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nale soggezione verso il marito, analoga a quella dei figliuoli, ed era sottoposta alla domestica giurisdizione del medesimo, rispetto al quale ella stava filiaefumilias loco: un freno si ebbe nondimeno nell' uso invalso di doversi dal marito convocare pei casi più gravi un consiglio di famiglia, specie di tribunale domestico,iudicium propinquorum o iudicium domesticum dal quale si distinse l' iudicium de moribus, inteso a regolare le conseguenze economiche del divorzio, e di cui diremo in seguito. E quanto a condizione patrimoniale, la moglie, equiparata a una filiafamilias, era incapace di avere alcuna cosa in proprio onde i beni che possedeva al tempo del matrimonio devolveansi al marito mediante una per universitatem successio e

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1 V. i testi riportati in nota 1 a pag. 170.

2 V. su questo istituto dell' iudicium domesticum i testi riferiti in nota 1 a pag. 101. Esso era richiesto per potersi punire la mo. glie quando si trattasse delle colpe più gravi, quali l'adulterio, l'o micidio, le arti magiche, la falsificazione delle chiavi, l'ubbriachezza. E con esso venne sensibilmente limitato l'ius vitae et necis del marito sulla moglie in manu: di fatti nel solo caso di adulterio in flagranti fu riconosciuto al marito il diritto di uccidere la moglie insieme e l'adultero (Gell. X, 23: « In adulterio uxorem tuam si deprehendisses, sine iudicio impune necares»; Quinct. V, 10, 104: «lex... prohibet adulteram sine adultero occidere »; Sen. Controv. I, 4: « dum utrumque corpus interficiat »).

3 Gai. II, 98: «... sive quam in manum ut uxorem receperimus, eius res ad nos transeunt; »-III, 83: « Etenim cum pater familias se in adoptionem dedit, mulierve in manum convenit, omnes eius res incorporales et corporales quaeque eis debitae sunt, patri adoptivo coemptionatorive adquiruntur ».

quelli che in seguito poteano pervenirle s'acquistavano dallo stesso marito 1.

Nel secondo, conservando la moglie la sua personale indipendenza, non era posta verso il marito se non in quello stato di naturale subordinazione che veniva richiesto dall' indole della società coniugale, subordinazione che occorreva pur quando la moglie fosse soggetta alla potestà del padre o dell'avo, contro i quali il marito potea far valere i suoi diritti su lei e reclamarla 2: avea luogo del rimanente anche qui l'esercizio della domestica giurisdizione e quindi l' iudicium domesticum 3; ed ebbe qui luogo precipuamente l' altro istituto suddetto, l'iudicium de moribus, come or ora vedremo. E quanto ai rapporti patrimoniali, la donna sui

1 Gai. II, 86: « Adquiritur autem nobis non solum per nosmetipsos, sed etiam per eos, quos in potestate, manu mancipiove habe. mus »; — 90: « Per eas vero personas, quas in manu mancipiove habemus, proprietas quidem adquiritur nobis ex omnibus causis sicut per eos, qui in potestate nostra sunt >>.

2 Sia mediante una exceptio contro l' interdictum de liberis exhibendis et ducendis, sia mediante l'interdictum de uxore exhibenda et ducenda. D. 43, 30 de liberis exhibendis, item ducendis, 1. 1 § 5: « Si quis filiam suam, quae mihi nupta sit, velit abducere, vel exhiberi sibi desideret, an adversus interdictum exceptio danda sit, si forte pater concordans matrimonium, forte et liberis subnixum, velit dissolvere ? Et certo iure utimur, ne bene concordantia matrimonia iure patriae potestatis turbentur » ; -1. 2: « Imo magis de uxore exhibeda ao ducenda pater etiam, qui filiam in potestate habet, a marito recte convenitur ».

3 Poichè l'istituto della giurisdizione domestica derivava pei romani dal rapporto e dal dritto maritale, e però si riscontrava e nei matrimonii cum manu e in quelli sine manu, come ho già notato a pag. 101 in f., e come risulta da' testi ivi citati, che non fanno in proposito alcuna distinzione.

iuris, e però capace di avere beni proprii, avrebbe conservato per sè durante il matrimonio e i beni che possedeva al tempo delle nozze e quelli che acquistava di poi, se non fosse sorto in tempo l'istituto della dote, che se forse non deve al tutto la sua origine ai matrimoni liberi, ebbe di certo in essi il suo maggiore sviluppo.

La dote (dos, res uxoria) ebbe questo di singolare, che tutti o parte dei beni proprii della moglie o che le venissero assegnati dal padre o da altri in occasione del matrimonio, passavano durante questo nel patrimonio e quasi nel dominio del marito, per agevolarlo a sostenere i matrimonii onera, salvo l'obbligo della restituzione in caso di scioglimento del vincolo matrimoniale. Essa poteva o consegnarsi effettivamente ovvero

