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DISCORSO

detto il 28 ottobre 1856 nell' Università delle Scienze in Bologna

PER LA DISTRIBUZIONE DEI PREMII

ALL' AGRICOLTURA E ALL' INDUSTRIA.

DISCORSO

DETTO IL 28 OTTOBRE 1856 PER LA DISTRIBUZIONE DEI PREMII
ALL' AGRICOLTURA E ALL' INDUSTRIA.

Poichè l'ufficio che io tengo di Presidente, m'impone oggi di dare con alquante parole cominciamento a questa solennità, saranno le mie parole innanzi tratto di gratitudine verso gl' illustri reggitori di questa Università, che con tanta gentilezza ci accolsero e ci ospitarono. E veramente nessun altro luogo nella città nostra poteva essere ad una pubblica mostra più acconcio di questo, vuoi per ampiezza, o per eleganza, o per dignità. Ma oltre la materiale convenienza che l'agricoltura e l' industria trovino ricetto in questi splendidi palagi, io ne scorgo una ancor più bella e morale, un simbolo della connessione intima e della parentela che le arti hanno colle scienze.

Che se in altri tempi potè per avventura regnare l'errore che la contemplazione e l'azione repugnassero fra loro, e gli uomini teorici fossero alieni al tutto dagli uomini pratici, la Dio mercè questo pregiudizio fu spento dall' esperienza degli ultimi tre secoli tanto fecondi di scoperte scientifiche, quanto. d' industri trovati. Laonde chiaro rifulse che nella cognizione delle leggi di natura è il più efficace principio di ogni utile industria e che l'uomo veramente tanto può quanto sa. Qual colono od artefice

repudiasse oggi i dettati della scienza, sarebbe come il selvaggio che, per cogliere il frutto, taglia l'albero che lo produsse. Egli è adunque conveniente e bello che a queste aule, dove per voi il vero si studia e s'insegna, arrechiamo i nostri prodotti d' ogni maniera, quasi a voi riferendoli come cagione, e dalla vostra bocca riceviamo i conforti e dalle vostre mani il premio di quelle opere, a fornire le quali ci avete dato lume ed indirizzo.

Questa concordia delle scienze e delle arti mi chiama a considerare un'altra armonia, quella dell'agricoltura e dell' industria, che sarà il soggetto del mio discorso.

L'antichità pose fra le meraviglie un filosofo, il quale non solo lavorava il terreno di per se stesso, ma quanto aveva indosso e la camicia e l'abito e i calzari e persin l'anello tutto era opera delle sue mani. Ma checchè si pensi di così strana lode, questo filosofo, se pur vi fu mai chi si finse così solitario e sciolto dagli altri uomini, non avrebbe potuto vivere fuori della società, donde gli era mestieri togliere le notizie e gli strumenti delle arti. Le quali rimangono rozze e segnano orme mal sicure finchè sono esercitate al bisogno, entro la famiglia, e congiunte alla pastorizia e all'agricoltura: allora soltanto escono dall' infanzia e camminano franche quando si disgiungono, e ciascuna diventa propria e peculiare industria. Di che la natura stessa è maestra, la quale, avendo dato agli uomini facoltà e propensioni diverse, insegnò ad ognuno di eleggere fra le varie occupazioni quell' una alla quale si senta più disposto, e coi prodotti di essa, mercè lo scambio, procacciarsi i prodotti dei quali abbisogna. La divisione del lavoro generò effetti meravigliosi moltiplicando indefinitamente le cose utili, e recandole alla maggior perfezione; indi lo scambio accomunò fra tutti gli uomini ogni maniera di appagamento. Che se ciascuno di noi ponesse mente ai fatti più

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