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241 alto destino l'aspettava. Successe in Fiandra allora ciò che a' nostri tempi abbiamo veduto in Nizza, Emanuele Filiberto simile a Buonaparte, Buonaparte simile ad Emanuele Filiberto. Giovani ambedue, vinsero incontanente con la risoluta volontà e coll'energia del comandare la pervicacia dei vecchi, la superbia dei rinomati. Nacque bentosto ubbidienza precisa, e subito apparve, alla puntualità delle mosse, alla precisione delle esecuzioni, che un solo e forte e vivido pensiero indirizzava la numerosa oste spagnuola. L'esito poi dimostrò, che mai governo d'armi fu dato con più utile ed onore di chi il dava e di chi il riceveva che questo.

Fu presa per assalto, e per comandamento di Cesare abbruciata e spianata Terovana.

Il Re, vedutosi aperta quella frontiera fortissima, metteva insieme le sue forze, e mandava Ambasciatori in Svizzera per levare di quella nazione almeno dieci mila fanti. Intanto gl'Imperiali pigliavano per forza, saccheggiavano e disfacevano Edino, dove fu morto, mentre combatteva valorosamente, Orazio Farnese da un colpo di moschetto, che gli squarciò la spalla. Il Re si ritirava verso le sue frontiere a San Quintino. Successero poscia fatti maravigliosi di guerra, che saranno da noi a suo luogo raccontati con quella brevità che conviensi alle cose accadute fuori dell'Italia. Moriva in quest'anno, non senza sospetto di veleno, Odoardo, re d'Inghilterra, in età di sedici anni. Fu assunta, per gli aggiramenti del Duca di Nortumbria, Giovanna Suffolca, nata per madre di stirpe reale, con pregiudizio di Maria ed Elisabetta, sorelle dí Odoardo. Ma il popolo si sollevò, e chiamò regina Maria; Giovanna mandata in carcere, il Duca all'e stremo supplizio. Per questa mutazione concepì il Papa speranza che quel paese potesse ritornare alla fede Cattolica, ed all' obbedienza della Santa Sede. Mandovvi con commissioni secretissime il Commendone, che poi per la sua virtù fu creato cardinale. Botta, vol. II.

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Ebbe segreto colloquio con la Regina, che si mostrò desiderosissima di far quanto il Pontefice accennava. In fatti, usate alcune cautele, che le opinioni contrarie e l'affetto dei popoli verso la sorella Elisabetta, inclinata alla religione riformata, richiedevano, riuscì a Maria di rintegrare in quel reame la fede, che Arrigo VIII aveva prima acremente difesa, poi crudelmente perseguitata. Il Papa vi mandava per Legato il cardinal Polo.

L'anno che seguì, mandava l'Inghilterra a Roma, per rendere e prestare ubbidienza al Papa, tre ambasciatori di condizione molto onorata. Per sì inaspettata mutazione si fecero molte processioni non solo a Roma, ma per tutta Italia in rendimento di grazie a Dio. Il Papa pubblicava un giubileo, dimostrando che, come padre di famiglia, per aver ricuperato il figlio prodigo, conveniva che non solo facesse domestica allegrezza, ma ancora convitasse tutti universalmente all' istesso giubilo.

Mentre in Italia Roma si rallegrava, i supplizj atterrivano l'Inghilterra. Molti Protestanti vi furono arsi vivi, molti carcerati, molti proscritti, alcuni, morti già quattro anni, dissotterrati, ed abbruciati i loro cadaveri. Nel tempo stesso i Protestanti di Ginevra abbruciavano vivo Michele Serveto per qualche diversità di opinione in materia religiosa; anzi Calvino pubblicava un libro, in cui sosteneva che il magistrato può punire gli eretici nella vita: età feroce per fanatismo!

La regina Maria si mostrava inclinata verso Cesare, di cui dopo qualche tempo sposò il figliuolo Filippo. Di ciò avendo sospetto il re Enrico, si mise in sull' adunar armi più gagliardamente. Questi lontani accidenti contribuirono anche non poco alla risoluzione del Duca di Firenze di scoprirsi del tutto a favore dell' Imperatore, e far guerra a Siena.

