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pessimi proponimenti. Non penate più (7): andate, e mettete in ruina le bellezze della vostra città; spandete il sangue de' vostri fratelli; spogliatevi della fede e dello amore; nieghi l'uno all'altro ajuto e servigio. Seminate le vostre menzogne, le quali empieranno i granaj de' vostri figliuoli: fate come fe' Silla nella città di Roma, che tutti i mali che esso fece in dieci anni, Mario in pochi dì li vendicò (8).

Credete voi che la giustizia di Dio sia venuta meno? Pur quella del mondo rende uno per uno. Guardate ai vostri antichi, se ricevettero merito nelle loro discordie: barattate gli onori che egli (9) acquistarono. Non v'indugiate, miseri, chè più si consuma un di nella guerra, che molti anni non si guadagna di pace; e piccola è quella favilla che a distruzione mena un gran regno.

Come vero storico va anche considerato il Salimbeni da Parma, che de' fatti cerca la ragione, l'ordine, la conseguenza. Piace il trovare già in quei primitivi il sentimento che visse finora, dell'indipendenza italiana (10).

E che sin d'allora anche in lavori pensati s'adoprasse l'italiano n'è prova frà GUIDOTTO da Bologna, che verso il 1260, per uso de' laici, cioè di quelli che non sapeano di latino, raccolse precetti di Cicerone nel Fior di retorica. Insegnando il modo di esornare questo pensiero, Non si dee schivare alcun pericolo per far salva la patria, così espone:

Coloro che sono savj, per lo Comune (11) non ischifano mai pericolo niuno, perchè, chi per lo suo Comune non vuole perire, col suo Comune spesse volte perisce. Conciossiacosachè dalla città ove l'uomo abita abbia ogni suo bene (12), niuno pericolo gli deve parere grave per camparla. Dunque chi fugge quel pericolo che per lo suo Comune dee pigliare, mattamente si parla; perchè fuggire da sezzo (13) nol puote, e vive tra gli altri cittadini vituperato. Ma chi prepone il pericolo del Comune al suo speciale, fa saviamente, perchè al suo Comune rende il debito suo, e vuole per altri più avaccio (14) perire con onore, che con

molti vivere con vergogna. Perocchè molto è grande iniquità la vita, che dalla natura ha avuta e per lo suo paese ha conservata, quando la natura la richiegga per lo suo paese e quando fa bisogno, non darla: e a grande onore potendo morire, volere con disonore vivere. E come è da riprendere colui che, quando naviga, più avaccio la nave che le persone intende a salvare, così di colui è da fare heffe e scherno, che, in sul grande pericolo, più provvede al suo salvamento che a quello del Comune, perchè, spezzata la nave, molti ne possono campare; ma quando perisce il Comune non ne campa veruno.....

Sono testi di lingua le traduzioni fattane da BONO GIAMBONI, vissuto dal 1240 al 1300, del quale sono a raccomandare i trattati della Miseria dell'uomo, il Giardino di consolazione, la Introduzione alla virtù, versioni, o piuttosto imitazioni del BRUNETTO LATINI (15).

(7) Non indugiate.

(8) Silla e Mario, autori della prima guerra civile dei Romani: Mario vendicò con nuovi danni quelli arrecati da Silla. (9) Essi. Ora è rimasto ai poeti. Barattare qui è volger in peggio.

(10) Nam opinio inhumana trahit sententiam ut non erat alii Italiam posse fieri tributariam alicui, nisi Italicorum malitia procederet ac livor.

(11) Il Comune fu sempre il fondamento

del vivere cittadino in Italia. Equivale a quel che in latino respublica, e ora da noi la Patria, lo Stato.

(12) Invece di conciossiacosachè... abbia, oggi si direbbe avendo.

(13) Da ultimo.

(14) Presto.

(15) BRUNETTO LATINI, Il Tesoretto, volgarizzato da BONO GIAMBONI. Bologna 1878, edit. L. Gaiter.

Del consiglio ch'ebbe Satanas

colle furie infernali.

