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sculdascio; sopra 12 sculdascie o mille settecenventotto fare il duca; su tutti il re. Di ciascuna fara l'arimanno era capo e giudice nelle liti, che dentro vi nascessero; poi veniva il tribunale del decano; quindi secondo la gravezza e qualità de' casi, quello dello sculdascio, del duca, del re. Questi giudicavano coll'avviso di 12 sacramentali, eletti nella nazione ad accertare il fatto.

Del resto in pace e in guerra, nel tumulto delle battaglie, nelle agitazioni d'un processo criminale o d'una lite civile, gli stessi capi eran sempre: quindi la disciplina militare sosteneva la riverenza al magistrato, e questa quella. In conseguenza giudicare chiamavasi il reggere una provincia sia in guerra, sia in pace: giudici tutti i pubblici magistrati, specialmente i supremi dipendenti dal re: giudicarie i loro distretti. Per la sua famiglia l'arimanno, per la sua decania il decano, ned altrimenti lo sculdascio e il duca stava garante appo il suo capo e dava malleveria. Donne, servi, minori di 12 anni eran come cose; de'vinti Romani non appar traccia negli ordini militari; ma sembra che, ammollitasi cogli anni la ferocia de'conquistatori, i rimasti liberi non fossero alla fine disdegnati affatto nelle fazioni di guerra (1). Negli atti pubblici libero arimanno è il titolo d'ogni Longobardo, libero quello d'ogni ingenuo romano (2).

......

(1) Dal c. 9. L. VI delle leggi di Liutprando date cinquant' anni innanzi alla rovina dello Stato, si ha che esercitale era il minimo grado della persona libera si minima persona, qui exercitalis homo esse invenitur... Di qui parrebbe lecito concludere, che almeno in quel tempo ogni libero era esercitale. (2) Vesme e Fossati, Vicende della proprietà, L. II. c. VII, p. 192-201.

Del resto quanto alla milizia era essa obbligo e diritto precipuo di qualunque libero cittadino; proibiti gli schiavi di mescolarvisi, primachè manomessi; la dignità d'uom libero tanto esaltata, che donna ingenua sposata a servo potesse venire da' parenti uccisa, e si pagasse 300 volte più l'impedir la strada a femmina longobarda, che il battere un'ancella gravida. Ancella e giumenta aveano uguale stima nella valutazione delle multe (1). Pur la servitù presso loro, come presso a gente forte e valorosa, era mite; poca la domestica: i più degli schiavi lavoravan le terre, e ne pagavano censo.

Un diritto regolava ne'Longobardi la ragion criminale, e tenea viva nel popolo la natural ferocia e l'uso delle armi, il diritto della faida o vendetta, comune a tutta la stirpe germanica. Estendevasi l'obbligazione della faida al settimo grado di parentela o ginocchio: soltanto vendetta o composizione la estingueva. Nell'uno e nell'altro caso, come vedesi, non la pubblica legge, ma il privato sforzo degli offesi raffrenava il colpevole: la vendetta era la restituzione materiale dell'ingiuria; la composizione era un temperamento della vendetta, cui l'interesse individuale avea trovato, la legge autenticava.

Quindi a ogni reato propria multa: morte e prigionia pene straordinarissime: non mai la personale libertà tanto rispettata. La faida regolava altresì le successioni. Succedevasi nei beni, succedevasi nell'obbligo della vendetta: le donne, come inabili a soddisfarlo, n'erano escluse. Mancando erede legit

(1) P. Diacon. cit. I. 13. 12. 17. 338. 339. (R. I S. t. I. part. II).

- Roth. legg. 222. 226.

timo mascolino, il re sottentrava sia negli averi, sia nell'ufficio di vendicatore (1).

Niun Longobardo, quand'anche vescovo (2), riputavasi immune dalla milizia; proprio della qualità di arimanno, non peso imposto sull'allode pervenutogli in sorte nella prima distribuzione delle terre, essendo il dovere di seguire il suo giudice al campo. Appena di tutta la sua giurisdizione poteva il duca lasciare a casa 16 uomini; sei tra quelli che possedeano un cavallo; dieci tra quelli di minor sorte; i primi per giovarsi delle loro bestie al trasporto delle sue robe, i secondi per averne aiuto tre di alla settimana nel lavorio delle sue terre. Al medesimo effetto concedevansi allo sculdascio tre uomini della prima, e cinque dell' altra classe. I più ricchi recavano all' esercito corazza, destriero e compita armatura; a'meno agiati bastava lancia, ronzino e scudo; a'più poveri scudo, arco, turcasso e saette (5). Durante la spedizione e 12 di prima ed altrettanti dopo erasi franco da molestia per causa civile di debito o malleveria: le liti che insorgessero nel campo definivansi da'capi: pena di 12 soldi a chi disobbedisse al duca, o non accorresse secondo l'ordine stabilito all'esercito ed alle guardie: pena di morte a'sediziosi, sodducitori di schiera, ab

(1) Leo, St. d'Italia, L. II. c. II. § 1. 2. C.

