Immagini della pagina
PDF
ePub

torinese, intitolata Il Cimento; e risguardano lo Stato romano.' Primieramente vi si fece a narrare i lavori della nuova Consulta di finanze riunita nel 1853 in Roma, e dalle proposte informative di essa argomentò le condizioni del pubblico tesoro. A modo di appendice diede un sunto di varii progetti circa la ferrovia longitudinale dello Stato, i quali, avendo molto grido e favore, al voto della Consulta medesima erano stati sottoposti come plausibili e serii. A lui, che di tali materie era peritissimo, fu agevole smascherarne la vanità; ed è cosa di fatto che in breve tutti quei progetti sfumarono. Finalmente, allorchè il Galli diede in luce i bilanci dello Stato pontificio, prese in otto articoli a disaminarli, cribrandone le cifre, discutendone i metodi, giudicandone gli effetti, non senza rendere a quel Ministro le debite lodi per avere egli primo messo in luce lo stato vero delle finanze pontificie. A questi lavori non è sottoscritto il suo nome; ma da un breve elogio che di lui fu stampato a Torino, gli sono asseverantemente attribuiti. Nè io posso dissentire da tale affermazione, sì perchè l'autore di essa è in grado di conoscerlo, sì perchè pochi altri in Italia sarebbero stati idonei a tal'opera, sia infine perchè l'indole del suo scrivere vi apparisce manifestamente.

In questo tempo viaggiò per varie contrade d'Italia e fuori. Fu all' Esposizione generale d'industria in Londra nel 1852; poi a quella di Parigi nel 1855. E comechè in generalità molto si dilettasse nello studiare i progressi delle arti, e dei novelli trovati fosse curiosissimo, mirava soprattutto a quelle cose che potessero utilmente imitarsi o applicarsi alle industrie italiane e all'agricoltura. Per la qual cosa da entrambe quelle capitali recò semi di utili

* Delle Finanze degli Stati romaní, Cimento, anno II, serie 2a, vol. IV, anno 1854. Progetti di Strade ferrate pontificie, ivi. Sulle Finanze dello Stato pontificio, articoli otto, ivi, anno III, serie 3a, anno 1855.

piante, che per la prima volta vennero sperimentate fra noi. E a me sarà perpetuamente cara e malinconica la ricordanza di questi viaggi, dei quali parte facemmo insieme, e dove potei gustare le dolcezze di una cordiale amicizia,

In Toscana ed a Torino prolungava sovente e con molto suo diletto la dimora: colà, perchè ci aveva molti ed antichi amici; quivi, per l'affetto vivissimo a quella forma di reggimento. E quando il Piemonte fu invitato dalla Francia e dalla Gran Bretagna ad unirsi a loro nella guerra orientale, il Recchi non si rattenne dall'esprimere il suo giudicio in favor della lega, confidando che, in quelle imprese ardite e memorabili, il senno civile e la gloria militare della Sardegna riceverebbero nuovo lustro, e si ritemprerebbero a beneficio d'Italia. Ed era a Torino allorchè giunse sull' ali elettriche il dispaccio di Alfonso La Marmora che annunziava la battaglia di Tractir, e la gloriosa parte che vi ebbero le truppe italiane. Al quale annunzio, recatogli con amorosa sollecitudine dal suo e mio amico carissimo Giuseppe Massari, versò lagrime di gioia, e sentì rinnovellarsi in cuore quelle dolci speranze che avevano abbellito tutta la sua vita.

Ma già da alcuni anni un crudele morbo di occulta natura e di mortifera qualità crudelmente lo travagliava. Le membra languivano, la persona immagriva spaventosamente, gli occhi pareva che dalla testa schizzar si volessero solo la mente rimaneva lucida e ferma, e degli studii più che mai vaga, quasi a mettere in non cale i patimenti del corpo. I quali tolleraya con mirabile fermezza, sollecito di nasconderli quanto possibil fosse a' suoi cari per non rattristarli. E fu per noi gran fatica il conseguire ch'egli s' inducesse a consultare alcuni fra i medici più illustri d'Italia. Nel principio del 1855 pareva che alquanto si riavesse, e le aure benigne di Nizza

gli ridonassero le forze e l'aspetto di sanità: ma quella non fu che una sosta, e il malore ripigliò il suo corso lento ed infrenabile. I medici hanno giudicato che la causa precipua risiedesse in una dilatazione generale dei vasi sanguigni, l'ultimo effetto della quale fu la paralisi, che, ripetuta a breve intervallo, nel 12 aprile 1856 lo condusse al sepolcro.

Esprimendo le rare qualità di Gaetano Recchi come scrittore e come statista, io ho tralasciato per avventura la più bella parte di lui benchè modesta, cioè le virtù private. Imperocchè tutti coloro che ebbero a fare con esso, rimasero ammirati della sua probità e delicatezza, e ne serbarono una memoria indelebile e riverente. Pregiava sopra tutte cose la veracità: riguardandola come principio della fede, della giustizia, della generosità, di tutte quelle doti insomma che formano la vera grandezza e dignità umana. Che anzi mentre era indulgentissimo pei difetti altrui e inchinevole a perdonarli; in questo solo mostravasi di una rigidità inesorabile, che chiunque avesse una sol volta con lui mentito, non avrebbe potuto mai racquistare la sua benevolenza.

Il suo animo fu connaturato ad amare, e facilmente s'affezionava a chiunque l'accostasse: pietoso alle sventure, pronto a soccorrere chi bisognasse di consiglio o di aiuto; affabile sempre con tutti e insieme dignitoso. Ebbe un fratello che gli morì nel fior della giovinezza e lo pianse lungamente e amarissimamente; e, per quanto potè, volle serbarne la memoria in egregie opere d'arte. Ebbe inoltre molti e fedeli amici per tutta Italia, e questi gareggiavano a dimostrargli l'affetto loro. Ma soprattutto trovò negli ultimi anni della sua vita le più cordiali sollecitudini nella famiglia Mosti: ivi provò quanto l'amicizia più affettuosa, più tenera e più delicata possono porgere di conforto e di soavità. Dell' animo benevolo e gen

tile diede manifesto segno nel suo testamento: imperocchè distribuì la propria fortuna fra i parenti e gli amici, niuno dimenticando, ma riguardando ai più poveri, è non tralasciando di beneficare eziandio coloro che da gran tempò non aveva veduto. Fu alto della persona, bello dell'aspetto e di decorosa presenza: fronte ampia, capegli biondi, occhi azzurri, lo sguardo vivace e dolce, i moti e la voce spiranti franchezza è benignità. Pochi uomini furono più universalmente ben voluti e più sinceramente compianti. Negli ultimi giorni della sua vita avresti potuto scorgere un' ansietà e una tristezza grandissima in Ferrara, e la novella della sua morte fu riguardata da ciascuno come domestica sventura. Premio condegno ad una vița onorata: poichè a ragione si può dire di lui quello che dice Cicerone dell' uomo veramente buono:

Egli non ha mai nociuto ad alcuno, anzi ha giovato a >> tutti per quanto gli era possibile!' »

1 Cic., De Off., 3.

DI UN NUOVO ORDINE DI PREMII

ISTITUITO IN OCCASIONE

DELLA ESPOSIZIONE UNIVERSALE DI PARIGI

E RELATIVO AL BUON ESSERE

E AL MIGLIORAMENTO DEI LAVORATORI.

(1867.)

« IndietroContinua »