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In un'altra sta,

Gaudentius in pace qui vixit annis xx

et vi mesis cinque dies biginti

apet depossone x kal. octobres.

Il Muratori (31) adduce epitafj del cimitero di Santa Cecilia in Roma, di età certo antica, che dicono:

Qui jacet Anto

ni Dio te guardi et Jacoba sua uxor.

Madoña Joaña uxor de Cecho

della Sidia

e in San Biagio sotto al Campidoglio:

Ite della dicta echiesa.

In più di un sigillo antico è scolpito Vivat in Dio o in Diu (32). In altre iscrizioni l'apostrofe sta spesso in luogo della m, onde clarissimu', multo', annoro': Zulia per Julia è citato da Celso Cittadini (33), in una lapide presso il Bosio; Olympios bixit annos tres, meses undeci, dies dodeci in pace; in altre bresciane si ha Asinone, Caballaccio, Marione, Musone, Paulacius.

In alcune s'incontra perfino l'i efelcustico, che sembra singolarità del nostro vulgare, leggendosi in una iscrizione delle Grotte vaticane AB ISPECIOSA. In una pittura delle Catacombe è figurata un'agape, e vi si legge Irene da calda - Agape miscemi (34). E in un'altra iscrizione: Bellica fedelissima virgo impace.

Quello che Quintiliano dice che ciò che mal si scrive, di necessità mal si pronunzia », può anche voltarsi a dire che mal si scrive ciò che mal si pronunzia: e l'essere le iscrizioni per lo più di cristiani, cioè di gente ineducata e affettuosa, appoggia sempre meglio il mio assunto, che il parlare nostro odierno sia il vulgare medesimo di Roma antica.

Questo accadeva nelle vicinanze di Roma; ora che doveva essere nelle provincie, discoste dal luogo dove meglio si parlava e proferiva, e dove sopravvivevano i prischi dialetti? Racconta Erasmo che, essendo venuti ambasciatori d'ogni gente d'Europa per congratularsi con Massimiliano d'Austria fatto imperatore, recitarono un'orazione, tutti in latino, ma pronunziandola ciascuno a modo del suo paese, sicchè fu creduto si fosse

(31) Norus thesaurus, vol. IV. pag. 1829.

(32) Bullett. di archeol. cristiana, anno v. 78.

(33) Enel Corpus Inscript. Græc., n. 6710, vedesi Zoontas per Julia in epigrafe pagana: Zesus per Jesus è in Boldetti, pagg. 194, 205, 208, 266.

(34) BOTTARI, Pitture, tom. II. tav. 112.

ognuno espresso nella lingua materna (35). Argomentatene come dovesse alterarsi il romano idioma su bocche sì diverse, e come soffrirne l'ortografia, attesochè, quando più la coltura scemava, gli scrivani s'attenevano mentosto al letterario che all'uso della pronunzia.

Volgarizzamento della Bibbia. Se dunque si avesse a scrivere un libro, non più per la classe eletta e letterata, ma pel popolo sarebbe dovuto ridondare di quei modi, che noi asseriamo corretti fra il vulgo, e inusati alla raffinata letteratura. Ora questo libro c'è, non fatto dopo già sfasciato il latino, ma ai tempi di Tacito e di Svetonio, quando appena l'età dell'oro cedeva a quella d'argento, nè Barbari erano intervenuti a mescolare elementi eterogenei. Alludiamo alla versione della Bibbia, che risale al primo secolo; e fu poi riformata da san Girolamo, il quale pure viveva prima dell'invasione dei Barbari (36). Ora, in essa abbondano gl'idiotismi, che sono senten

(35) La discordanza fra la pronunzia e la scrittura nasce o dal mancare segni che esprimano certi suoni, o dall'essersi alterata la pronunzia. Ciò rende probabile che in Francia si pronunciasse anticamente come ora si scrive: e ciò rendesi più credibile da chi oda in Piemonte proferirsi autr, aut.

(36) È notevole che san Girolamo avverte che la sua tradizione diversificherà dalle precedenti, ma che mal lo appunterebbero quei maligni, che, mentre chiedono piaceri sempre nuovi, nello studio delle Scritture prediligono il sapore antico. Editio mea a veteribus discreparit... Perversissimi homines! cum semper novas expetunt voluptates... in solo studio Scripturarum veteri sapore contenti sunt. Pref. ai Salmi.

La traduzione latina della Bibbia anteriore a san Girolamo, detta l'italica, vorrebbe porsi verso il 185 dopo Cristo, imperando Commodo, pontificando Vittore. Alcuni, e particolarmente il Tischendorf, nel Nuovo Testamento stampato a Lipsia il 1864, la credono fatta in Africa, atteso che in Italia usavasi comunemente la lingua greca: opinione sostenuta dal Wiseman, dal Lachman, dal Ranch, dal Lahir.

