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SOMMARIO.

L'Imperatore, sdegnato contro i Sanesi, manda_gente sotto il vicerè di Napoli e il suo figliuolo don Garzia, poi sotto il Marchese di Marignano, per soggiogarli. Difficili condizioni del duca Cosimo in questo accidente. Finalmente accosta i suoi soldati a quei dell'Imperatore. Il Vicerè muore in Firenze. Le armate Francese e Turchesca desolano i lidi di Napoli, di Sicilia, di Sardegna e di Toscana, e poi si voltano contro la Corsica, avendo con loro Sampiero, di nazione Corso, capitano valorosissimo, ed in grande riputazione appresso ai Corsi. Intendeva a sottrarre l'isola dalla soggezione dei Genovesi. Quel che vi succede. Emanuele Filiberto, figliuolo di Carlo III di Savoja, giovane di squisito valore, e di grandissima aspettazione, creato dall' Imperatore generalissimo de' suoi eserciti in Fiandra. Mutazioni in Inghilterra per la morte del re Odoardo. Una fazione di Cosimo per andar addosso a Siena. Segue il discorso sulle cose dei Sanesi, e il grande amore ch'essi mostrano, anche le donne, per la Ibertà. Cosimo e Carlo si affaticano contro di loro, Piero Strozzi coi Francesi e coi fuorusciti in favore. Si parla in tutto il mondo dell'assedio di Siena. Lo Strozzi rotto a Marciano. Condizione miserabilissima a cui sono ridotti i Sanesi, e con quanta costanza la sopportino. Monluc, al nome del re Enrico, è dentro, e con quanto valore ed amore gli difenda. Viene finalmente la necessità della dedizione, e quali siano i patti. Lagrimevole spettacolo degli andanti all'esilio. Assetto che Cosimo e gli Spagnuoli danno alla città. Furore guerresco in Piemonte. Brissac conquista Casale. Muore Papa Pio; gli succede, sotto nome di Marcello II, il cardinal Cervino, uomo dottissimo e santissimo; ma morte il fura dopo un pontificato di pochi giorni, e gli viene surrogato Gianpietro Caraffa, che assume il nome di Paolo IV. Qualità del nuovo Pontefice, e quel, che fa. S'accorda in Lega con la Francia contro l'Imperatore, con quel che ne segue. Carlo V rinunzia al Regno, poi muore. Gli Spagnuoli, condotti dal Duca d'Alba, minacciano Roma.

ORA imprenderemo di trattare di una guerra chc,

incominciata per gelosia di potenza da due principi grandi, fu poi nodrita e mantenuta assai spazio dall'amore della libertà, la quale sanno meglio i popoli difendere dagli assalti forestieri che dall'arti e dall'impeto delle fazioni intestine. Sopportava malvolentieri Carlo imperatore, siccome quegli che abbracciava col pensiero la monarchia d'Italia, che Siena gli fosse stata tolta di mano, parendogli caso disonorevole per la sua corona, e dannoso a' suoi interessi, avendo aperto la strada a' suoi inveterati nemici di pregiudicargli. Deliberossi pertanto a ricuperare con la forza dell' armi ciò che aveva perduto per la prontezza degli avversarj, e l'alterigia e l'avarizia di un suo Ministro. Da Spagna, da Napoli, da Piemonte si preparavano i mezzi di ridurre Siena all'ultime strette ed alla volontà Cesarea. Commise Carlo a don Ferrante che mandasse in Toscana per la guerra di Siena quattromila Tedeschi sotto la condotta di Ascanio della Cornia. Quindi, essendosi apprestati nel regno di Napoli sei mila Spagnuoli ed ugual numero di Tedeschi, comandava al vicerè don Pietro, che si conducesse contro Siena, e che, come capo, l'indirizzo di tutta l'impresa assumesse. Parte di queste genti, sotto guida di don Garzia, figliuolo di don Pietro, doveva viaggiar per terra, attraversando lo Stato Ecclesiastico, per cui il Papa aveva dato il passo, e parte essere portata per mare sulle galere del Doria con la persona stessa del vicerè. Voleva l' Imperatore che questi movimenti si sollecitassero di molto, stimando che dovesse giovare il sopraggiungere avanti che le forze dei Francesi avessero messo più addentro le barbe in quel terreno. Questo tentativo poteva fare a man salva; perchè l'armata turchesca, come si è veduto, era passata ne'suoi porti in Levante, e le galere francesi col Principe di Salerno erano andate a svernare all'isola di Seio.

I Francesi, udendo tali provvedimenti, cominciarono di nuovo a soldare fanteria italiana, e fecero passare le genti loro a piè ed a cavallo rimaste in Lombardia, e mandarono Aurelio Fregoso a condurne quante più potesse dal ducato d'Urbino e dalla Marca, disegnando di mettere insieme almeno dieci mila fanti e cinquecento cavaileggieri, con animo di guardar Siena con le migliori e più fedeli schiere che avevano, e con le altre mantenere quanto più potevano del dominio Sanese. Erano signori, oltre Siena, di Chiusi, Montalcino, Grosseto, Portercole, Asinalunga, Casoli, Montereggioni e Lucignano. Ma l'importanza di tutta la guerra era Siena medesima; però i Sanesi, oltre l'aver racconciato per ogni parte le mura, fortificarono il luogo fuori alla porta di Camollia, dove pareva la città più debole, e dove si poteva agevolmente fermare esercito nemico da vicino, e quasi sopra le mura stesse della città, essendo il sito alquanto rilevato. E con tanto studio e ordine lavorarono in questa bisogna, soldati, cittadini, religiosi, e donne, che in meno spazio che non si saria stimato, quantunque il disegno fosse grande, l'ebbero messo in guardia e finito. Accrebbe le speranze loro l'essere certificati che il Re di Francia si mostrava accesissimo nel salvarli dal pericolo, mandando in Toscana lo Strozzi con tremila Tedeschi veterani, ed otto insegne Francesi.

