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nati, stimati e descritti da uffiziali deputati a ciò: poscia bollavansi col bollo del Comune. Caso che il cavallo per pubblico motivo venisse guasto, morto o ferito, il danno veniva compensato al padrone dal Comune. Ciò dicevasi emendare. Finchè il cavallo non fosse emendato, correva la paga al milite senz' obbligo di servigio. Cavallo emendato contrassegnavasi, per non averlo ad emendare una seconda volta.

Aggiungeremo ancora che negli eserciti generali si muovevano le cavallate di tutti i sesti; nelle imprese minori davansi lo scambio (1). E questo basti intorno agli ordini della cavalleria de'Comuni italiani.

IV.

In tre modi trattavano i Comuni la guerra aperta. La gualdana era un'improvvisa scorreria a preda e guasto sulle terre nemiche; e tal nome avea l'operazione, tale eziandio la ribaldaglia che l'eseguiva. Facevasi cavalcata, allorchè cavalli, arcieri e balestrieri mettevansi a breve impresa di assalto o depredazione, senza carroccio e padiglione maestro. All'oste o esercito generale concorreva tutta la popolazione a cavallo e a piè, concorrevano tutti i gonfaloni, tutte le compagnie; sicchè nel campo stava tutto lo Stato.

Quando i nomi di Guelfo e Ghibellino smembrarono l'Italia in due parti alternanti nel dominare, qua e là i Comuni raggruppavansi in leghe le une alle

(1) Stato di Firenze, p. 268 (Deliz. degli erud. tosc. t. IX). Statut. Pinerol. L. VI (Torino, 1602). S. PQ. R. Statut. L. III. c. 43 (Roma, 1519).

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altre infeste, tutte poi di final rovina alla patria comune. Nelle leghe ad offesa giuravasi la guerra con tutte le forze, al sangue, all'incendio ed in ogni altro modo possibile. La sfida era nelle cose e nelle persone (1). Chiamavasi taglia sia la lega stessa, sia la parte di spendio e di gente, che toccava a ciaschedun alleato. Solitamente eleggevasi per capo della taglia il podestà del Comune più forte o riputato; e già per patti scritti e giurati s'erano fissati i limiti, la durata, la stagione, lo scopo della spedizione, il numero degli uomini a cavallo e a piè, come pagarli, come emendarne i danni. Comunemente non si parlava di acquisto; perchè il fine non era già di crescere, ma di piantare le insegne guelfe ove fossero ghibelline, o per l'opposito. Nel caso di totale vittoria ripatriavansi gli usciti, davasi in loro balia la città, davansi gli averi de'nuovi banditi, che presso contraria lega già s'affaticavano ad attizzare la guerra contro le mura da loro stessi poc' anzi difese e signoreggiate.

Allorchè la spedizione non somministrava frutti così abbondanti, i vincitori limitavansi (e chi è dei lettori che l'ignori?) ad abbeverare i cavalli sotto le mura ostili, coniarvi moneta, farvi correr pallii, manganar asini, e tagliar l'olmo, che a indizio d' indipendenza s'educava avanti la porta. Nè badavano per conseguire queste dimostrazioni esteriori ad ommettere de' guadagni molto più veri e durativi; conciossiachè la vanità potesse in loro assai più che l'ambizione: e siccome dalla vittoria speravano, anzichè l'utile, l'onore e l'esaltazione di un principio,

(1) Cum tota fortia ad ignem et sanguinem et aliis modis omnibus, quibus poterint. Savioli, doc. 344. 343. 363.

cosi trionfar volevano, non soggiogare (1). L'idea di riunire molte provincie e dominarle insieme non germinò in Firenze, se non dopo gli esempi deʼsignori di Milano e Verona: ma già in allora la milizia dei Comuni era disfatta, e soltanto avarizia e ambizione mantenevano l'armi in pugno a' combattenti.

Però ne' tempi che discorriamo, lo Stato era la città: poche pievi attorno le mura formavano il contado, le vicarie un po' più discoste il distretto; nomi, la cui derivazione vorrebbesi cercare nelle antiche giurisdizioni franco-feudali. Le terre più grosse tenevansi per raccomandate con un misto di soggezione e di lega non guari dissimile a quella de'signori rurali. Giuravano il seguimento ossia l'obbedienza del podestà, e di sostenere i pesi e le fazioni del Comune in pace ed in guerra: la città dal suo canto prometteva ad esse protezione e difesa, ed alle genti loro che rimanessero prese in guerra, procacciare il cambio non altrimenti che alle proprie (2).