I loro argomenti non mi persuadono.

I. Sant'Agostino, africano, la chiama itala.

II. Il Wiseman ne adduce prove filologiche, perchè quella versione ridonda di modi antiquati, i quali sogliono ritenersi viepiù nelle provincie lontane dalla capitale. Tali sarebbero i verbi deponenti in significato passivo (hostiis promeretur Deus. Hebr., XIII. 16); composizioni di verbi col super: superædifico, superexalto, o coll'in come intentator; i verbi in ifico, come mortifico per uccido, vivifico, clarifico, magnifico, ecc.: altre composizioni rozze, come multiloquium, stultiloquium, sapientificat, e terminazioni in osus, come herniosus, ponderosus; inusitate costruzioni di verbi, come dominor col genitivo, zelare coll'accusativo, faciam vos fieri piscatores hominum (Matt., Iv. 19); mutazioni di tempi, cum complerentur dies pentecostes invece di completi essent, e in san Luca: Ad faciendam misericordiam cum patribus nostris et memorari testamenti sui. Il Maj, il Rancke, il Vercellone, il Cavedoni notarono nella versione itala moltissime voci non usate da classici, e il De Vit le raccolse nella ristampa del Lexicon totius latinitatis; Retia, rete abiutus advenio, accadere - ascella maletracto manna, manata martulus, martello prendo regalia satullus combino, congiungere glorio, lodare scamellum, scannello boletarium, catino altarium, altare, forme grammaticali errate, plaudisti, avertuit, odiet, odiunt, odivi, lignum viridem, demolient per demolientur, sepelibit, eregit, prodiet, prævarico per prævaricor, partibor, metibor, exiam, exies, perient, scrutabitis, abstulitum est. Ma tutto ciò perde valore ove si ammetta con noi la persistenza d'un parlar vulgare, distinto dal letterario, in Roma stessa; aggiun

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ziati per errori e barbarismi, sebbene molti abbiano riscontro nei classici. < Viderunt Egyptii mulierem quod esset pulchra nimis » (Genesi, x. 14) risponde al plautino Legiones educunt suas nimis pulchris armis præditas (Amphitr., 1. 1). Il Servitutem qua servivi tibi (Gen., xxx. 26) all'Amanti hero servitutem servit (Aulul., iv. 1): l'Ignoro vos (Deut., XXXIII. 9) al Ne te ignores (Captiv., п. 3): il Feci omnia verba hæc (ш Reg., XVIII. 36) al Feci ego isthæc dicta quæ vos dicitis (Casina, v. 4). Bonum est confidere in Domino quam confidere in homine, dice il salmo cxII. 8; e Plauto: Tacita bona est semper quam loquens (Rudens, IV. 4). Il Miscui vinum de' Proverbj (IX. 5), è sostenuto dal Commisce mustum della Persa, 1. 3; il Tibi dico surge di san Marco, v. 41, dall' Heus tu, tibi dico, mulier del Panul., v. 5;. il Dispersit superbos mente cordis sui di san Luca, 1. 51, dal Pavor territat mentem animi dell' Epidic., IV, 1 (37). Anzi io credo che i siffatti fossero forme gendo che questi modi e queste enallagi riscontransi talora o in Plauto o nei più antichi. Il Cavedoni (Saggio sulla latinità biblica dell'antica vulgata itala. Modena 1860) prova col Simom, col Westenio, col Millio, col Griesbach, col Martianay, coll'Hug, non presentare essa versione alcun carattere che sforzi a crederla africana: al più, concedendo fosse eseguita a Roma da qualche africano.

