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deli, si erano inimicati, e dati in preda ai nemici di Spagna. Da ciò nacque, che don Diego fu richiamato alla corte, e Cesare tornò, come prima, a favorire il duca Cosimo.

Inoltre, e insin prima che don Diego se ne partisse, I'Imperatore gli ebbe dato ordine di consegnar Piombino e tutte le appartenenze in potere del Duca di Firenze, il signor Jacopo d'Appiano, per la morte della madre, che sempre lo confortava al partito contrario, avendo consentito alla permuta che gli era stata proposta, anzi domandata inutilmente già tante volte per lo passato. Così Cosimo venne, dopo otto anni che gli era stato promesso, al desiderato possesso di Piombino, Buriano, Scarlino e dell' isola d'Elba, dove trovò, per la cupidigia e negligenza degli agenti di Spagna, ogni cosa in mal ordine, le artiglierie rotte, le fortificazioni rovinate. La condizione del possesso fu, che Cosimo desse promessa di rendere Piombino ogni volta che gli fosse pagato quanto pei danari prestati e spese fattevi e guardie tenutevi gli dovesse l'Imperatore.

Le faccende di Siena cominciate sotto un colore si terminarono in un altro, si da parte dei Sanesi, sì da quella dei Francesi. I Sanesi, in cui l'essere imperiali era naturale, e che avevano con tanta asseveranza promesso di non partirsi dalla divozione di Cesare, fatta una subita mutazione, e nudriti di speranze dagli agenti del Re, si dichiararono di parte francese, e non cosi tosto gli Spagnuoli furono usciti dalla cittadella, v'introdussero i soldati di Francia. Fuvvi gran festa. Lansac, ambasciatore del Re, ricevuta in pubblica forma la signoria, che, con bandiere sparse di gigli d'oro, e accompagnata dal Clero e dai Magistrati della città in mezzo alla folla del popolo, donde uscivano ad alto suono le voci Francia, libertà, il seguitava, si presentava all'ingresso della fortezza, e, La maestà del Re Cristianissimo, disse, avendo presentito gli aggravj già fattivi per molti anni dal

a

« l'Imperatore, che, per potervi del continuo tenere « in questa soggezione, aveva ordinata questa fortezza, ■ mossa a compassione, come quel Principe giusto e ◄ prode che è, per carità ne ha mandati con quest' esercito a levarvi di sotto questa tirannide; e così «< in nome di Sua Maestà vi restituisco questa fortezza, • acciò la facciate buttare in terra, e vi offerisco per « conservarvi in libertà tutto il suo potere e forze, << non ricercando altro da voi se non che stiate uniti « per la vostra libertà, e che vi ricordiate di questo « beneficio. » Ringraziarono i Sanesi il Re della data libertà, non sapendo quali lagrime fossero per sorgere da si lieto principio. Protestarono altresì, voler avere verso quella corona la medesima devozione e fede che avevano sempre avuta verso l'Imperatore.

La Francia protestava di continuo (e i capi della parte francese in Italia, principalmente i cardinali di Tornone e di Ferrara, erano per ciò persuadere accesissimi) che ella, chiamata al soccorso di una misera città, non altro aveva voluto, nè voleva che darle e conservarle la libertà; ma intanto si vedeva che intendimento dei Francesi era di fare di Siena un seggio forte pei loro disegni avvenire. Perciò vi chiamavano continuamente nuovi soldati di quelli che avevano combattuto pel duca Ottavio, e gli alloggiavano, non già nella cittadella, che dal popolo fu rovinata, ma negli altri siti forti, e già sommavano a più di tremila. Per governare tanti soldati era richiesto un buon soldato. Però il Re mandava per quest'effetto il Termes, che, da quella persona buona e savia che era, moderatamente procedendo, affezionava quel popolo alla corona di Francia, e faceva ch'essa salde radici vi mettesse.

Il trapasso dei Sanesi da parte imperiale a parte francese, e l'accolta considerabile di gente da guerra che si andava facendo in Siena, insospettirono molto il Duca di Firenze. Ciò non ostante ei non ne faceva dimostrazione, e portava innanzi il tempo, tanto più che per un trattato secreto, conchiuso nel mese d'a

gosto col cardinal Tornone, ei s'era obbligato a non dare impedimento alle imprese del Re, nè fare contro gli amici ed aderenti di lui, dei quali gli sarebbe mandata di Francia la nota nel termine di un mese. Nel medesimo trattato si era stipulato che gli stati e vassalli del Duca non sarebbero mai molestati dalle armi del Re, e che egli sarebbe tenuto per buon amico di Sua Maestà; che fosse lecito al Duca di accettare lo stato di Piombino senza pregiudizio dell'amicizia del Re; che finalmente, se l'Imperatore si tenesse offeso da questo trattato, il Re il prenderebbe in sua protezione, e il difenderebbe.

La prestezza del Termes, e l'inclinazione al posare, che dimostrava Cosimo, erano cagione che i Sanesi si empiessero d'allegrezza, e s'augurassero di potersi godere pacificamente la loro libertà. Di ciò tanto maggiore speranza concepivano, che gli Spagnuoli, da Orbitello in fuori, erano stati scacciati da tutte le terre del loro dominio, ed Orbitello stesso, cinto d'assedio sì dalle truppe condotte dai Francesi si dai soldati proprj, pericolava.

