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l'Italia dalle riforme che ho divisate. Se noi avessimo ben fatte statistiche, dalle quali ritrarre notizie precise sulla quantità dei prodotti cereali, sul consumo interno, e sulla esportazione, il nostro argomento avrebbe fondamento di certezza. Ma perchè questi dati o mancano, 0 sono inesatti e non compiuti, è forza in via di probabilità e di congetture ragionarne. Nondimeno, egli si pare che l'Italia posta in così felice plaga di cielo, privilegiata da natura d'un fertilissimo terreno, debba produrre maggior copia di cereali di quel che al vivere dei suoi abitanti fa mestieri. E lo conferma anche il fatto. Imperocchè incominciando collo Stato pontificio, dal porto d'Ancona fu quasi ogni anno inviata una quantità notevole di grano indigeno in Inghilterra, circa 50 mila rubbi, e tal fiata oltre cento mila. E il Galli assicura che lo Stato nostro esporta per 700 mila scudi annui di cereali. Dalle tavole dell'isola di Sardegna vedesi che il grano entra come valor considerevole nell' esportazione, e Trieste trae anche dalla vicina Venezia e Lombardia una parte dei grani che spedisce di fuori. Nel regno di

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Napoli di qua dal Faro l'avanzo del grano raccolto oltre il consumo è di due milioni e mezzo di tomoli ogni anno, e ad un incirca il medesimo del grano turco. In Sicilia poi il grano forma il più abbondevole prodotto di quell'isola feracissima, e vuolsi che la metà delle terre da lavoro siano messe a tale cultura, di che ne consegue quello dover essere ancora il più importante oggetto di

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IV. Galli, Cenni economico-statistici sullo Stato pontificio. - Bilancio di commercio. Questa medesima cifra risulta ancora dal Prospetto approssimativo del Commercio marittimo nelle Esercitazioni dell' Accademia agraria di Pesaro. Anno I, semestre 1, 1829.

V. Bowring, Statistica della Toscana, di Lucca, degli Stati Pontifici e Lombardo-Veneti e specialmente delle loro relazioni commerciali.

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V. Serristori, Statistica d'Italia. Regno delle due Sicilie. 7 dispensa.

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traffico. Se vi fu adunque commercio finora, e anche coll' Inghilterra non ostante la tariffa, più copioso e più florido sarà in appresso col libero ingresso nei porti di quella nazione. Chi potrebbe poi dubitare che in Italia la produzione dei cereali non possa di molto aumentarsi? Quanti terreni non vi sono attissimi a quella coltivazione nella Romagna? Quanti nelle pianure di Napoli, nel Tavoliere della Puglia, e nella Calabria che vede due volte in un corso di sole biondeggiare le sue messi? Non potrebbe la Campagna romana vettovagliare molte provincie? E la Sicilia e la Sardegna che con lentissimo passo pur van risorgendo, non furono un tempo il granaio dell' Impero? Nè solamente dei grani possiamo far traffico, ma altresì e forse maggiormente degli altri prodotti agrarii, dei quali fu tolto o diminuito il dazio, come sete, vini, olii, canape, riso e mille e mille altri. Laonde perfezionandosi l'agricoltura italiana, avrà un nuovo e grande mercato, e potrà ricambiare i suoi prodotti con certe merci, che noi ci sforzeremmo in vano di produrre con pari eccellenza e a così bassi prezzi dell'Inghil terra. Nè piglino poi i troppo timidi spavento che l'esportazione divenendo troppo grande, ne rincarino i generi, perchè non siamo i soli che vi concorrano, ma vi approdano più sovente i grani d'America, e quelli che crescono sulle sponde del Baltico e del Mar Nero, fecondissime altrici di biade. E se la pace e la sicurezza regnassero nell' Egitto e nelle contrade orientali, niun'altra regione potrebbe versarne tanta copia in Europa. Ma quinci ancora l'Italia ritrarrà un vantaggio inestimabile per le scale acconcissime che offre, conciossiachè anche al presente i grani del Mar Nero non si recano direttamente

'V. Serristori, Idem. Isola di Sicilia. 4 dispensa.

Le Statistiche recate dal Galli, dal Bowring e dal Serristori mostrano che l'esportazione di tali prodotti dall' Italia è già molto considerevole.

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alle destinate piazze, ma si depositano prima nei porti di Trieste, di Genova, di Napoli, di Livorno, i quali di un tale ricambio traggono non lieve argomento di ricchezza. Un' útilità grandissima verrà poi a tutte le nazioni d'Europa ed a noi similmente dall' esempio che l'Inghilterra per la prima ci porge della libertà commerciale, della quale se v' ha paese che non debba sgomen tarsene, è certamente l'Italia. Io credo che la nostra patria sia principalmente ed essenzialmente agricola, ma non perciò estimo che sia meno atta a certe manifatture. E quando rammento le repubbliche del medio-evo aver dei loro prodotti fornito tutta l'Europa, e parte dell' Asia, non posso disperare che si sollevi alquanto da quella bassezza in che giace al presente. Se non che a tanta opera sono inefficaci e le società agrarie e le tecnologiche, le esposizioni pubbliche delle arti, i premi e gli incoraggimenti stessi del Governo. Un grande beneficio può derivarne dalle strade ferrate, se fieno condotte sollecitamente, estesamente e con un solo piano nazionale, deposte le gare e gl' interessi di municipio. Ma quello che ci darebbe moto e vita sarebbe una Lega doganale dei principi italiani a guisa della Lega germanica e la libertà del commercio, della quale tanto più agevolmente dovremmo presuaderci quanto che ne veggiamo i felici effetti nella vicina Toscana. Ma fintantochè ad ogni pie' sospinto avremo dogane, fintantochè i porti del Mediterraneo e dell' Adriatico non serviranno che ai singoli Stati, niuno confidi di aver traffici e industrie di gran nerbo in Italia.

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Il commercio orientale, che da tre secoli prese la via del Capo di Buona Speranza, tende manifestamente a

'V. Bowring, Serristori e il L' Loyd Austriaco.

'Il progetto di simigliante Lega fu discorso da parecchi scrittori, e specialmente dal Conte Balbo con molta sagacità e dottrina.

MINGHETTI.

rientrare nel suo primitivo corso attraverso il Mediterraneo. Il quale si può con sicurezza antivedere che tornerà ad essere in breve l' emporio massimo di tutte le negoziazioni fra le tre parti antiche del mondo. Ora qual paese può ripromettersi da un tal fatto maggiori utilità che la nostra penisola campata in mezzo a questo mare, mirabilmente acconcia come scala, transito, e mercato di tutte le nazioni? Ma se la fortuna ci presenta una opportunità così propizia, bisogna altresì che noi sappiamo e vogliamo approfittarne. E in ciò fa mestieri della perseverante e concorde opera di tutti i nostri governi. Perchè abbiamo a sostenere la concorrenza di altri popoli che già sono più avanzati e più potenti, i quali vorranno farne lor pro; e noi altra fidanza non abbiamo che nel senno e nell' operosità italiana. Che se in mezzo a tanta accortezza ed industria ci staremo neghittosi, beandoci del nostro sole e poltrendo nella mollezza, gli altri perciò non si staranno, ma seguirà a noi quello che la storia ci dimostra esser seguito a tutte le nazioni rimaste oziose e pusillanimi in mezzo a un grande commovimento civile, o commerciale: che non solo rimpiccioliscono rispetto alle altre, ma assolutamente decadono....

ELOGIO

DI

ANTONIO SILVANI.

Discorso letto alla Società Agraria di Bologna
il giorno 26 gennaio 1851.

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