(2) Ciò si deduce dalla risposta di Carlomagno a'popoli, che il supplicavano di dispensar i vescovi dall'esercito: Hac vero Galliarum, Spaniarum, Langobardorum nonnullasque alias gentes ac reges earum fecisse cognovimus, qui propter prædictum nefandissimum scelus nec victores extiterunt, nec patrias retinuerunt. Labb. Concil., p. 1162. t. VIII.

(3) Liutprand. legg. VI. 29.-Rachis, leg. A. 716. – Aistulph. legg. A. 750. c, 2 (ed. Vesmio).

bandonatori o traditori del compagno nel combattimento (1).

Ordini non meno severi mantenevano gelosa custodia alle marche o frontiere: niun forestiero v'entrasse senz' aver dato giusto riscontro del suo essere e de'suoi disegni; niuno ne uscisse senza lettera o contrassegno del re: multa di 20 soldi a chi scavalcasse le mura di alcuna fortezza: pena del capo a chi fuor del regio volere spedisse messaggio ne'popoli vicini (2).

II.

Tali sono le leggi militari de' Longobardi, che il tempo lasciò pervenire insino a noi. Considerandole attentamente, niun' orma certa di feudalità vi si fa manifesta. Ancor sugli ultimi anni di quella dominazione il servire in guerra è comune a tutti, senza divario di tempo e disciplina: bensì le ricchezze distinguono il modo di armarsi, non perchè diversa ne rimanga la obbligazione del servigio, ma perchè quell'armamento è a spese dell' arimanno, e accade proporzionarlo alle sue facoltà. Sistema feudale adunque non esisteva là, dove niun obbligo speciale sceverava questo da quel suddito.

Ma verun lontano indizio o apparecchio non traspariva egli di cotesta instituzione? I principii delle grandi mutazioni stan nascosti in molte cause generali, quasi vetta di monte occupata da folta nebbia. Il viandante mirandone le pendici, argomenta l'esistenza

(1) Aistulph. legg. A. 754. L. II. c. 21 Rothar. legg. 25. 6. 7. 20. 21. 22 (ed. Murat.).

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di quella: pure il definire quanto sia alta, come giri, come poggi, a lui non è dato, se non se per parole più o meno generali. Così nelle grandi ricerche storiche quasi un segreto istinto ne avverte, quella tal verità celarsi in molti elementi; ciascuno di essi di per sè non esser possente a darne verun preciso risultato; ma nel loro concorso dovere star riposta la cagione occulta di quel mutamento: altra cagione od occasione o manifestazione apparirne poi materiale (come sarebbe legge, trattato, battaglia o rivolta), e il fatto pigliar tempo da essa, quando da secoli le sue radici eran gittate.

Ecco quelle cose che possono accennare a futuro stabilimento di feudi presso i Longobardi.

1° L'uso antico germanico d'intrattenersi attorno certa comitiva di compagni e dipendenti sotto nome di gasindi, è serbato da' più potenti, eziandio dopo la conquista. Il re, i duchi, i fedeli del re continuano ad averne: chiamasi gasindio fin la servitù del liberto verso il signor suo, quando questi è duca (1) sonvi de'gasindi maggiori, sonvene de'minori: l'una e l'altra classe ha speciali privilegi di foro la composizione del menomo gasindo regio avanza di 50 soldi quella d'un semplice esercitale. A cotesti gasindi, compagni d'ogni suo pericolo, ministri d'ogni suo volere, vengon dal signore impartiti più specialmente gli uffici che stanno in sua balia. Il re sceglie tra essi i duchi, i messi, il marescalco, lo scudiero, il maggiordomo della propria curia: i duchi più potenti consegnan loro con titolo di conte

(1) Rothar. 225 (ed. Vesmio).

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