus atque libertatem suam gratificari.

IV. Ceterum ex aliis negotiis, quae ingenio exercentur, in 1 primis magno usui est memoria rerum gestarum. Cuius de 2 virtute quia multi dixere, praetereundum puto, simul ne per insolentiam quis existumet memet studium meum laudando extollere. Atque ego credo fore qui, quia decrevi procul a re 3 publica aetatem agere, tanto tamque utili labori meo nomen inertiae inponant, certe quibus maxuma industria videtur salutare plebem et conviviis gratiam quaerere. Qui si reputaverint, 4 et quibus ego temporibus magistratus adeptus sum quales viri

cittadini, costui è un pazzo; a meno che la passione di dominare sia in lui così forte da indurlo a sacrificare alla potenza dei pochi la propria dignità e libertà. Quamquam et possis et del. conrigas, il congiunt. non dipende dal quamquam ma dalla natura della proposizione che esprime cosa meramente possibile. Possis, nel senso di avere il potere nelle mani » e risponde al tuti del § 1. Il senso del delicta (aliorum) conrigas si può rilevare dal confronto di Cat., 52, 35: si mehercule peccato locus esset facile paterer vos ipsa re conrigi, e di Iug., 94, 7: Sic forte conrecta Mari temeritas, gloriam ex culpa invenit. Delicta corrigere è dunque rimediare ai mali, di cui altri è stato cagione, per via di savii provvedimenti. Ciò dovrebbe appunto far acquistare la pubblica stima, epperò come quamquam possis risponde a tuti, così delicta conrigas risponde a honesti. Portendant, lasciano prevedere come cosa certa, quindi recano seco, hanno per conseguenza. 4. Lubido... gratificari, nota il costrutto e ricorda Cat., 4, 1: fuit consilium... conterere. Gratificari, è sacrificare in vantaggio d'un altro, per fare a lui cosa gradita.

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IV. 1. Memoria rerum gestarum, la storia. 2. Simul ne... Costruisci e intendi: quis existumet me studium meum laudando per insolentiam memet extollere. Il soggetto me dell'infinito extollere è qui sottinteso. Altri interpreta: memet laudando extollere ossia laudibus extollere (cfr. Cic., De inv., I, 22) studium meum. 3. Atque, qui in senso avversativo: « eppure ». Salutare plebem, come solevano fare i candidati alle pubbliche cariche. Conviviis, i banchetti elettorali. 4. Qui, da riferirsi non solo agli ultimi nominati (quibus maxuma ind. vid., etc.) ma anche ai primi. Quibus ego temporibus mag. adeptus sum, bada a non prendere questa proposiz. per una interrogativa indiretta (difatto il verbo non è in congiuntivo); essa è una prop. relativa, connessa però coll' interrogativa quales viri... nequiverint. Quales viri. Ad es. nel 702/52, quando Sallustio era tribuno della plebe, Catone si presentò

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