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(1553) é già mettevano il campo intorno a Montalcino, terra più forte delle altre, siccome quella che è posta in luogo rilevato, il quale sopra una collinetta si dis tende in lungo e di maniera che da tre parti è sicuro: i Francesi avevano munito di forti ripari la parte accessibile.

In tale condizione provarono i Sanesi qualche indugio ai sinistri casi loro per cagioni venute molto di lontano. Già era il principio di maggio, e si udiva di certo che l'armata turchesca, condotta da Dragut, congiunta alla francese, su cui era il Polino, se ne venivano verso le coste della Sicilia e di Napoli. Il Cardinale di Siguenza, nuovo governatore del regno dopo la morte del Toledo, mandava a chiedere le genti inviate in Toscana. Venuero poscia ordini espressi dell' Imperatore, perchè senza soprastamento alcuno elle si rimenassero nel regno, stimando, che più facesse a lui il difendere le cose proprie che quelle d'altrui. Fu fatta opera perchè almeno vi si lasciasse dimorare quanto bastava a correre il paese, ma non giovò nulla, dicendo l'Imperatore che non voleva perder Napoli per guadagnare Siena. Don Garzia pertanto se ne tornava con le genti a Napoli. Così Siena ebbe respiro, non si però che gli animi vi fossero del tutto sgombri dal timore delle future cose.

Le armate francese e turchesca desolarono in prima le spiagge di Napoli, poi quelle di Sicilia, finalmente gettaronsi sulla Sardegna, menando da per tutto gran prede d'uomini e di robe. Quivi, spalmati i legni, se n'andavano a combattere l'Elba e Piombino per far prova di fermare un piede d'importanza in Toscana. Corsero in brieve quasi tutta l'isola, e la guastarono: dai lidi di terra ferma furono risospinti dalle milizie del Duca, che vegliò secondo il solito sopra tutti questi accidenti con grandissima diligenza. Le quali cose conoscendo i Turchi ed i Francesi, poichè furono stati dieci giorni sopra l'Elba, e tutta disfattola, si volsero inverso la Corsica, avendo seco Sampiero da Bastelica

237 Corso, e molti soldati e capitani di quella nazione, nemici dei Genovesi, in possessione dei quali, e specialmente dell'officio di san Giorgio, viveva allora l'isola. La parte dei fuorusciti era molto forte in Corsica, essendovi odiato assai l'imperio di Genova, e i Corsi generalmente poco sofferenti di giogo forestiero. Sampiero poi, siccome natovi di famiglia prineipale, ed apparentato con gli Ornani, famiglia principalissima, uomo di non poco valore ed esercitato in molte guerre, vi aveva gran seguito. Adunque i Galloturchi, con le forze proprie e coll'ajuto di Sampiero, appena smontati, presero col favore dei popoli Porto-Vecchio, Bastia, Ajaccio, San Fiorenzo, e dopo pochi giorni, quasi senza fatica, nè senza sospetto di secreto intendimento, s'insignorirono anche di San Bonifacio, porto e fortezza molto opportuna, massime per travagliare la Sardegna. In somma tutta l'isola, eccetto la fortezza di Calvi, venne in pochi giorni in potere dei Francesi, che vi mandavano continuamente nuove provvisioni da Marsiglia, e cominciarono a fortificarsi in San Fiorenzo ed Ajaccio, valendosi degli uomini del paese, che volentieri gli servivano. Facevano intanto opera di prender Calvi, tenendolo assediato con molta diligenza.

L'acquisto di quasi tutta la Corsica fu di gran giovamento ai Francesi, potendo da' suoi porti infestare la Sardegna e la Toscana, e tentare anche Genova.

Quanto a Dragut, sdegnato che i Francesi non gli avessero pagati venti mila ducati promessigli, acciò non saccheggiasse San Bonifacio, carico di preda e di schiavi cristiani, si gittava in Sardegna, poi dirizzava le prore verso Levante.

I Genovesi intanto, vedendosi tolta un'isola che a loro era molto cara, conchiusero che, avanti che i Francesi vi fermassero il piede, fosse ben fatto il cerear di cacciarnegli. Nella qual deliberazione con tanto maggior ardore entrarono che temevano, che fosse

(1553) loro agevole dalla Corsica il travagliare Genova stessa, in cui non pochi, per le reliquie dei Fieschi, inclinavano alla parte francese. Già il Termes, andato da Siena in Corsica per nutrire questi umori, vi aveva mandato un suo uomo alla signoria, avvertendola che quell'isola le sarebbe renduta ogni volta che si risolvesse ad essere amica del Re, ed a fargli comodo de' suoi porti e luoghi; la quale proposta i Genovesi non avevano voluto consentire.

Il Duca di Firenze, che vedeva crescere ogni giorno la potenza Francese, e cignerlo da ogni banda, pensò essere tempo di partirsi del tutto da quella via di mezzo, che aveva seguitata sin allora, e che, senza amicargli i Francesi, gl' inimicava appoco appoco l'Imperatore. Togliendosi adunque da queste ambiguità, si risolveva da una parte a far guerra a Siena, dall'altra a soccorrere di qualche ajuto i Genovesi, affinchè potessero ricuperare la Corsica. Laonde, messe le sue genti in ordine, e datone il governo al Marchese di Marignano, le mandava contro la pertinace città. Nel tempo medesimo inviava Lione da Ricasoli a Genova offerendo comodi di soldati, di portie di navi.

