Immagini della pagina
PDF

mss. tra « domui », « domi », « domu ». (Cic. Tusc. 1, 22, 51 « animus in corpore est tamquam alienae domui » ; De off. 3, 26, 9, « domui suae » ; pro Mil. 7, 16; in Cat. 2, 6, 13 ecc. Tac. An. 12, 16; 16, 26).

Declinazione 5°. « Die » G. 52, 3; 97, 3; « acie » H. I. 41 ; « requie » H. I, 142 sono forme genetivali, per « diei, aciei, requiei, » proprie del latino popolare di Plauto (die, facie, fide), della poesia, ed anche della prosa classica. Lucilio e Virgilio ànno simili genitivi: «fide » à Oraz. 0. III, 7, 4; Ovid. Met. 7, 728; Cicerone à « pernicie » (pro R. Amer. 45, 131); Cesare à « specie » ed « acie » in b. g. 2, 23, 1, « meridie » b. g. 7, 83, 5. Tra' grammatici Carisio dice (p. 41, K.) « Quidam famis, quidam fame dixerunt genetivo » : Servio (ad Virg. Georg. 1, 208) Vuole che fosse « secundum antiquos genetivus regularis in -e » : A. Gellio (IX, 14, 25) riferisce il pensiero di Cesare : « C. Caesar in libro de Analogia secundo « huius die » et « huius specie » dicendum putat. » In Tac. s' à « re » (H. I, 29) e « fide » (D. 31) (1).

Quanto a G. 16, 3 « ut famae, fide, postremo omnibus suis rebus commodum regis anteferret, » ove sarebbe « fide » es. di dativo in -e, io preferirei lasciare intatta la scrittura dei codici migliori e più numerosi « ut fama, fide, pOstremo omnibus suis rebus.... » spiegando gli abl. come abl. di paragone (2). Richiama qui l'attenzione nostra la forma « plebei » gemitivo in H. III, 48, 15; e dativo in H. I, 77, 14. Questi due soli sono i casi sicuri ed ammessi da tutti. La forma genetivale si trova frequente mella « legge agraria » (« plebeive scito »), accanto all'altre due « plebi » (bis) e « plebe » (uma volta sola). L'equaZione plebis = plebei risulta da plebis: plebem :: plebei : plebem.

(1) Questa forma genetivale in -ê, accanto alla forma in -es (ch'è affatto arcaica, « Diespiter ») ed alla forma in -ei, si spiega dal nominativo in -es, come il genitivo « senatu » da « senatus »; owwero da -êi con perdita della i dopola é.

(2) V. all' ablat. di paragone. Se poi si ammette il dativo si noti, come nel VI sec. di R. I' i del dat. -ei era scomparso (Cfr. Gr. ΦυYì da qyoYìj.). Troviamo in C. I. L. M, 170 « Fide » (Dea); in Gori « Inscr. in urb. Etr. exstantes » M, 371, 122 « Claudiae spe » ; in Plauto Trin. 117 « Mandatus est fide et fiduciae » : 128 « fide mandatum malae »; Pseud. 125-27 « pube praesenti »; in Ter. Andr. 296 « tuae mando fide » ; in Lucilio « facie » (Gell. IX, 14); in Orazio serm. I, 3, 95 « commissa fide »; in Livio 5, 13, § « pernicie ». A. Gellio arcaicizzante dice: « in casu dandi qui purissime locuti sunt, non faciei uti nunc dicitur, sed facie dixerunt. » Sono dativi abbreviati formatisi nella età preclassica.