Veggendo Satanasso, il quale è principe dei demonj, che tutta la gente del mondo era convertita alla fede cristiana, e per li suoi ammonimenti erano molto perfetti diventati, e che erano cacciate via tutte le sue fedi e resie ch'avea seminato nel mondo, che metteano le genti in errore, cominciò ad essere molto dolente, e spezialmente perchè era certo che non potea più l'uomo e la femmina ingannare, infine che della verace fede erano armati: però ragunò tutti i demonj e le furie infernali, e pigliò consiglio da loro, che via sopra questi fatti dovesse tenere, che delle genti del mondo così al tutto perdente non fosse. E furono certi demonj che dierono per consiglio, che con Dio onnipotente cominciassero la guerra, e dessongli sì grande impedimento alle sue operazioni, che gli venisse voglia di conciarsi con loro, e di quietare (16) delle genti del mondo una parte, e l'altra tenesse per sè, che peggio non potea loro fare Iddio che privarli degli uomini e delle femmine del mondo al postutto (17). E altri v'ebbe che dissero, che per li demonj si turbassero e si commovessero i pianeti, e impedimentissesi il corso loro, sicchè in terra la natura non potesse fare le sue operazioni; e facessero venire nel mondo grandi piaghe, e grandissime e terribili pistolenzie, sicchè si spegnesse l'umana generazione, e niuno non andasse poi in paradiso e rimanessero vuote le santissime sediora in paradiso che si dovieno empiere. Al dassezzo si levò Mammone, cioè quello demonio che è sopra le ricchezze, e sopra amministrare la gloria del mondo; e consigliando, disse: < A cominciare con Dio onnipotente guerra non me ne pare che sia convenevole, perchè la cominciammo altra volta, e piglioccene male, e fummo di buono luogo cacciati, cioè di paradiso, e delle sante sediora, là ove eravamo allogati capi. E ad impedimentire il corso dei pianeti, e a

(16) Cedere. Antiquato: è la radice di Quitanza.

(17) Antiquato. Del tutto; come pistolenzie per pestilenze; impedimentire per

tôrre alla natura in terra la sua operazione, od a fare venire nel mondo pistolenzie o piaghe, non credo che ci fosse licito a fare: che, avvegnachè ogni male si faccia per noi, non è niuno si piccolo o vile che possiamo fare se non è prima da Dio conceduto. Ma se vogliamo ispegnere la fede cristiana, e spogliarne l'uomo al postutto, sicchè ritorni in nostra podestade, parmi che possiamo tenere questa via: io ho uno uomo alle mani, il quale si appella Maometto, che fino da teneretta etade è riposto nel mio grembo, ed è nutricato del mio latte, e cresciuto e allevato del mio pane, e oggimai compiuto e grande fatto come ogni uomo; e ha in sè tanto iscaltrimento di malizia e della reitade del mondo, ed è si desideroso d'avere e degli onori e delle cose mondane, che già mi soperchia di malizia, e non mi posso vantare che io in me n'abbia cotanta. E ha una bellissima favella, e in Dio non ha alcuno intendimento. Se voi ancora da capo volete fare nuova legge contraria a quella di Dio, e insegnarla a costui, e farla per lo mondo predicare, questi la farà credere per legge di Dio, e corromperanne tutte le genti, e farà ispegnere la verace fede cristiana, e rimetterà l'uomo in nostra podestà». E fu comandato che più non si dovesse aringare in su quella proposta. E quando fu il consiglio tutto partito, si ragunarono i demonj dell'inferno, e feciono nuova legge contraria a quella di Dio, e tutta d'altre credenze, e chiamaronla Alcoran (18); e insegnaronla a Maometto perfettamente, perchè l'avesse bene a mano. E poi dissero: Va, e predica questa legge, e dì che sia data da Dio; e noi saremo sempre teco in tutte le tue operazioni; e se tu ne farai questo servigio e andrà innanzi per lo tuo fatto questa legge, noi ti daremo molte ricchezze, e signorie di molte genti, e distenderemo la tua fama, e avanzeremo lo tuo nome, e faremolo glorioso nel mondo più che non fu anche niuno che nascesse di femmina corrotta ».

impedire, e sediora per sedi, e dovieno, e dassezzo per alla fine, e unqua per mai.

