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AGGIO

SULLE AZIONI E SULLE OPERE

DI

FRANCESCO GUICCIARDINI

SCRITTO DAL PROFESSORE

GIOVANNI ROSINI

AI LETTORI

Se l'Istoria è la maestra della vità, nessun

periodo di essa potrebbe servir meglio di norma agli uomini, quanto quello descritto dal Guicciardini: come nessun uomo potrebbe più efficacemente correggere gli ambiziosi, quanto Istorico stesso col proprio esempio.

I quali due oggetti ho avuto in mira nel dettare lo scritto seguenter ove, costretto ad avvolgermi sempre fra ingiustizie, violenze, tradimenti, e stragi, temo che pur troppo le parole abbiano preso colore dalle cose, e che la natura umana vi comparisca in un terribile aspetto.

Non temo però, che mi si apponga di averla calunniata, poichè il tutto è avvalorato da isto

rici monumenti: nè v' ha concetto, o riflessione, che non abbia appoggio ed autorità negli scrittori contemporanci.

Ma due grandi vantaggi se ne potranno forse trarre: primo, che essendo gli uomini diventati migliori, com'è incontrastabile, ci persuaderemo di leggieri, che non potrebbe farsi mai fondamento di qualunque ben essere il dispregio de' nostri avi per la virtù : secondo, che le immense, e quasi incredibili sventure, le quals oppressero i nostri maggiori, ci debbono far lieti e contenti dell'attual condizione, qualora si paragoni la ferocia de' tempi andati colla mansuctudine de' presenti.

Acctngendomi a scrivere delle azioni e delle

opere di Francesco Guicciardini, consulto più che le mie forze il tempo in cui scrivo. Poco sin qui ne fu detto e come uomo pubblico e come scrittore politico; e il poco mescolato col falso, ed avvolto sempre nelle adulazioni: colpa meno degli uomini, che de' tempi.

Molti pregi dello storico furono imputati all'uomo come falli: molti suoi falli o furono taciuti, o ascrittigli a gloria. Giunse finalmente il giorno di porlo nella bilancia del giusto e del vero: e se le forze mancheranno a sì grande uopo, mi scusi l'ardentissimo desiderio della verità, e mi conforti il pensiero di trovarmi, per gran benefizio della fortuna, in tempi di si rara felicità, che cessò qualunque cagion di mentire. Ne temo che la posterità voglia contradirmi, se, insieme colla storia della presen

te età e dell'ottimo principe, che ne governa, le perverranno mai queste carte.

Pochi uomini pubblici ebbero dalle circostanze un'educazione simile a quella del nostro politico. Mentre credevasi dalla moltitudine che interamente si applicasse alla scienza del dritto, gli avvenimenti d'Italia lo ammaestravano tacitamente nell'arte dello stato (1). Ne'suoi più teneri anui, quando la mente incomincia appena ad aprirsi alla riflessione ed alla curiosità, aveva udito celebrare l'atto magnanimo di Pier Capponi (2), che, solo animoso fra tanti inviliti, liberò la patria dall' imminente servitù. Aveva intesa l'ingratitudine dei Bentivogli (3), e gli acerbi rimproveri al Medici, perche avesse ceduto si presto alla contraria fortuna: mentre poco di poi, per non aver cedu to all'avversità, ma coll'opporre la forza del

l'animo al rigor della sorte, udi che il giovine Ferdinando di Napoli, era fra i plausi di tutti ritornato in quel reame, che, all'approssimar. si delle armi francesi, abbandonato aveva colle lagrime di pochi.

Questi esempi gettarono nell'animo ancor tenero del Guicciardini i semi di quella costanza e forza di mente, che piegar mai non lo fece in qualunque evento della sua vita: dimodochè, quando in fine (deluso, siccome Tullio (4), dalla simulazione di un giovinetto Imperante) volto le spalle ai politici maneggi, lascio le sue carte a testimonio di quell' alta, ed invincibil fermezza di carattere, che quand' anco fa biasimare nell' uomo le azioni, fa rispettarue la causa. I più insigni cittadini suoi contemporanei, il Machiavelli, lo Strozzi, il Vettori, l'Albizzi, il Salviati, e perfino il Capponi, chi più, chi meno, mostrarono di cedere o all' ambizione, o alle lusinghe, o al timore, il solo Guicciardini non cede mai, nè cambio.

A questi primi ammaestramenti si aggiunse un domestico esempio, che lasciar dovea lunga traccia di sè. Non erano scorsi per anco tre anni dalla fuga di Pier de' Medici dalla patria, che confortato da' suoi, aiutato da segreti raggiri al di dentro, e da palesi aiuti al di fuori, giunge improvvisamente in armi ad una porta di Firenze. La moltitudine si atterrisce; i più on. deggiano; molti tremano: solo i pochi, nell'abbattimento universale, corrono alla difesa; e sta la vittoria per essi. Pier de' Medici si ritira, onde morire immaturamente esule dalla tria: i segreti fautori discoperti incontrano miserabilissimo fine. Qual miglior lezione di que sta per apprendere che nelle circostanze più difficili dalle stesse difficoltà nasce ne' più l'incertezza; che all'incertezza succede il timore; al timore l'avvilimento: mentre coloro (e sieno anche i pochi ) i quali vogliono fermamente ed operano con coraggio, assicurano i forti ; strascinano gl'incerti, sgomentano i contrari, e di tutti in fine trionfano!