Del rimanente quetava essa mai un po' la guerra tra' Comuni? e tosto ne sottentravano le sembianze. Già nell'ottavo secolo era quest'uso in Ravenna, che nei di festivi giovani e provetti uscissero ne'prati sotto le mura, e quivi que' d'una porta sfidassero que' dell'altra a zuffa, che, cominciata per sollazzo, poi seguitata per gara e rabbia, terminava sovente in sangue ed odii. Ed era non di rado fra gli abbattuti chi tollerava anzi di venire ucciso che arrendersi. Un di i Puster

(1) Come fecero per es. i Fiorentini con Volterra nel 1254. V. Malespini, Cron. c. 154.

(2) Poggiali, St. di Piacenza, t. IV. 182. — Flam, del Borgo, Dipl. Pisani, A. 1254.

lani, disperati di trionfare in altro modo de' Tiguresi, invitaronli partitamente a convito, però sotto promessa che non lo dicessero a veruno. Accettarono i Tiguresi : ma mentre che, dimentichi d'ogni gara passata, giocondansi fraternamente alle mense ospitali, eccoli in un subito col ferro, col laccio, colle percosse, col veleno assaltati e spenti. Poscia in tal silenzio i Pusterlani li seppellivano nelle apparecchiate latebre, che invano per molti giorni tutta Ravenna andò cercando tra le biade, per le case e ne'profondi gorghi i cari parenti (1).

Pavia, in quegli anni, in cui era potente tanto da mandare alla guerra tre mila cavalli e quindici mila fanti, di siffatte battagliuole allegrava le feste del carnevale; e nelle due piazze, o ne' prati sotto le mura, mezza città contro l'altra metà facevasi incontro, in una sola massa, o a squadra a squadra, od a uomo a uomo. Tenevano in capo elmetti di vinchi dentro e fuora imbottiti e l'insegna dipintavi sopra della rispettiva compagnia: una celata parava il volto, una criniera giovava ad aiutarsi l'un l'altro dal non cadere. Erano le restanti armature scudi tessuti di radiche, e mazze di legno. Il supremo capitano colla bacchetta in mano precedeva le schiere, e le ordinava a battaglia ; nella quale ora era un monticello, ora una casa, ora un passo che veniva in contrasto. Frattanto la famiglia del podestà vegliava attorno, acciocchè non si facessero ingiuria con armi vere. Finito il carnevale, le battagliuole cessa vano, e il campo rimaneva libero a'simulati duelli con mazza e scudo (2).

(1) Agnelli, lib. Pontif., p. 155 (R. I. S. t. II. p. 1).
(2) Anon. Ticin, de laud. Papiæ, c. 13 (R. I. S. t. XI).

Con questi ordini si armava, si riuniva, si esercitava la milizia de'Comuni d'Italia: con quali si amministrasse la guerra, procureremo di rendere manifesto, narrando minutamente tutto quanto venne operato da' Fiorentini nell' occorrenza di quella famosa spedizione, che ebbe termine inaspettato nella disfatta all'Arbia.

V.

Nel 1259, Firenze era guelfa, Siena ghibellina; ned è da aggiungere se fossero nemiche, e se i fuorusciti dell'una trovassero asilo e favore nell'altra. Alla fine Firenze, stanca delle pratiche ognor vive tra gli esuli suoi e il re di Napoli Manfredi, bandi la guerra contro Siena ricettatrice loro; e tosto, avendo piantato sulla porta di S. Maria la campana del carroccio, comandò di suonarla alla distesa notte e giorno, e richiese d'aiuto le città amiche e raccomandate, e pose mano a fornire l'esercito (4).

Cominciossi dal consegnare il supremo indirizzo della guerra al podestà Iacopino Rangoni da Modena; e in lui e ne' 12 capitani dell'esercito, cittadini eletti duc per sesto, consistesse la somma di tutte le cose. In nome del podestà si inviassero le lettere, si spedissero

(1) Malespini, Cron. c. 167-172. Marchionne di Coppo, St. Fior., L. II. c. 120-124 (Deliz. erud. tosc. t. VII). — Bindaccio de'Cerchi, la Batt. di Monteap. Del governo di Firenze, n. XII (Deliz. erud. t. IX). Le particolarità sono tolte dal libro in pergamena detto di Monteaperti, conservato in Firenze nell'archivio delle Riformagioni (class. XIII. distinz. II. n. 1). Sul dorso sta il titolo: Libro de la conducta et del campo del comuno di Fiorenza, el quale libro li fu tolto quando fumo sconfitti a Monte aperto....

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