(18) Corano o Al Coran chiamasi li libro della legge civile e religiosa de 'Maomettani.

Quando Maometto s'udi fare queste impromesse, essendo uomo molto mondano e di vanagloria pieno, e di Dio non avea alcuno pensamento; e sentendosi scaltrito delle malizie del mondo, e con una bella favella, e bene acconcio a queste cose, pigliò questa fede, e cominciolla a predicare oltremare, acciocchè la fede cristiana, che era a Roma a quella stagione, non se ne potesse avvedere. E convertivvi in piccolo tempo molta gente, tra per suoi scalterimenti e per l'ajuto de' demonj, e appellasi Alcoran, e appo noi Legge Pagana(19).

(Introduzione alla virtù).

<< Questo Manfredi crebbe tanto, ch'ebbe il reame di Puglia e di Cecilia. Onde molti dissero ch'egli l'ebbe contra Dio e contra ragione, sì che fu del tutto contrario a santa Chiesa, e però fece egli molte guerre, e diverse persecuzioni contra a tutti quelli d'Italia, che si teneano con santa Chiesa, e contra a questa partita di Firenze, tanto che ellino furo cacciati di loro terra, e le loro case furon messe a fuoco ed a fiamma e a distruzione. E con loro fu cacciato mastro Brunetto Latini, ed allora se ne andò egli per quella guerra sì come iscacciato in Francia » (20).

(Il Tesoretto).

Insignemente predicò il b. Giordano da Rivalto († 1311), che alle brevi prediche innesta racconti miracolosi. Jacopo Passavanti († 1357) fece lo Specchio della vera penitenza, abbondando in esempi e visioni di dannati, proponendosi di dare come un antidoto al Decamerone del Boccaccio, pieno di fatti osceni.

Molto si elevò Caterina, popolana di Siena, tutta pietà fervorosa (†1378), che espandevasi in lettere, delle quali ne abbiamo 373, ammirate dai dotti quanto dai devoti, e che essa spediva a regnanti, a magistrati, e massime ai pontefici per richiamarli di Francia alla loro Roma (21).

Altre lettere restano del b. Gio. delle Celle di Calignano, del b. Giacomo e Colombina da Siena.

Molte lettere di borghesi furono ultimamente stampate, non per intrinseco valore, ma per ingenuità di espressione.

Lettera di un notaro per Lapo Mezzi ad un mercante:

In Prato, 3 giugno 1995.

Stamane vi scrissi, e mandai la lettera a monna Margherita, solo per dirvi novelle di Guido, e quello che vi manda a dire, da Pavia, del giovane vostro di Melano; e dissivi di lettere aute da Barzalona, poi Simone andò. Non ne dico più, che l'arete auta.

(19) Onde l'Ariosto e il Tasso chiamano sempre pagani i Musulmani; eppure questi non adorano idoli, ma il Dio vero e solo, fin al punto di escludere la Trinità. Si avverta la conformità di questo concilio infernale con quello del Tasso.

(20) Sulla spedizione di Carlo d'Anjou, importantissima nella nostra storia, raccontata da moltissimi scrittori, una nuova gravissima recensione è comparsa or ora negli Atti della R. Accademia de' Lincei, dalle più recondite fonti traendo notizie e

Questa vi fo per risposta a una vostra che ricevetti oggi. De' fatti di Francesco diremo per agio. Voi e io siamo in uno volere: ciò che m'ha fatto noia è che la ragione e la legge provvede ad ogni cosa e questo giudice volontaroso ha peccato nel troppo; e verrà tempo che per la coscienza sua ne fia dolente, nell'avere tra

particolarità. L'autore Merkel studia l'opinione de' contemporanei sull'impresa italiana di Carlo, seguendo le indicazioni guelfe e ghibelline e il trasformarsi di queste man mano che si allontanarono dagli avvenimenti (vol. IV, serie Iv).