III. Tertulliano (de Præscriptione, c. 36) dice che la fede penetrò in Africa in un colle sacre Scritture per opera della Chiesa romana. Occorrerebbero prove più dirette per mostrare che queste scritture v'andarono in greco, e per dar ragione dell'essere dappertutto chiamata itala quella versione, se fosse venuta dall'Africa. In Africa poi il latino era stato introdotto dai soldati romani, i quali dovevano parlare la lingua popolare anzichè la classica: se anche potesse provarsene l'origine africana, nulla pregiudicherebbe al nostro assunto. Al quale serve un passo d'oro di sant'Agostino, De doctr. christiana, 1. II. c. 15, n. 21.: Tanta est vis consuetudinis etiam ad discendum, ut, qui in Scripturis sanctis quodammodo nutriti et educati sunt, magis alias locutiones mirentur, easque minus latinas putent quam illas quas in Scripturis didicerunt, neque in latinæ linguæ auctoribus reperiuntur. Ecco già allora la distinzione fra il latino classico e il popolare, che diveniva ecclesiastico. Esso Agostino nota spesso nella Vulgata espressioni che non sunt in consuetudine literaturæ nostræ, o magis exigit nostræ locutionis consuetudo (De locutionibus Scripturarum). Così appunta il mane simul ut oritur sol manicabis; e dice: Manicabis latinum verbum esse mihi non occurrit. Eppure, nel senso di levarsi di buon mattino, trovasi nell'antico scoliaste di Giovenale. Altrove appunta il florierat e floriet, eppure si trovano senza osservazioni in Ilario (in Psal. 133); e in un'iscrizione metrica di Magonza si legge, Rosa simul florivit et statim perit. Sicchè le attenzioni di sant'Agostino sulla latinità della Vulgata voglionsi intendere come relative al latino classico. Ed egli stesso (contro Fausto Manicheo, IX. 2) vuole si ricorra ad veriora exemplaria della Bibbia, e tali esser quelli della Chiesa romana, unde ipsa doctrina commearit.

Sarebbe importante colmar la lacuna che resta fra il Dizionario del Forcellini e quello del Du Cange. L'uno dà il latino classico, l'altro il latino barbaro. Ma realmente nei tempi di decadenza, nel IV, V e VI secolo, si usavano molte voci che il Du Cange non vede che coll'autorità del IX o x. Resta ancora a compire il lessico di quei secoli, e un buon principio vi diede il signor Quicherat (Addenda lexicis latinis, investigavit, collegit, digessit L. QUICHERAT. Parigi 1862), aggiungendo al Forcellini circa 7000 articoli, tolti da autori della decadenza.

Ciò toglierebbe la soluzione di continuità.

(37) Vedi DOM MARTIN, Explications de plusieurs textes difficiles de l'Écriture. Herman Rönsch, Itala und Vulgata. Marburg 1875, mostra la grande influenza

popolari, già correnti al tempo di Nerone, e sopravvissute ne' vulgari odierni, come tant'altri di cui diamo un saggio:

Mensuram bonam... et supereffluentem dabunt in sinum vestrum. Luca, vII. 38. Repone in unam partem molestissima tibi cogitamenta. Iv Esdra, xiv. 14.

Et nemo mittit vinum novum in utres veteres. Luca, v. 37.

Populus suspensus erat audiens illum. XIX. 48.

Quærebant mittere in illum manus. XX. 19.

Sed nemo misit super eum manus. Giov., vII. 44.

Quasi absconditus vultus ejus et despectus, unde nec reputavimus eum. Isaia, LIII. 3.

Non est dicere, quid est hoc, aut quid est istud. Eccl., XXXIV. 26.

In electis meis mitte radices. Eccl., 24.

In tempore redditionis postulabit tempus. XXxIx. 6.

Habebat Judam semper charum in animo, et erat viro inclinatus. 11 Macab., XIV, 24. Ipsi diligunt vinacia uvarum. Osea, III. 1.

Sed rex, accepto gustu audaciæ Judæorum. II Macab., XIII. 18.

Etiam rogo et te, germane compar, adjuva illas. Paolo ad Philip., Iv. 3.

Moyses grandis factus. Paolo ad Hebr., XI. 24.

Cum dixerint omne malum adversum vos. Matteo, v. 11.

Et omnes male habentes curavit. vIII. 16.

Mulier, quæ sanguinis fluxum patiebatur. IX. 20.

Corripe eum inter te et ipsum solum. xvIII. 15.

Spero os ad os loqui. II Giov., 12. Isaia, LIII. 7.

Simon, habeo tibi aliquid dicere in illa hora, come diciamo in allora. San Luca, vII. 40. Mentre i precettori sentenziano la versione della Bibbia di corruzione e barbarie, il buon critico in quei salmi sente l'idioma del Lazio prendere un vigore inusato, e, per secondare la sublimità dei concetti e l'idea dell'infinito, ripigliare la nobile altezza che dovette avere nei sacerdotali suoi primordj, un'armonia diversa da quella che i prosatori cercavano nel periodeggiare e i poeti nell'imitazione dei metri greci, e che pure è tanta, da farla ai maestri di canto preferire persino all'italiano.

Questo rifarsi della favella plebea, questo ritorno verso l'Oriente dond'era l'origine sua, avrebbe potuto ringiovanire il latino, infondendogli l'ispirato vigore delle belle lingue aramee e la semplice costruzione del greco; ma troppo violenti casi sconvolsero quell'andar di cose; e quando l'Impero cadeva a fasci, era egli a promettersi un ristoramento della letteratura?

