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LIBRO SETTIMO

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LLA pag. 64. Per le grandi istanze dell'Imperatore. Carlo V, il Concilio di Trento si era convocato in quella città vicina alla Germania, con la speranza di condurvi gli eretici ma poichè coloro non vi venivano, ed anzi lo dicevano illegittimo e nullo, il Papa si trovava poco contento di quella scelta anche per altre ragioni e gnatamente perchè trovandosi la Francia in guerra con Cesare, i Prelati di quel gran regno concorrevano scarsamente al concilio. In questo, sorse in Trento una epidemia di febbri petecchiali, minacciante di risolversi in vera peste; sicchè i Legati Pontificj col consenso della maggior parte dei Padri decretarono di trasferire il Concilio a Bologna; e il Pallavicino, riferendo i trattati che precederono quel decreto, dice qualmente il cardinale Cervino, uno dei Legati, dopo avere ragionato sul proposito della pestilenza, non potè contenersi d'aggiungere, forse con maggior sincerità che accortezza, concorrere altre ragioni ancora le quali consigliavano alla traslazione. Il Botta riferendo queste parole, vi fabbrica subito un castelletto sopra, e di là spara qualche colpo contro i Papi e contro i Gesuiti, dicendo qualmente esse erano Veramente meritevoli di essere notate perchè dimostravano che ben_altri_puntelli aveva la macchina che quei della infermità: e l'averle rapportate il Pallavicino, che tutto è in provare la necessità della traslazione, dinota in lui o grande sincerità o grande semplicità, che sarebbero l'una e l'altra troppo insolite in un gesuita.

Noi non troviamo niente di straordinario in quelle parole del Pallavicino, che si dichiararono dal Botta veramente meritevoli d'essere notate; ma bensì nelle parole sue scorgiamo quel fiele che gli cola giù dalla penna ogui qual volta scrive dei Papi e di Roma, e quell'odio

giurato contro i poveri Gesuiti, che non conobbe mai, e perseguita per solo impulso di carità senza sapersi cosa gli abbiano fatto di male. Imperciocchè, quanto al Papa, credendo Paolo III che per il bene della Chiesa dovesse levarsi il Concilio da Trento, e conoscendo non essere la traslazione secondo il gusto dell' Imperatore, l'approfittare della opportunità che offriva la pestilenza per giungere senza romore al suo scopo veniva dettato dalla saviezza e dalla prudenza, e non ci entrano le macchine, i puntelli e i sarcasmi del Botta. Quanto al Cervini, egli fu certamente più sincero che accorto, accenando pubblicamente quelle ragioni sulle quali non era opportuno d'insistere per non incoraggiare l'opposizione degl'Imperiali. Quanto poi al Pallavicino, scrivendo egli quando il Concilio era finito e quando tutti i personaggi di cui trattava erano già tutti morti, poteva, anzi doveva esporre liberamente e candidamente non solo gli avvenimenti del Concilio, ma ancora le cagioni degli avvenimenti. Questo è quanto si pratica da tutti gli storici bene informati, imparziali e sinceri ; i quali tuttavia non sembrano al Botta nè furbi nè sempliciani, purchè non siano gesuiti.

Alla pag. 83. L'Imperatore aveva convocato una Dieta in Augusta, e non avendo potuto ottenere dal Papa che il Concilio si ritornasse in Trento, gli aveva mandato a chiedere, secondo l'offerta fatta da Paolo, legati con suprema autorità per potere dispensare in alcune cose in quella provincia, acciocchè alcuna quiete rientrasse negli spiriti, la sua autorità vie più vi si confermasse, e vi si mantenesse in parte l'autorità della Chiesa Romana, che vi era per lo più smarrita. Ma il Papa, che sospettava della grandezza dell'Imperatore, e che pensava al proprio comodo, non gl'inviava con quella larghezza di commissioni che Cesare stimava necessaria, non consentendo ch'essi potessero autorizzare il matrimonio dei preti, massime di quelli che, non ancora maritati essendo, aspirassero a pigliar moglie, nè concedere nella comunione laicale l'uso del calice; cose che dall'Imperatore e dal Re dei Romani molto si desideravano, non solamente per rendersi meno avversi i protestanti, ma ancora per quietare molti cattolici dei loro stati, ai quali esse piacevano.

Certo il celibato del clero e la comunione sotto una sola specie sono tali punti di disciplina ecclesiastica che ci vuol poco a conoscere quanto la loro conservazione dovesse stare a cuore di chi reggeva la Chiesa; ma non s'intende affatto come questi due punti disciplinari_potessero interessare il comodo proprio del Papa. Forse al decrepito Paolo III si sarebbe incrudita la tosse se i preti di Germania avessero preso moglie ? E forse è linguaggio di buono e rispettoso Cattolico dire che il Vicario di Gesù Cristo non accordò ai Tedeschi la comunione del calice e il matrimonio dei preti, perchè pensava al proprio comodo?

Alla pagina 85. Trasferitosi il Concilio a Bologna, Carlo V, volendo in qualche modo tranquillizzare le cose in Germania, pubblico nella Dieta di Augusta una scrittura con cui accordava provvisoriamente certi permessi agli eretici; e quantunque quella scrittura, chiamata l'Interim ovvero il frattanto fosse solamente una promessa fatta dall'Imperatore ai Luterani di non costringerli sopra certi punti con la sua temporale autorità, pure dispiacque grandemente a Roma, stimandosi che Carlo avesse messo le mani in quelle cose che appartenevano solamente al Papa. A proposito dunque di quelle controversie, il Botta, dopo avere dichiarato, potersi veramente dire che Roma non fosse senza torto; per avere stornato da Trento il Concilio..., conchiude con le seguenti parole: Da tutto ciò si può dedurre, che se l'inflessibilità del Cattolicismo, giunta a quella pienezza d'autorità che la Sede Apostolica a sè medesima attribuisce, e che per altro le è contraddetta da molti buoni e dotti Cattolici, conferisce, come fa veramente, alla sua conservazione, partorisce altresì qualche volta la sua distruzione. L' Allemagna protestante ne è una prova, e non sola.