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Agli esempi di quanto possa la costanza dell'animo sugli avvenimenti, altri se ne aggiunsero a mostrare la potenza delle ricchezze, la forza delle armi, lo splendore del grado. Rimirò il Valentino in mezzo alle lance francesi tenere a sè devota Romagna, che ripiena aveva di tradimenti, di rapine e di stragi : il decimo secondo Luigi (5), quel re si celebrato per senno e per virtù, stringere fra le sue mani vittoriose quella destra, ch'era bagnata e calda ancora del sangue dei Varani (6): tutto aver ceduto all'autorità pontificale d'Alessandro: l'istesso Savonarola, in mezzo a tanto favore di parti, esserne stato vittima sventurata: e la Casa da Este si grande, si nobile, si reputata, discesa fino ad ambire le nozze della spuria e contaminata figlia di Alessandro.

Sicche, mentre nello studio delle romane Leggi apprendeva, ed insegnava il Guicciardini quali erano i fondamenti del giusto, e del dritto, gli avvenimenti esterni gli mostravano che il dritto era nella forza, il giusto nell'utile: nel tempo stesso, che le interminabili gare dome. stiche, e le sacre cose miste alle profane (7),

e i pergami della religione convertiti in bigonce di demagoghi, e un chiostro di mendicanti divenuto il centro dello stato; considerar gli facevano che, ove la forza sola imperar debbe, la forza dei pochi è meno acerba di quella dei molti. Dal che nacque in lui quell' aperta propensione al reggimento degli Ottimati, che non dissimulo giammai, così nella prospera, come nell'avversa fortuna dei diversi governi, che agitaron Firenze.

Furono questi gli avvenimenti, che cooperarono forse più d' ogn'altro alla sua politica educazione. E quindi in patria le più sacre leggi violate (8), e l'ingiusto supplizio del Vitelli: l'infamia degli Svizzeri a Novara: gli effetti della proditoria Lega degli Spagnuoli con Francia; e i tradimenti del gran Capitano, che in si valoroso petto più turpemente, e più luminosamente apparivano, non poteano che contribuire a maggiormente radicare nell'animo suo quella semenza, che aveva si altamente germogliato.

Proseguiva egli intanto nell'esercizio delle leggi; nel quale era venuto in grandissima fama di sapienza, di accorgimento e di senno (9).

Ma i pericoli della fiorentina Repubblica, che seguendo con pertinacia la fortuna di Francia, e cedendo con imprudenza inescusabile ai desiderii del re, nell'adunare il Conciliabolo a Pisa, si era concitata la violenta indignazione del pontefice, e avvicinarsi vedeva già quella tempesta, da cui fu sommersa, indusse nell' animo di chi governava le cose il pensiero d'inviare al re Cattolico (le cui armi parevano preponderanti in Italia) un oratore, che facesse argine, coi maneggi e colle arti, alla cattiva for

tuna.

La scelta cadde sul Guicciardini. E convien pur confessare che, se difficilissime furono le circostanze in cui si trovò, non poteva la repubblica rivolgersi a persona meno atta di lui a difendere il vacillante suo stato. La volontà inflessibile di Giulio II, e la lega con esso contratta dal re di Spagna, ponevano il re nella necessità o di alienarsi l'animo del pontefice, proteggendo la repubblica Fiorentina, o di lasciar questa alla sorte delle armi. La scelta non poteva essere incerta. Ma quand'anco fosse potuto cader nell'animo di Ferdinando il solo dubbio di proteggere la ragione altrui contro l'interesse proprio; l'oratore in cuor suo dispregiava troppo (10) la debolezza, l'incertezza, e i divisi consigli di coloro, che governavano lo stato di Firenze, per difenderli con quel veemente e caldissimo affetto, che deriva solo dalla persuasione di difendere il giusto. Non vi ha stato, che regger si possa nei pericoli, se non ispira stima e fiducia chi lo governa. E quantunque in ogni tempo siasi andato predicando che altro sono le cose, altro gli uomini ; l'esperienza nondimeno ci mostra pur troppo che essendo sempre gli uomini collegati colle cose, quelli fanno per lo più giudicare di queste; e il carattere, i talenti, la forza, le virtù o i vizi dei primi hanno una gran preponderanza sul destino delle seconde. I vizii di Tarquinio perderono il regno; le virtù di quei primi Roma

ni stabilirono la repubblica. Le violenze dei Gracchi ne crollarono i fondamenti; e Cesare, colle sue rare qualità, rivendicò il retaggio di Tarquinio (11).