Restava da comporsi il negozio più importante di tutta questa rivoluzione, il quale era la constituzione politica con cui Siena si dovesse reggere. Termes, sincero uomo, il desiderava e confortavane i cittadini. Anche Cosimo gli esortava alla medesima deliberazione. Il Papa, che altresi desiderava fermare quell'incendio, vi aveva mandato il cardinal Mignanello, sanese, con molta autorità per indirizzare il pubblico al medesimo fine.

Crearonsi sedici cittadini, i quali dovessero formare e proporre un modello del reggimento della città più comune, cioè con la maggior larghezza che si potesse. Costoro ebbero in animo di parificare tra di loro i quattro ordini, in cui si trovava divisa la città, di cui ciascuno aveva i suoi privilegi, e di fare una eguaglianza politica per tutti; pessimo rimedio, perchè se Botta, vol. II.

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i grandi non vogliono accomunarsi col popolo, nemmeno il popolo vuole accomunarsi coi grandi.

Disegnarono i sedici, che si creasse un consiglio di novecento cittadini di pari numero di ciascuno del loro monte, cioè dugento venticinque per monte, con sovrana autorità per eleggere i magistrati, cioè il capitano del popolo per un anno e la Signoria per sei mesi; i quali magistrati non si dovessero più fare di un monte che di un altro, nè secondo gli ordini vecchi, ma dove fossero si prendessero i migliori, secondo che paresse al consiglio.

Questo disegno non piaceva al monte del popolo, nè a quello dei riformatori, perchè il primo essendo il più numeroso, ed ambedue essendo stati autori principali che la città mutasse stato, e godesse quella libertà, pareva loro che nella nuova forma non fossero per avere quella parte che si credevano meritare. In somma non volevano accomunarsi. I Francesi, benchè s' infingessero di non volersi travagliare in questo negozio, tenevano nondimeno con quei due monti, ed avrebbero voluto ch'essi avessero la preponderanza, perchè non solamente essi avevano preparate le vie alla loro venuta, ma ancora, avendo per questo stesso motivo gravemente offeso l'Imperatore, speravano che per pericolo ed utile proprio sarebbero sempre stati fedeli e condiscendenti. Nacque da tale umore, che non si potè dar sesto alla constituzione nuova; anzi se non fosse stata l'autorità del Cardinale e del Termes, già insino su quel principio sarebbero corsi gli uni contro gli altri per insanguinarsi le mani di sangue fraterno. Il povero Mignanello se ne tornò come disperato a Roma, sclamando da per tutto che non vi era modo di metter accordo fra quei cervelli gagliardi (cosi gli chiamavano appunto i Fiorentini) dei Sanesi: Termes, disperato anch'egli dell'effetto, se n'andò all'assedio di Orbitello.

La moderazione di Termes aveva dispiaciuto alla corte, che aveva sopra Siena disegni assai più alti che

195 quello della sua libertà. Oltre a ciò, egli era venuto in sinistro concetto per essersi contrapposto, non credendo alle vantazioni e fole dei fuorusciti, alla spedizione del Principe di Salerno contro il regno; e nelle faccende di stato spesso l'aver avuto ragione arreca maggior danno coi padroni che l'aver avuto torto. Per la qual cosa il Re mandava in luogo del Termes, al governo di Siena, come suo luogotenente, il cardinal di Ferrara Ippolito da Este, stimando la persona di tal prelato, e come Italiano e come fedele, molto atta a tener fermi quei cittadini, e viva la parte francese in Italia, massime in Toscana.

L'elezione del Cardinale, uomo ambizioso e, siccome nato di Lucrezia Borgia, figliuola di Alessandro VI e sorella del duca Valentino, somigliante all'avo ed al zio, accrebbe i sospetti di Cosimo, non essendogli nascosto, che Ippolito era un nemico antico e fiero, e che per mezzo dei fuorusciti fiorentini aveva già voluto torgli, non che lo stato, la vita. Sapeva inoltre che gli occulti disegni di Caterina, regina di Francia, per opera della quale massimamente il Cardinale era stato mandato a Siena, el ano di usare tutti i mezzi per farlo rovinare. Non gli sfuggiva che Luigi Alamanni e Piero Strozzi, suoi nemici, si consigliavano frequentemente con lei sulle faccende di Firenze, e che avevano molta parte nelle risoluzioni del Re rispetto all'Italia. Infine segno più manifesto del maltalento della Francia ebbe Cosimo nel vedere, che nella nota trasmessa e sottoscritta dal Re, de'suoi amici e aderenti in Italia, da riconoscersi da lui a tenore del trattato segreto sovra mentovato, vi erano gli Strozzi, suoi ribelli, e che facevano aperta professione di volerlo privare dello stato, ed anche di ucciderlo. Egli ebbe molto per male questa deliberazione d'Enrico; e vedendo che le amicizie nuove non sono fatte per altro che per disciogliere le vecchie, fece sin d'allora proposito di addimesticarsi e congiungersi di bel nuovo strettamente coll' Imperatore. Intanto si

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