(21) Delle lettere e opere di S. Caterina si fecero varie edizioni e storia anche all'estero in questi ultimi anni. In Italia, solo quella di N. Tommaseo, 4 vol., Firenze 1860.

passato un poco il segno a fine di vano

onore.

E fiorini no gli prestava io, anzi gliel donava, e di più non volea esser richiesto; bastavano bene quegli a me e ai miei fanciulli, che non avevano peccato ne colpa. Or come che, solo per lo fallo io non sarò mai ne potrò essere amico di Francesco come prima; pure io non vorrei che io e ogni amico fosse castigato d'ogni suo peccato. A me non pare di esser di que' giusti, ch'io chiedesse la giustizia sopra me. E per questo non allegerò però il fallo di quello impazzato. Se l'avete sovvenuto per mio amore, io mi v'era e sono più obbligato. Io fui richiesto di scrivervelo, e nel volli fare per questa materia; che non mi parrà ch'altrui toccasse il fallo, e a voi la pena. Pur è il vostro doppia cortesia.

Ser Paolo ebbe caro quello aceto più che malvagia; e così mandai a dire a casa

vostra da sua parte, come e' mi disse: e volentieri v'ode ricordare. Se vedeste una lettera che Guido mi scrive della morte sua (che udì che era morto in quel modo), nolla finireste di leggere che prima l'areste piena di lagrime. Mostrarolla un dì a Barzalona. Manda la monna Francesca.

La stanza vostra costà e lo star qua, mi diletta quanto io veggio sia più vostra consolazione. Io vel dico in verità, e non guardo al piacer mio, ma al vostro riposo della mente; chè altro non possediamo che vaglia uno frullo, se none pace mentale e amor di Dio. Sappiate scegliere questo tempo, e ruballo al mondo, meglio che non so io.

Monna Margherita non visito per vergogna; ma pensando fare utile a voi o a lei ogni sera andrei a sapere s'io ho a far nulla. Dio vi guardi e v'aiuti. — Lapus Mazzei oster « iunii ».

Allora furono in voga grandissima le novelle, e una delle raccolte più importanti, lasciandone pure indietro molte altre, è quella del Novellino, detto altresì Fiore del parlar gentile. Intorno a questo libro son state fatte molte dispute per cercarne l'autore, che da alcuni si disse essere stato frate Guidotto da Bologna, e da altri Francesco da Barberino, e per stabilirne l'intento di sua composizione. Perchè alcuno ha creduto che esso sia un centone di racconti raccolti da qualcuno che poi voleva ampliarli, trovandosi differenza grande fra i racconti stessi, alcuni aridi e brevi, altri svolti ampiamente. Altri ha pensato che il Novellino sia opera finita di alcuno ignoto. È certo però che i racconti hanno origini diversissime, presi come sono, altri da tradizioni orali, altri da novelle venute d'Oriente, altri da testi latini. Ma, in compenso, aurea ne è la lingua in quella sua semplicità primitiva.

NOVELLINO.

<< In Chostantinopoli s'avea, antichamente, una grande piazza di fuori dalla cittade, ne la quale piazza s'avea apicchata una champana, la quale no' la sonava alchuno se no' a chui fosse fatto grande torto, o in avere o in persona, da ttale di chui elli non si potesse attare; et quella cotale champana sonavano que' chotali a chui era fatta la vingiuria, e non neuna altra persona. Et nella detta piazza stava uno giudice per lo chomune della detta cittade chon certa famiglia, et non n'avea ad attendere ad altro se non a l'oficio della champana.