La vita politica del Guicciardini comincia dalla sua ambasceria in Ispagna (12). Alla Corte di un re di tanta simulazione qual era Ferdinando, traditore de' suoi stessi parenti (13), crudele (14), falso, ingrato, e non ostante felicissimo, e celebratissimo, apprendere dovette di buon' ora il giovine fiorentino che tornati erano i giorni, nei quali potea ripetersi il detto del Latino satirico: Virtus laudatur et alget. Da questa scuola di luminosa perfidia contrar dovette quella tendenza a seguir nelle azioni più l'utile che il giusto; e ad abbracciare più sovente le parti della forza, che quelle della ragione.

Ed in fatti, dove appari mai spettacolo più atto a far maledire la virtù di quello, che of friva la corte di Ferdinando, si ricca, si fre quentata, si gloriosa, e nella quale ai vanti antichi per i Mori, tante volte rotti, e dall'ultimo lor nido cacciati, eransi uniti i recenti, per conquista d'un nuovo regno (15), per la scoperta d'un nuovo Mondo? e dove le promesse erano un laccio, un giuoco i giuramenti, un nome vano la fede?

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Risonava gloriosissimo il nome di Ferdinando da un capo all'altro d'Europa: e Consalvo autore di tanta gloria stava relegato in una montagna. Narravansi per la maraviglia le nuove regioni discoperte, i nuovi climi incontrati, le nuove ricchezze che a torrenti inondavano le Spagne: e Colombo, da pochi anni, aveva chiuso nel letto di morte gli occhi affissi in quelle catene, che erano state il guiderdone di tanta virtù (16).

La corte di Ferdinando fa pel Guicciardini una scuola politica; ma in vero pessima scuola, se considerar vorremo gli ultimi anni del la sua vita, e se riguarderemo a quella fama, che non si ottiene dai posteri piena ed intatta, se non quando i sommi talenti son congiunti, come in Cicerone, con somme virtù. L'alto suo animo, la costanza e la fermezza si manifestarono ne' diversi reggimenti de' popoli: la simulazione, l'ingratitudine e la perfidia (apprese alla corte di Ferdinando) ne' diversi consigli dati a papa Clemente e al duca Alessandro.

Nel tempo della sua ambasciata, fu dai soldati spagnuoli posto a sacco miseramente Prato, espulso di Firenze il gonfalonier Soderini, e distrutta la repubblica.

Ma siccome, partendosi dal re Cattolico, le armi del quale avevano ricondotto i Medici in patria, ne ricevè il Guicciardini presenti ed onori (17): così dopo il suo ritorno, dovè giustamente essere riguardato piuttosto che un membro importante del vecchio governo, un utile strumento pel nuovo. Si che quando Leone X passò di Firenze per recarsi in Bologna a parlamentar con Francesco I fu il Guicciardini deputato al Pontefice; accolto da lui con dimostrazioni di favore; eletto avvocato concistoriale; inviato in appresso per importanti affari or qua, or là dove più occorreva, e il chiamava l'utile del pa

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pa (18), dal quale fu creato finalmente nel 1518 governatore di Modena e Reggio.

Da quest' epoca, fino all'assedio di Firenze, si contano i più bei giorni della vita politica del Guicciardini. Le sue grandi qualità risplendettero in ogni avvenimento, poichè chi nacque d'alto animo, ancorchè ammaestrato alla scuola della simulazione, non la pone in opera se non quando manca la forza o l'autorità. Mostrò egli in ogni circostanza de' suoi governi con qual arte si conducano gli uomini; come la gran sicurezza in sè stesso cresca forza ed animosità in altrui; come gl'ingegni eminenti nelle arti di pace, vagliano altresì negli esercizi di guerra; e come il senno e l'accorgimento, sveJando agevolmente le trame, ricader ne facciano su i loro autori medesimi il danno, e la vergogna (19).

Ed in vero, se grande fu l'autorità, che ricevè il Guicciardini dal pontefice, fu grandissima la sagacità, con cui ne uso.

Con qual destrezza deluder non seppela vana fiducia di chi, non credendolo esperto nelle armi, sperava d'insignorirsi (20) di Reggio? Creato governatore di Parma, con quale efficacia non persuade i cittadini a difendersi! con quale ac. cortezza, vedendoli impauriti, non gl'incatena! con qual artifizio non alterna le ragioni ed i preghi ed accorrendo or presso il popolo, or nel consiglio de' magistrati (21), non solo ottiene che respinti siano i soldati nemici, ma che si provveggano i danari, onde pagare i fanti propri, che già cominciavano a tumultuare.

Pe' quali meriti, da lui manifestati nella milizia, dichiarato luogotenente generale del pontefice nel campo della Lega, egli divenne un de' primi regolatori delle cose militari in Italia. E quantunque infelice fine avessero le azioni di quell' esercito mal unito, apparisce sempre nei consigli del Guicciardini una tal giustezza di vedute, e un si acuto presentimento di quanto avvenne, che maravigliosa ne sembrerà la sua perizia, e la sua rara antiveg

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