Noi non ci arresteremo su quella passione del Botta di volere che tutti i torti sieno sempre di Roma, e neppure ci tratterremo ad esaminare e quanto possano essere buoni e dotti Cattolici quelli che negano la pienezza d'autorità alla Sede Apostolica; ma non possiamo menar buono al nostro autore lo affermarsi da lui qualmente la inflessibilità del Cattolicismo partorisce qualche volta la sua distruzione. La Religione Cattolica

non è una istituzione umana, la di cui convenienza possa dedursi dai risultati numerici, e i di cui principj debbano sottoporsi ai calcoli della politica, ma essa è la dottrina della verità, e quindi deve essere necessariamente inflessibile e immutabile in tutto ciò che riguarda il dogma e la dottrina. Imperciocchè la verità non si cambia e non si piega giammai; e se la Religione Cattolica si piegasse e fosse mutevole in qualche punto dogmatico, si allontanerebbe dalla verità, e non sarebbe più la Religione Cattolica. Quanto poi alla disciplina, la Religione Cattolica è certamente costante e dignitosa, e non cambia le sue pratiche in ogni settimana come si cambiano le mode di Francia, ma non è poi inflessibile, nè ricusa di adattarsi prudentemente alle esigenze dei tempi, e tutti sanno quanta differenza ci corra fra la disciplina attuale e le antiche pratiche della Chiesa. Bensi quand'è d'uopo ammettere qualche cambiamento nella disciplina, la Chiesa è bastantemente saggia, e viene illuminata opportunamente da Dio, e non vorrà pretendersi che debba prenderne il consiglio nè dai Giansenisti nè da Lutero.

Se dunque il Botta ha inteso di accusare la immuta. bilità dogmatica del Cattolicismo, ha mostrato di non conoscerlo: se poi ha voluto incolparlo di ostinatezza nelle sue discipline, allegando i fatti dell'Alemagna, ha proceduto con mala fede, perchè egli sa bene che i Protestanti non si contentavano del calice e del matrimonio, che la loro ostinazione sopra la disciplina era accompagnata dall'ostinazione negli errori dogmatici; e che in sostanza volevano essere Eretici e Luterani con approvazione del Papa.

Alla pag. 86. Il Botta incomincia a trattare della Inquisizione, e tutti sanno che questo è il campo favorito in cui suol farsi la mostra più pomposa degli odj, dei lamenti, dei sarcasmi, delle esagerazioni e delle calunnie dai nemici del Cattolicismo e di Roma. Lo storico imparziale e il figliuolo amoroso della Chiesa avrebbe in primo luogo ripudiata e confutata quella farragine di favole e d'imposture con cui si sono denigrati calunniosamente gli Annali dell'Inquisizione; avrebbe annoverato i-beni immensi prodotti da questa istituzione per conservare la purità della fede, comprimere la dilatazione dell'eresia è custodire le anime redente col sangue di

Gesù Cristo nella strada della salute; avrebbe considerato che se grandi punizioni sono dovute a quelli che si ribellano e sollevano i popoli contro i monarchi della terra, non possono lasciarsi impuniti i ribelli e i seduttori che si ostinano nella contumacia contro il Re supremo del cielo; avrebbe rilevato che la polizia, o vogliamo dire la Inquisizione con cui si custodiscono da tutti i governi e in tutti i tempi le istituzioni dei regni umani, fu sempre assai più rigorosa di quella polizia con cui si custodisce dalla Chiesa il regno di Dio; e infine, se frugando nel corso dei secoli avesse dovuto riconoscervi qualch'esempio d'intemperanza e di abuso, si sarebbe servito di mansuete e discrete parole, avrebbe incolpata la ferocia dei tempi, avrebbe compianto il disordine inseparabile dalla condizione degli uomini, e ne avrebbe almeno assoluto le intenzioni dei Papi e lo spirito della Chiesa. Ma tali amicizie non possono aspettarsi dal Botta; e quantunque la sua severità sia diretta specialmente contra la Inquisizione di Spagna (1), pure non lascia di diffondersi in generale sopra tutto il sistema dell'Inquisizione. M'accosto adesso a trattare una materia, che renderebbe odiosa la Religione Cattolica, se gli uomini giusti e buoni non sapessero distinguere quanto è inerente alla sua natura da quanto l'ambizione e l'altre sfrenate passioni le hanno aggiunto. Certamente questa parte la fece tremenda in cospetto delle generazioni, e tanto dissimile dal suo divino Fondatore, quanto la dolcezza e mansuetudine di Cristo è lontana dalla crudeltà di un Nerone... Questa peste. nala in Ispagna, propagossi in Italia, ed ancorchè pel trasporto il suo veleno si fosse in qualche parte temperato, non era però che ancora terribile e mortalissimo non fosse. In Roma viveva, e da Roma contaminava poscia con atroci supplizj le altre Italiche contrade. E ciò più o meno faceva secondo che

(1) Sulla Inquisizione di Spagna, e sulle assurdità vociferate sopra il suo conto, merita di leggersi l'eccellente operetta intitolata, Lettere ad un gentiluomo Russo su l'Inquisizione spagnuola, del conte Giuseppe de Maistre, tradotte in italiano da un anonimo. Modena, 1823, n 8, pag. 136.

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