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-0 si àmno esempi mella legge Antonia, « Thermensorum » accant0 a « Thermosum » e « Thermensium »; in Lucilio « surpiculique holerorum » (pr. Nonio p. 490): (cfr. in Catone « holeris » = « holeribus » K. 149, 2); nella lingua popolare « pontificorum » (Fabretti 419, 378); « mesorum » (Fabr. 397, 282: anche « mesoro »): e il dativo « mer. catis » per « mercatibus » in H. V, 9; volgarismo.

Per quanto riguarda la 3* declinazione, notiam0: dei temi astratti in -os-. S. usa le forme nominativali più antiche in -0s in luogo delle pii recenti im -or, classiche: « honos » e « lepOs » non àmno nulla di strano; ma « colos » (C. 15, 5), « odos » (G. 44, 4), « labos » (C. 7, 5; G. 100, 4; H. II, 47, 1; III, 48, 18) sono veri arcaismi (1). (Cfr. Gr. αἰδός, αὐλό32;; Quintil. I, 4, 13; Neue, Formenlehre I, 170). Dopo il VI sec. di R. la s rimase in momi a penultima breve, e se i poeti l'usarono fu per necessità di metro (Lachmann a Lucr. p. 424).

Notiamo ancora C. 40, 2 « civitatium » forma che si ritrowa specialmente in Liv. e Plin. il giovame. Ne à alcuni es. Cicerone (De Rp. 1, 34, 51; 2, 4, 8; De Leg. 2, 4, 9); e Varrone lo dà come es. di sostantivi a doppia forma genetivale plurale (l. l. VII, 37). I temi degli astratti col nominativo im -tàs (e -tùs) furono in origine temi in -i, ed al genit. plur. Oscillaromo tra -um e -ium; ma me]la buona prosa âmmo il gemitivo in -um, come temi dentali. (Cfr. in Pl., Pers. 420 « compedium tritor »; in C. I. L. I, 199 « Longatium, Genuatium »: in Momum. Ancyr. « Pematium » e « civitatium »; ed il titolo ufficiale « procurator hereditatium. »

Ila forma in -is di accus. pl. dei nomi col gemit. in -ium, non è um arcaismo come sostemmero alcuni; essa era la forma in uso, ulteriore evoluzione di -eis che aveva sostituito l' arcaico -es. (Cfr. Gell. XIII, 20 e Bücheler-Havet, Précis de la déclin. lat. p. 91). E invece un arcaismo l' acc. pl. « vis » (H. III, 17) per « vires »; l' usò pure Lucrezio (II, 586; III, 266); ma pare per necessità di metro: e Messala (in Macrobio sat. 1, 9, 14). Noteremo da ultimo la forma nominativa « plebes » assai più usata da S. che « plebs ». Ed è una forma antiquata che si ritrowa pure in Ces. B. g. 6, 13, 1. Dalla forma piena in vocale (t. plebe-) mel periodo storico derivò per formazione retrograda un tema in consonante accorciamdosi (tema mutilato), e si ebbe « plebs » forma

(1) In Cat. 15, 5 e G. 44, 4 i Codd. dàmno « color, » « labor » ; ma I'analogia e la testimonianza di Probo pel 10 e di Frontone pel 2° inducono a scrivere « colos », « labos » ; lo stesso dicasi di C. 7, 5. Servio all' En. I, 353 « Item Sallustius paene ubique labos p0suit quem nulla necessitas cogit. »

che non appare in alcuna iscrizione anteriore ad Augusto. Ma in C. I. L. si trova la forma « libs », « lubs » per « lubes (I, 182, 183). Di momi trasportati qui da altre declinazioni abbiam solo « sublices» in luogo di « sublicae » nella forma « sublicibus » (H. IV, 85) (= pile di ponti). Nella 4* declinazione Sallustio usò la forma arcaica di genitivo « senati » per « senatus » in C. 30, 3; 36, 5; 53, 1 : G. 25, 11 ; 40, 1, cioè solo melle formule ufficiali; in C. 53, 1 « senati decretum » è accanto a « senatus magna pars » ed altri esempi di « senatus » sono C. 37, 10; 38, 2; 42, 3; 51, 36; G. 25, 7; 30, 3; 43, 4; 112, 3 ; (cfr. C. 59, 5 « tumultus causa » lezione migliore). La forma « senati » fu um fatto analogico, um passaggio di temi in -u alla declinazione in -0. Essa è attestata da tutti i grammatici. Quintil. in 1, 6, 27 scrive: « Quid de aliis dicam, cum senatus, senatus sematui senati semato faciat incertum sit. » Plauto e Terenzio usano regolarmente la desinenza -i. « Senati » si legge ordinariamente melle iscrizioni del secolo VII di R. e mei framm. di Sisemma (fr. 17 e 119 « senati consulto »); melle lettere (ad. Att. 4, 2; ad Brut. 1, 2) e melle orazioni (Carisio p. 43 K.) di Cicerone. Sette nuovi es. di « senati » numera l'Index di Hübner (p. 594). Cosi pel dativo, troviamo in Sallustio le forme « luxu » G. 6, 1; « exercitu » 39, 2; « nisu » 94, 2 per luxui, exercitui, nisui. Cfr. im Tacito « senatu » Am. I, 10 ; III, 30, 34; XV, 48; « luxu » H. II, 71 ; « decursu » Am. III, 33; « muru » An. VI, 23. Ma si awverta che la forma in -u non è soltamto propria dell' anteclassicità, ma pure del periodo classico, ov' è più usata che -ui; questa diviene mormale solo mell' età imperiale. Cfr. Gell. N. A. VI, 16, 5 « Non omnes concedunt, in casu dativo « senatui » magis dicendum . quam « senatu ». In Plauto, Pseud. 306 leggesi « ussu » (= usui ; . ma « usui » in 305); in Terenzio « vestitu », « neglectu » ; in Lucilio , « anu », « victu »; in Lucrezio « visu » (5, 101); « usu » (3, 969); in Virg. « metu », « concubitu », « aspectu » (giudicati però ablativi da Prisciano 7, § 88 p. 363 K.). Cesare aveva melle opere sue « dominatu », « casu » ed in « De analogia » raccomandava questa uscita, di cui usar0n0 pure Augusto e Livio (1). La Cat. 28, 1 ci offre um' antica forma di locativo « domui » dimostrata propria dell' archetipo dall' Oscillare della grafia degli altri