La declinazione greca in -η è rappresentata da accusativi in -en: « Euphraten » H. IV, 59; « Eumenem » IV, 69, 8; « Metrophanem » (?) IV, 2. Abundantia. In C. 10, 3 si legge « materies », in G. 13, 5 « materia »; in G. 85, 35, P à « mollitiem », W « mollitiam ». È noto che parecchi momi femminili ebbero due forme una in -ia, della 1* declinazione, l'altra in -ies della 5*. Questi doppioni mettono capo ad una forma protoaria unica col nominativo sgl. in -i (Stolz, gramm. lat. p. 203). Corssem attribuisce l' e alla i precedente, quantunque in greco i avanti a le vieti di diventare η. Secondo Havet la s è organica e avaritiés : avaritia :: TtTtóti,g : tTTtóτα : : parricidas : parricida. In Nonio p. 493 trowiamo perfino un « effigia » di Afranio. b) Aggettivi. Amche qui notiamo delle doppie forme. Cosi accanto a « decorus » trowiamo « decoris » in H. III, 20 « equis et armis decoribus cultus. » (Nevio; Apuleio; Tacito Agr. 16 e H. 1, 53 ma incerte e respinte dai più recenti editori): accanto a « inermis » « inermus » melle forme « inermos » G. 66, 3 ; 94, 2 ; H. I, 77, 18; II, 61, e « inermis » G. 107, 1 (abl.). In C. 59, 5, P à « inermos »; ma tutti gli altri codd. ed Arusiano, VII, p. 459, 1 àmno « inermis » (V. Th. Opitz, N. Jahrbuch f. Phil. 131, 267)). Sono forme arcaiche comuni anche a Tacito. Cfr. Plauto, Bacch. 966; Quadrigario pr. Gellio XVII, 2, 3: — oltre « opulentus » usa « opulens » in G. 69, 3. Notevoli ancora sono « sublimus » in H. III, 27 « sublima nebula » (cfr. IIucrezio); ed « inquies » in H. I, 7; 77, 11, 16; IV, 55 al momim., e H. II, 25 all'accus. : « inquies », (e quies) sono le forme originarie, arcaiche di « inquietus », « quietus » ; e si trovano la 1* in Plauto, Plinio, Velleio, Tacito; la 2* im Newio (Prisc. VI, p. 242 K.) e Licinio Macro (Framm. 7). Sallustio à inoltre alcuni comparatiwi e superlativi muovi; ma è in ciò meno ardito di Cicerone. Tra i comparativi abbiamo « divorsius » in C. 61, 3 ch'è unico esempio. Secondo il Köhler (1) che legge in « Bellum Afr. » 40, 6 « corpora divorse iacebant » e fa notare che questo avverbio si legge in Cic. De inv. 1, 50, 93; im Nep. Dat. 11, 3; in Svet. Tib. 66, Galba 19; in Gell. 7, 19, 9; questa parola apparterrebbe al discorso famigliare. Notiamo amcora « intestabilior » H. I, 55, 1 ; « promptior » G. 44, 1 ; « socordius » H. III, 25 ; 9d alcuni participi presenti e passati che ànno perduto la loro forza verbale

(1) In « De auctorum Belli Afr. et B. Hispan. latinitate »: Acta Semin , Erlang. M 877.

e sono usati come aggettivi, quali « adulescentior » H. I, 86 ; « properantius » G. 8, 2; 96, 3 (cfr. Tac. An. II, 55); « inconsultius » G. 35, 6 (Ces. B. g. I, 45 ; Liv. 41, 7; Plinio, paneg. 83); « purgatiores » H. II, 111; » suspectiores » C. 7, 2 (Cic. Or. 2, 4). — Tra' superlativi: « dextumus » G. 100, 2; è un arcaismo : Prisciano (III, 95) dice « excipitur deaetimus et sinistimus pro dexterrimus et sinisterrimus, » e cita appunto l' es. Sallustiano, e lo nota pure in Celio e Varrone ; antico lo dice Festo (p. 74, ed. Müller): « Ocissume » G. 25, 5; che pare um volgarismo, comune ai Comici e ad Apuleio : « promptissumus » H. II, 91; I, 77, 1 : « sollertissumus » G. 96, 1 (Catone K. 8, 2); « strenuissumus » C. 61, 7 (Catone K. praef. 4 ; e I. 19, 1 « viros strenuissumos » : Tac. H. IV, 69 « strenuissumi cuiusque » certo imitato da Sallustio): Plauto à « strenuior » in Epid. III, 4, 1. I comparativi e superlativi di aggettivi in -ius, -uus sono quasi affatto stranieri alla prosa classica, che usa la perifrasi: li trowiamo negli arcaicizzanti Frontone, Gellio, Apuleio; frequenti in Catome (« arduius » I. 85, 6; « arduissumus » I. 38, 9 ; « industrius » I. 55, 12; « innoxiior » I. 42, 10 ; « perpetuius » I. 55, 3; « perpetuissumus » I. 45, 7;....); in Pacuvio troviamo « egregiissimus » : ed « industrius » in Plaut. Mostell. I, 2, 71; Gracch. (pr. Prisc. III, p. 88 K.). Si à ancora « maturrume » in H. I, 66; 77, 13; lo à pur Catome I. 34, 1; (ma « maturissime » I. 36, 11); Cicerone de Orat. III, 20, 74; Ces. b. g. I, 33: Tac. Am. I, 63; XII, 65 ; XV, 74. — Di participi citeremo « cupientissumus » H. V, 19; G. 84, 1 ; « conruptissumi » H. I, 77, 7; « quaesitissumae (epulae) » H. II, 70, 4 (1).

c) Numerali. Soltanto è degna di mota la forma « duum » per « duorum » in unione con « milium » in G. 91, 3; 106, 5; « duum milium intervallo » ; e G. 50, 3 « praesidium quasi duum milium peditum ». Cfr. Cesare b. g. III, 17, 5.

d) Flessione pronominale. Di notevole non c'è che la forma « quis » per « quibus » : la Catilinaria non me à es., poichè il « quis » in 18, 1 accettato da Jordam e Lallier è dato solo da Mss. inferiori, e da Diomede, le cui citazioni Sallustiane sono spesso errate. Al COntrario