Conveniva anche pensare al modo di reggimento con ridurlo a forma più stabile; ma in ciò i Francesi e il Cardinale di Ferrara fecero poco frutto, perchè la parte popolare non volle mai udire che si rendessero partecipi dello stato al par di loro quelli della parte contraria, a loro sospetta.

Stava il duca Cosimo in molta ansietà pei moti di Siena, perchè, oltre al guasto della guerra, ei conosceva che sarebbe rimasto a discrezione del vincitore, qualunque ei fosse. Suo proposito era, che si trovasse mezzo di fare che Siena, sgombrata ugualmente dai regj e dagli imperiali, con un governo quieto, signora

(1553) di sè stessa ed amica di tutti, continuasse. Il Papa scopriva il medesimo pensiero, ed ambedue s'ingegnavano con le loro esortazioni ai Sanesi e coi negoziati con le potenze di ridurlo a perfezione: ma ostarono invincibilmente le passioni troppo vive di Siena, e l'odio irreconciliabile tra Carlo ed Enrico.

Cosimo vedeva di essere venuto in sospetto dell'Imperatore, a motivo delle pratiche tenute coi Francesi. Ora dovendosi la guerra fare in Toscana, non solamente gli conveniva dare il passo agli Spagnuoli, ma ricevere con onore il suocero don Pietro ed il cognato don Garzìa, che venivano per governargli; le quali cose non poteva fare senza dare sospetto ai Francesi, per modo che si trovava in grado di aver per nemiche le due parti. Considerato pertanto da un lato che l'essere amico di Cesare era in lui, non che necessità, propensione, e che dall'altro, si teneva molto gravato dalla Francia, per avere lei chiestogli l'amicizia degli Strozzi, si risolveva di ritornare nell'antica confidenza cogl' Imperiali; ma per non tirarsi addosso del tutto i Francesi, come se egli con poca sincerità procedesse, disdiceva_la convenzione, che aveva per opera del cardinal Tornone contratta col Re, promettendo però di non fargli contro, nè coi danari proprj, nè co' suoi soldati, e dichiarando solamente alcune cose comuni non potere negare all' Imperatore.

Arrivava il Vicerè di Napoli a Livorno col fiore degli Spagnuoli, dove il duca Cosimo aveva mandato il figliuolo Francesco ad onorarlo. Don Pietro si tenne sulle prime assai male soddisfatto del genero, perche Cosimo, che non voleva trovarsi a discrezione altrui, aveva munito, all'arrivo del suocero, Pisa di grosso presidio: il Duca opponeva le arti italiane alle arti spagnuole, e non si voleva fidare, e forse in questo caso lo Spagnuolo si doleva del sospetto, perchè l' Italiano aveva ragione di sospettare. Giunto poi il Vicerè in Firenze, fu ricevuto cortesissi

235 mamente dal Duca e dalla Duchessa; ma un accidente funesto venne tosto a turbare l'allegrezza. Il Vicerè, già grave d'anni, e travagliato dal disagio del mare, dalla mutazione dell'aria, e da disordine fatto con la moglie, che era bellissima, s'infermò, e dopo pochi giorni morì. Le esequie parche, notturne, segrete, fecero nascer voce che Cosimo, pei disgusti di Pisa, l'avesse fatto avvelenare; il che, secondo ogni probabilità, era fuor di ragione, ma che si dicesse, era colpa di Cosimo.

Don Garzia, rimasto al governo delle genti, non aveva nè nome, nè sperienza sufficiente nei casi di guerra, nè passava molta confidenza tra lui e Cosimo; il che nuoceva all'impresa. L'Imperatore mandava per condurla con supremo imperio Jacopo de' Medici, marchese di Marignano, già conosciuto pel suo valore in molte guerre, e principalmente nell'ultima, terminata cosi infelicemente sotto le mura di Metz, guerra che egli aveva sempre, contrapponendosi al Duca d'Alba, dissuasa. S'intendeva egregiamente d'artiglierie, e di esse aveva avuto il carico nella guerra di Metz.

Intanto si scoprivano congiure fomentate da Cosimo dentro di Siena, accidente che rendeva la città piena di sospetti, e la parte, che dominava, crudele. Giulio ed Ottaviano Salvi ed Enea Piccolomini erano capi principali di questi trattati sotto colore di liberare la patria dal giogo dei Francesi, anzi pure di tutti i forestieri, perchè il moto, secondo l'intendimento di Cosimo, non era meno indirizzato contro gli uni che contro gli altri. Scoperti, Giulio ed Ottaviano furono decapitati; di Enea, benchè si sospettasse, non avendosene certezza, non si fece giudizio.

La necessità del difendersi faceva star fermi i Sanesi, e certamente ne avevano gran bisogno: gl' Imperiali, in sul primo giugnere, si erano impadroniti d'Asinalunga, Lucignano, Montefellonico, Massa, Montichiello, Buonconvento, Treguarda, Giamarico,

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