(1) La desinenza -u può essere contrazione di -ui per assorbimento della più debole da parte della più forte, o semplice caduta d' i dopo rinforzo del tema ; senatu, senatoui, senatou.

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(1) Questa forms genetivale in -ê, arcanto alia forma in -es (ch'è affatto arcaica, « Diespiter ») ed alla forma in -ei, si spiega dal nominativo in -es, come il gemitivo « senatu » da « senatus » ; ovvero da -ô cùm perdita della i dopo la è.

(2) V. ali' ablat. di paragone. Se poi si ammette il dativo si noti, come nel VI sec. di R. I i del dat. -ei era seompafso (Cfr. Gr. = 9'j da goYj.). Troviamo in C. I. L. 1, 17 J • Fide • (Dea); in Goni « lnscr. in urb. Etr. exstantes » 1, 371, 122 « Claudiae spe • ; in Plauto Tsin. 117 « Mandatus est fide et fiduciae »: 128 « fide mandatum malae »; Pseud. ! 25-27 « pube praesenti »; in Ter. Andr. 296 « tuae mando fide » ; in Lucilio « facie • (Gell. IX, 14); in Orazio serm. 1, 3, 95 « commissa fide »; in Livio 5, 13, 5 « pernicie ». A. Gellio arcaicizzante dice: « in casu dandi qui purissime locuti sunt, non faciei uti nunc dicitur, sed facie dixerunt. » Sono dativi abbreviati formatisi nella età preclassica.

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La declinazione greca in -η è rappresentata da accusativi in -en: « Euphratem » H. IV, 59; « Eumenem » IV, 69, 8; « Metrophanem » (?) IV, 2. Abundantia. In C. 10, 3 si legge « materies », in G. 13, 5 « materia »; in G. 85, 35, P à « mollitiem », V « mollitiam ». E noto che parecchi momi femminili ebbero due forme una in -ia, della 1* declinazione, l'altra in -ies della 5*. Questi doppioni mettomo capo ad una forma protoaria unica col nominativo sgl. in -i (Stolz, gramm. lat. p. 203). Corssem attribuisce l'e alla i precedente, quantumque in greco i avanti a le vieti di diventare η. Secondo Havet la s è organica e avaritiés : avaritia :: iTtTtóτης : ίττάτα : : parricidas : parricida. In Nonio p. 493 trowiamo perfimo un « effigia » di Afranio. b) Aggettivi. Amche qui notiamo delle doppie forme. Cosi accanto a « decorus » trowiamo « decoris » in H. III, 20 « equis et armis decoribus cultus. » (Newio; Apuleio; Tacito Agr. 16 e H. 1, 53 ma incerte e respinte dai più recenti editori): accanto a « inermis » « imermus » nelle forme « inermos » G. 66, 3 ; 94, 2 ; H. I, 77, 18; II, 61, e « inermis » G. 107, 1 (abl.). In C. 59, 5, P à « inermos »; ma tutti gli altri codd. ed Arusiano, VII, p. 459, 1 àmno « inermis » (V. Th. Opitz, N. Jahrbuch f. Phil. 131, 267)). Sono forme arcaiche comuni anche a Tacito. Cfr. Plauto, Bacch. 966; Quadrigario pr. Gellio XVII, 2, 3: — oltre « opulentus » usa « opulens » in G. 69, 3. Notevoli ancora sono « sublimus » in H. III, 27 « sublima nebula » (cfr. Lucrezio); ed « inquies » in H. I, 7; 77, 11, 16; IV, 55 al momim., e H. II, 25 all'accus. : « inquies », (e quies) sono le forme originarie, arcaiche di « inquietus », « quietus » ; e si trowano la 1* in Plauto, Plinio, Velleio, Tacito; la 2* in Newio (Prisc. VI, p. 242 K.) e Licinio Macro (Framm. 7). Sallustio à inoltre alcuni comparatiwi e superlativi muovi; ma è in ciò meno ardito di Cicerone. Tra i comparativi abbiamo « divorsius » in C. 61, 3 ch'è unico esempio. Secondo il Köhler (1) che legge in « Bellum Afr. » 40, 6 « corpora divorse iacebant » e fa notare che questo awverbio si legge in Cic. De inv. 1, 50, 93; in Nep. Dat. 11, 3; in Svet. Tib. 66, Galba 19; in Gell. 7, 19, 9; questa parola apparterrebbe al discorso famigliare. Notiamo amcora « intestabilior » H. I, 55, 1 ; « promptior » G. 44, 1 ; « socordius » H. III, 25 ; 9d alcuni participi presenti e passati che ànno perduto la loro forza verbale

(1) In « De auctorum Belli Afr. et B. Hispan. latinitate »: Acta Semin , Erlang. M 877.

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