(1) Nota ortografica. — II suffisso del superlativo in S. è -umus per -imus. Non è un arcaismo come s' è creduto. Ne I' età sallustiana c'era ancora dualismo tra le due forme. L'atonicità di quella vocale -u- produceva però un affevolirsi del suono pieno u in i, ed -imus pronunciarono già i letterati, e adottò Cicerone; •umus era conservato dal popolo, si trova in Livio ed anche nelle iscrizioni dell'etâ imperiale,

è frequentissimo in G. e H. : quis dat. in G. 13, 6; 14, 10; 18, 1; 66, 4; 80, 5; 81, 1 ; 105, 1 ; 111, 2; H. I, 55, 6; II, 29: quis abl. in G. 7, 7; 80, 3; 85, 37; H. I, 32; II, 47, 4; in quis G. 25, 4; 28, 4 ; 70, 5 ; H. II, 47, 1 : III, 9 ; I, 5: pro quis in H. II, 98, 6. Nei nuovi Framm. dell' Hauler si à pure due volte « quois » (= quis). Tale forma, ch'era in uso ancora ai tempi di Prisciamo, ma di cui le iscrizioni antiche ed i poeti comici (1) non ci dàmno esempi, pare fosse del discorso famigliare ; infatti l'à frequentissima Varrone; è melle lettere di Cicerone (ad Fam. 11, 16, 3, e ad Att. 10, 11, 2-3; 13, 22, 4); mel Bellum Hispan. 23, 8; in Livio ; in Tac. Annali ; è frequente nei poeti Catullo, Virgilio, Orazio (serm. ed ep0di). Il gemitivo « nullius » in C. 29, 3 è dato dai mss. più autorevoli (P). Altri, (fra cui lo stesso P'), dàmno « nulli ». Ammettendo questa ultima forma Occorre spiegarla come contrazione di « nullius » e confrontare « istimodi », « illimodi » di Plauto (Trucul. 5, 38) e di Catone (I. 50, 4; 55, 5); « ali rei » di Celio Antipatro ; « nulli rei » di Catone (I. 88, 7), che à anche « illi rei » (K. 25), ed in Afranio « satias toti familiae ». Il « nullo » di G. 97, 3 è abl. di qual. non dativo (cfr. Cic. ad Att. X, 18). e) Flessione verbale. — In Sallustio prevalgono mella 3^ persona plurale del pf. attivo le forme in -ere. Lo Jordam ammette solo 4 es. sallustiani certi di -erunt: C. 20, 10 ; G. 14, 5 ; 58, 3; H. IV, 69, 10; ma conviene aggiungere H. I, 33; II, 5 ; 8. Di altri cinque verbi circa à le due forme. Le forme in -ere sono arcaiche ed arcaicizzanti ; basta a prowarlo la loro frequenza in Frontone, ed anche la statistica fatta dal Neue (II, 389); sono frequentissime in Catone (cfr. Cortese op. cit. p. 182, aggiungendo ai numerosi es. ivi citati « emptitavere » ; « redemptitavere » (69, 7) ; « succidiavere » (fr. 39); ed ere : erunt :: 24 : 10). Ma allato all'arcaismo ed alla imitazione Catoniana possiamo qui scorgere um influsso del discorso famigliare ; cfr. l'uso che ne fa Cicerone (Leg. agr. I, 4, 12; Pis. 40, 96; Leg. 1, 2, 6; Fam. 9, 21, 3; 10, 19, 2): e quel ch' ei dice in Orat. 47, 15 « Nec vero reprehenderim - scripsere alii rem -; et - scripserunt esse verius sentio ; sed consuetudini auribus indulgenti libenter obsoquor. » L' uso poi divemme tradizione mella prosa storica. Livio usû tali

(1) Si eccettuino fra le iscrizloni una in versi, britannica, Orelli 5863 « ex quis numeribus », ed un'altra in versi, spagnuola, C. I. L. 2, 2660 « legio quis est septima » ; e in Plauto, Mostell. 1040.

[ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small]

ciendum »....; nella « lex agraria », « deducendae » e accant0 a « vendumdeis ». Ma la forma in -undus, divenne meno frequente e fu poi considerata come arcaica, e mantemuta solo in formule giuridiche. Cicerone l' usò coi verbi in -bo, -mo, -co, -go, -to, -do, -r0, -i0. Noteremo infine una forma infinitivale « sallere » della 3* coniugazione per « Salire » (= condir con sale: Catone) della 4*. Pare un

[ocr errors]
[ocr errors]
[ocr errors]
[ocr errors]
[ocr errors]
[ocr errors]
[ocr errors]
[ocr errors]
[graphic]
[graphic]
[graphic]
[graphic]
[graphic]
« IndietroContinua »