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1 Il rapporto giuridico della dote fu modellato su quello, che già esisteva, della manus; e sembra che col tempo i due concetti si ravvicinassero sempre più e quasi si confondessero, come appari:ce da Cic. Top. 4: « Quum mulier viro in manum convenit, omnia, quae mulieris fuerunt, viri fiunt dotis nomine » e da' Frag. Vat. 115: « Num verum est, quod a quibusdam dicitur, omnia in dotem dari bona posse? Paulus respondit, recte dotem datam: dari posse, argumento esse in manum conventionem ». V. Serafini Ist tuz. § 164 Il marito fu riguardato come dominus de' beni dotali, per potergli concedere non solo di usufruirne, ma di rivendicarli, usucapirli, alienarli (poichè il divieto di alienare venne più tardi): D. 23, 3, 7 § 3 «Si res in dotem dentur, puto in bonis mariti fieri... fiunt autem res mariti, si constante matrimonio in dotem dentur »>; 9 § 1 « dominium ad maritum ipso iure transferri »; 75 « quamvis apud maritum dominium sit »; D. 23, 5, 13 § 2 « Dotale predium sic accipimus, quum dominium marito quaesitum est». Ma non fu ritenuto proprietario vero, essendo detto invece che quei beni appartenevano propriamente alla moglie: D. 23, 3, 75 « Quamvis

promettersi nel primo caso si aveva la dotis datio, nel secondo la dotis dictio o la dotis promissio. Si distinse poi la profecticia dos, che era la dote costituita dal padre o da un ascendente paterno della donna, dall' adventicia, che era la dote proveniente da qualsiasi altra persona 2: quest'ultima, quando se ne fosse pattuita espressamente la riversione, prese il nome di receptitia 3. Che poi sciogliendosi il matrimonio do

in bonis mariti dos sit, mulieris tamen est »; 4, 4, 3 § 5 « dos ipsius filiae proprium patrimonium est »; 21, 2, 71 «sicut mulieris dos est ». E questi concetti, non facili ad armonizzare, sono professati, si badi, anche ai tempi della giurisprudenza classica, nei quali, per l'interesse pubblico rannodato alla dote e per l'inalienabilità proclamata di essa (v. in seguito pag. 182 nota 2), il marito non ne fu più davvero altro che usufruttuario (D. 23, 3, 7 pr. «<Dotis fructum ad maritum pertinere debere aequitas suggerit; quum enim ipse onera matrimonii subeat, aequum est, eum etiam fructus percipere »). Essi furono solamente ripudiati da Giustiniano, in Cod. 5, 12, 30: « quum eaedem res et ab initio uxoris fuerint et natu raliter in eius permanserint dominio. Non enim quod legum subtilitate transitus earum in patrimonium mariti videatur fieri, ideo rei veritas deleta vel confusa est »>.

1 Ulp. Fragm. Vl, 1 e 2: « Dos aut datur aut dicitur aut promittitur. Dotem dicere potest mulier quae nuptura est, et debitor mulieris, si iussu eius dicat, item parens mulieris virilis sexus per virilem sexum cognatione iunctus, vel pater, avus paternus. Dare, promittere dotem omnes possunt»-La promissio era la costituzione della dote mercè l'atto solenne della stipulatio. La dictio, della quale poco ci è noto, sembra che fosse una promessa unilaterale, una semplice pollicitatio.

2 Ulp. Fragm. VI, 3: « Dos aut profectitia dicitur, id est, quam pater mulieris dedit; aut adventitia, id est, ea quae a quovis alio

data est».

3 Ulp. Fragm. VI, 5: « Adventicia autem dos semper penes maritum remanet, praeterquam si is, qui dedit, ut sibi redderetur, stípulatus fuerit: quae dos specialiter recepticia dicitur ».

vesse la dote per regola restituirsi, discende dal concetto e dallo scopo della medesima: pur nondimeno è a notare, che se il matrimonio scioglievasi per morte del marito, la dote ritornava alla moglie o al padre sotto la cui potestà ella trovavasi ; se per morte della moglie, restituivasi la dote profettizia, con detrarre a pro del marito un quinto per ciascun figlio, ma non l'avventizia, menochè la restituzione di questa non si fosse pattuita ; e se in fine per divorzio, ove questo fosse cagionato da sua colpa il marito non subiva che l'obbligo di restituire fra sei mesi o anche immediatamente la dote che avrebbe dovuto restituire nel termine ordinario di tre anni, secondo che si trattasse di colpe lievi o gravi, mores minores o maiores; ma ove la colpa fosse della moglie, si facea luogo a varie retentiones ex dote, sia propter liberos, sia propter mores, e con distinzione anche fra mores graviores e leviores per accertare le quali colpe, del marito o

1 D. 24, 3, 22 §§ 1 e 4.

2 Ulp. Fragm. IV, 4.

3 Ulp. Fragm. VI, 5 (cit. in nota 3 a pag. prec.).

4 Ulp. Fragm. VI, 9-13: « Retentiones ex dote fiunt, aut propter liberos, aut propter mores.... Propter liberos retentio fit, si culpa mulieris aut patris, cuius in potestate est, divortium factum sit. Tunc enim singulorum liberorum nomine sextae retinentur ex dote; non plures tamen quam tres sextae...-Morum nomine, gra viorum quidem sexta retinetur, leviorum autem octava. Graviores mores sunt adulteria tantum; leviores omnes reliqui Mariti mores puniuntur, in ea quidem dote quae a die reddi debet, ita: propter maiores mores praesentem reddit, propter minores senum mensium die. In ea autem, quae praesens reddi solet, tantum ex fructibus iubetur reddere, quantum in illa dote, quae triennio redditur, reprae

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