« Questa champana v'era istata si lungho tempo a l'acqua et al vento che la fune era tutta venuta meno, et per necessità v'era apicchata una vitalba. In quella cittade s'avea un nobile e grande chavaliere molto ricchio, et avea uno suo destriere il quale era molto vecchio, sì che per la vecchiezza non si poteva più chavalchare; ed elli nol volea farsi schortichare se prima non morisse di sua morte, ne fare uccidere; et l'altra che non era cosa da donarlo altrui. Feceli trarre il freno e il cavicciule, et levarsi la sella, et chiamando a' fanti suoi che l'andassero fuori della stalla che si andasse a prochacciare di sua vita, ch'elli, per sè, no li volea far

dare più mangiare, dacchè non si potea chavalchare ne adoperare agli altri suoi bisogni. I fanti fecero si come fue loro comandato. Or venne questo destriere, et andando per le pratora pigliando sua vita, or venne si chome le venture vanno, el arivoe a questa champana et per la grande fame pigliò questa vitalba per rodere, per pigliare sua vita.

< La champana sonò; il chavallo non lasciava, però che non sapea che ssi fosse: la champana pur tirava et il chavallo sonava. In quella la famiglia del giudice trasse, et trovò il chavallo che sonava la champana. Incontanente l'andaro a dire al giudice: quelli, udito ciò, si maravigliò molto, et pur volea attendere a ffare ragione, si chome dovea sechondo che dicea lo statuto, che li conveniva osservare.

Raghunoe il suo consiglio, et disse il fatto; et così fue consigliato di mandare per lo segniore chui era stato questo de striere et chomandogli, soppena di lo su, che mandasse per questo destriere, et tanto il tenesse, quanto e' vivesse; imperò da che l'avea servito dacch'era giovane, ch'elli i pasciesse da vecchio, infino a tanto ch'elli vivesse.

« Et com'egli consigliaro, così andoe il giudice innanzi cho' la ragione; et mandato per lo chavaliere, et feceli rimenare a chasa, et prese da lui certi malevadori da ttenere la 'npromessa et il chomandamento che li fece; et chosì fue fatto. Il chavaliere si fece rimenare il destriere a chasa, et tanto il tenne quanto e' vivette e feceli dare le spese siccome li bisongnava ».

Chè quelli educati nei pregiudizj della scuola farà meravigliare d'udire tanti nomi e tante opere prima di quello che è dato come padre della lingua e della letteratura italiana. La storia mostra ben altro e senza derogare nè andar probi di quello che si rende impari dei precedenti, nè da alcuno dei susseguenti a superarli.

Zotica di atti, aspra di parole, stranamente ingenua o scortesemente franca nella espressione e letteraria ed artistica, con perpetui contrapposti di rusticità e gentilezza, di ferocia e santità; con irregolare sviluppo della personalità; con un procedere non per teoriche ma per fatti, i moderni pedanti qualificano di barbaro il medioevo come Voltaire qualificò barbaro Dante che ne è il miglior rappresentante. Tempi monarchici come gli odierni, affogati negli interessi materiali, ove la persona morale è avviluppata e quasi assorta nell' ingerenza governativa, e l'onnipotenza sociale annichila le franchigie di ciascuno, mal possono comprenderne uno, tutto di individualità, di varietà, fermento di scomposizione e ricomposizione.

Ma in fatto il medioevo non lasciò spegnere alcuna favilla di ciò che importava nelle dottrine e nella civiltà degli antichi, mentre tante invenzioni aggiunse; accennassimo anche solo la chimica, la bussola, la polvere, la stampa. Alla sapienza greca e romana, erasi aggiunta l'araba, fiorente nelle scuole di Cordova, di Bagdad, di Salamanca, e propagata colla missione dell'Islam.

L'arabo e l'ebraico studiavansi come il greco; la poesia tedesca esultava nei canti dei Minnesingeri, e portata a somma altezza da Enrico di Waldeck, da Walter di Vogelweide, da Wolfram d'Eschenbach, da Enrico di Ofterdingen. I Nibelunghi avevano allora l'ultima loro composizione. La poesia provenzale era una raffinata poesia d'amore, tutta leggiadria e gentilezza; e la francese, come abbiamo visto, celebrava i Paladini con le sue Chansons de gestes.

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