Nè l'Imperatore lasciava la tutela dei Genovesi in sì improvviso e grosso frangente; imperciocchè mandò loro promettendo duemila Spagnuoli ed altrettanti Tedeschi, pagati e forte in assetto. Per le quali cose la Repubblica avendo preso animo, diede tutta l'autorità della guerra per terra e per mare ad Andrea Doria, e condusse a' suoi soldi Chiappino Vitelli e Lodovico Vistarino, capitani molto riputati ed esperti. Provvide navi, artiglierie, munizioni, farina, e tutte quelle cose che fanno mestieri ad una guerra dura e grossa. Commise il Doria le genti da terra ad Agostino Spinola.

L'armata genovese, fornita di soldati e di tutte le provvisioni necessarie, faceva vela nel mese di novembre con animo di andare ad Ajaccio, ma, impedita dai

venti contrarj, fu costretta a volgersi al golfo di San Fiorenzo, e quivi mettere assedio alla città di questo nome. Intanto i Francesi furono obbligati per queste mosse di levarsi d'intorno a Calvi, che già pericolava per mancanza di vettovaglia. Ma San Fiorenzo, confortato anche dal Termes, che era venuto ad accamparsi quivi vicino, ed aveva molti Corsi con sè, gagliardamente resisteva. Il vincerlo per forza pareva impossibile; perciò il cinsero diligentemente d'assedio con prendere i passi da ogni parte: seguitavano spesse scaramucce assai mortali, ma la contesa andava in lungo. Intanto la stagione contraria al guerreggiare, il disagio degli alloggiamenti e l'aria corrotta di uno stagno vicino infermavano le genti sì da terra che da mare. Videro i capitani della Repubblica, che bisognava anche usare la forza, e perciò, fatto un impeto contro il campo di Termes, che aveva con sè anche il Sampiero, il costrinsero con molta uccisione de' suoi ad allontanarsi, ritirandosi a Corte.

Venne in questo mentre in Corsica Piero Strozzi, mandato dal Re con titolo di suo luogotenente in Italia alla guerra di Siena. Visitò i luoghi ancor tenuti da Francia, e portò loro qualche soccorso in uomini e danaro; poi se n'andò a Siena, raccoltovi con grandissimi onori. Ma San Fiorenzo per disagio di viveri era obbligato ad arrendersi. Ciò non ostante, la guerra andava lenta, ed i soldati della Repubblica per la contagiosa infermità si erano in gran parte distrutti; onde lo Spinola si risolveva a fortificar meglio i luoghi occupati da lui, principalmente Calvi, San Fiorenzo e Bastia, e finalmente anche Corte, di cui si era impadronito. Restava in mano dei Francesi Ajaccio, fortificato e guernito in guisa che dura impresa sarebbe stata il vincerlo. Sorgeva quindi una guerra di piccoli incontri molto arrabbiata, nella quale quanto si osservò di più notabile fu che nessun Corso venne a porsi sotto l'insegne di Genova, ma tutti si erano accostati al Sampiero, e guidati ed incitati da lui ferocissimamente combattevano.

(1553) In questo mezzo non era stata oziosa la guerra in Piemonte, nè nelle Fiandre, dove principalmente si combattevano le grossissime battaglie. A piè dell'Alpi i Francesi avevano preso di furto Vercelli, e pareva che in quella parte si andassero sempre avanzando, talmente che gl'Imperiali erano al di sotto. Nondimeno, quanto a Vercelli, essendovisi salvata la fortezza, arrivò al soccorso don Francesco da Este; alla giunta del quale, non vedendo i Francesi modo di sostenersi in quell'acquisto, saccheggiata la terra, salvi se ne tornarono alle loro poste.

La ostinata guerra di Siena fu preceduta da una gravissima guerra in Fiandra. Cesare fra Tedeschi, Spagnuoli e Fiamminghi aveva messo insieme oltre einquantamila combattenti, e si difilava così grosso verso Terovana, forte terra del re Enrico sulle frontiere di Piccardia. L'Imperatore diede la condotta di sì fiorita gente ad Emanuele Filiberto, principe di Piemonte, figliuolo unico del duca Carlo, di cui aveva già sperimentato il valore nelle guerre di Germania, ed in quelle stesse di Fiandra. Il suo intendimento era, oltre all'utile, che ricavava dalla perizia di guerra del Principe, di onorarlo e tenerlo contento, non ignorando che i Francesi e con esso lui, e col Duca suo padre (che, dopo un regno lunghissimo, ma infelice, poco poi in questo medesimo anno era uscito di vita) avevano tenute molte pratiche con promessa di rendergli la maggior parte de' suoi stati, è di dar per moglie al giovane Principe, allora in età di venticinque anni, madama Margherita, sorella del Re.

Grave peso in ciò si addossava Emanuele Filiberto, perchè la superbia Spagnuola (ed erano fra gli Spagnuoli assai vecchi capitani di gran nome) non poteva tollerare che un giovane soldato, nato in estera terra, governasse l'esercito più grosso che allora avesse in piede la Spagna, ed avrebbergli imputata ogni disgrazia a fallo. Ma tali ombre assai presto disgombrava it piemontese Principe, e con la virtù superò l'invidia:

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