Nell'età che intitolarono

La lingua culta si sfascia. Età del ferro. del ferro, la crescente adulazione trovò qualificazioni enfatiche a lusingare i fortissimi e felicissimi ed incliti e provvidentissimi e vittoriosissimi monarchi, e quella serie di illustri e magnifici conti, patrizj, maestri ed altri. Gl'imperatori, man mano che scadevano di grandezza e potenza, si puntellavano con titoli ampollosi, parlando in nome della loro serenitas, tranquillitas, lenitudo, clementia, pietas, mansuetudo, magnificentia, sublimitas, perfino æternitas come fece Costanzo. Al greco si ricorse non solo dagli scienziati, ma anche negli uffizj civili e domestici, massime dopo tra

di queste due versioni sulla civiltà e gli studj in Occidente, e sulla trasformazione delle lingue.

sferita la capitale a Costantinopoli (38). Partita allora la gente meglio stante colla Corte, ringhiera e senato a Roma ammutoliti, nè corpo di scrittori o impero di tradizioni conserva l'aristocratica castigatezza; sicchè il latino, come uno strumento complicato in mani inesperte, dovette alterarsi viepiù quanto più sintetico, e perchè non procede per mezzi semplici secondo il rigoroso bisogno delle idee, ma con tanti casi e conjugazioni e artificiosa. inversione di sintassi.

Sottentra allora il pieno arbitrio dell'uso, cui stromenti sono il tempo e il popolo, operanti nel senso medesimo. Il popolo vuole speditezza, e purchè il pensiero sia espresso, non sta a curarsi di esattamente articolare la parola o di valersi di tutti gli elementi, lusso grammaticale. Alla finezza di declinazioni e conjugazioni sostituì la generalità delle preposizioni e degli ausiliarj, specificò gli oggetti coll'articolo, mozzò le desinenze. Pei quali modi la lingua latina non imbarbariva come suol dirsi, ma tornava verso i principj suoi, riducendosi in una più semplice, poco o nulla distante dalla nostra odierna; la lingua scritta accolse in maggior copia voci e forme della parlata, modificate secondo i paesi: donde quel lamento di san Girolamo, che la latinità ogni giorno mutasse e di paese e di tempo (39).

Ajutarono siffatta evoluzione gli scrittori ecclesiastici, che più non dirigendosi a corrompere ricchi e ingrazianire letterati, ma recando al vulgo le parole della vita e della speranza, non assunsero la lingua forbita, ma la comune, la vernacola. Essi mostrano sprezzare l'eleganza e persino la correzione; sant'Agostino dice che Dio intende anche l'idiota, il quale proferisca inter hominibus; san Girolamo professa voler abusare del parlar comune per facilità di chi legge (40). Gregorio Magno era uno degli uomini più colti del suo tempo, amava le belle arti, come provano e gli edifizj che

(38) Allora troviamo acedia e acidia; agon per agonia; angariare per costringere: anathema, anatomia, apocrisarius, blasphemare, camelasia carica di mantenere i camelli; blatta per porpora; canceroma per carcinoma; chaos; decaprotia dieci primi; diabolus, elogiare, enlogium, hypocrisis, idolatria, neotericus, plasma, sitarcia provvigione pei vascelli, sitona intendente alla compra dei grani, ecc. ecc., mastigare (μ.zony), come pure abominatio, beatitudines in plurale, burgus, capitatio, cervicositas caparbietà, collurcinatio per comissatio, computus, concupiscentia, consistorium, constellatio, creatura, cuprum, desitudo, desolatio, dominicum per templum, exibitor, figmentum, habitaculum, hortolanus, incentivum, incentor, incolatus, infeminium e fœminal, inordinatio, juratio e juramentum, latrunculator, legulus, localitas, magistratio, matricula, mediator, notoria lettera, partecipatio, prævalentia, protectio, rectitudo, sanctimonium, sufficentia, triumphator, ecc. E ciò oltre alle voci cristiane di abyssus, agape, anastasis, apostata, baptizare, cœnobium, catholicus, clericus, eleemosyna, eremita, ethnicus, gehenna, laicus, martyr, monasterium, orthodoxus, papa, propheta, protoplastes primo creato, scandalum, ecc.). E sant'Agostino scrive pausare arma josum posar giù le armi.

(39) Quum ipsa latinitas et regionibus quotidie mutetur et tempore. Comm, in ep. ad Galatas, II. prol.

(40) Volo, pro legentis facilitate, abuti sermone vulgato. Ep. ad Fabiolam. Sant'Agostino, Et potui illud dicere cum tracto vobis: sæpe enim et verba non latina dico ut vos intelligatis (Enarr. in Psalm., 123, 8). Sic enim potius loquamur; melius est reprehendant nos grammatici, quam non intelligant populi (In Ps., 138, 20, 8).

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