Cosimo, principe svegliato ed astuto, risolutosi alla guerra, andava fra sè medesimo componendone il dise

243 gno, e scrisse di sua mano tutti gli ordini opportuni alla mossa dell' armi. Partiva le sue genti in tre schiere. Federigo da Montauto, guardiano della cittadella, ebbe il comando della prima. Diedegli Cosimo l'incarico di fare, accozzandosi con cinquecento Spagnuoli d'Orbitello, un motivo contro Grosseto, Castiglione della Pescaja e Massa di Maremma. Fu commessa la seconda a Ridolfo Baglioni per andare a Montepulciano, e procurare di prendere di furto o Chiusi o Montalcino o Pienza o Buonconvento od altra terra di quel dominio; poi s'indirizzasse a Siena. La condotta della terza schiera fu data al Marchese di Marignano, al qual fu commesso il generalato di tutte le armi e l'indirizzo della guerra. Quest'era la più grossa, e portava con sè gran numero di scale, di trombe da fuoco, di stromenti da segare, da tagliare, e spezzar ferro, gran copia di munizioni, di lumi e d'altre cose opportune a fazione notturna. Si pose grande studio, che niuno di tale apparato potesse spiare cosa alcuna o pur sospettarne, e ultimamente per due giorni e due notti non si lasciò uscir aleuno dalla città. Cosimo aveva disegnato, e così aveva imposto al Marchese, di fare una subita sorpresa sopra Siena. Davagli per compagno, con titolo di suo commissario al campo, Girolamo degli Albizzi, volendo che avesse il governo delle cose opportune, e che si trovasse ne' consigli, dove si stillavano le deliberazioni della guerra.

Era il giorno ventiquattro di gennajo: venuta la notte, già marciavano. Si viveva a questo tempo in Siena con grandissima sicurtà. Disegnavano i coraggiosi, ma troppo confidenti e poco esperti cittadini, di offendere con correre i territorj del ducato, non che pensassero ad essere offesi. Da una parte l'arrivo di Piero Strozzi e i suoi vanti e le sue promesse avevano in tal modo innalzati gli animi alla speranza che non mai si sarebbero arrecati in sul credere di correre qualche pericolo. Dall'altra, la soverehia confidenza,

(1554) la poca speranza, e la mala contentezza del Cardinal di Ferrara per aver veduto, pel governo della guerra, anteporsi lo Strozzi, avevano operato che nulla vi si temesse o vi si provvedesse. Piovve tutto il giorno avanti, pioveva la notte, le strade malconce, i fiumi ingrossati, una grandissima tempesta in mare ed in terra di vento e di freddo grandissimo. I Fiorentini ne furono impediti in parte del loro disegno: i Sanesi, vie più addormentati, non sentivano il nembo che a loro si avvicinava. Pure qualche bisbiglio vi era sorto; ma il Cardinale stava sonnolente, contentandosi di mandare fuori a spiare, che fosse o che non fosse, pochi uomini a cavallo.

Presso alla porta di Camollia era un forte eretto dal Termes, munito da ripari esteriori, ma aperto dalla parte della città. Pochi soldati il guardavano, e fra di loro molti passavano la notte in Siena a godersi le feste di carnovale, reso ancor più lieto dalla magnificenza del Cardinale. Il Marchese, messe le genti in ordine a sei miglia della città a lume di torchi e di lanternoni, si avviava avanti, sollecitando il cammino con trecento dei migliori soldati, così Italiani come Spagnuoli, giungeva improvviso a piè del forte, e si gettava con alcuni de' suoi al bastione di costa alla strada vicino alle mura, e con iscale vi saliva sopra. I compagni, rotto il rastello dell'entrata del forte medesimo, entrarono dentro: presero anche alcune case ed osterie vicino alla porta. Parve al Marchese di aver fatto un grande acquisto ed un buon principio di guerra. Aveva bene disegnato di seguitar l'assalto contro la città, ma se ne distolse, non essendo ancora arrivate l'altre genti, e perchè sentiva dentro il popolo desto, che a suono della campana grossa del palagio traeva all'armi, e vi si vedevano lumi per tutto, come anche di fuori, avendo le genti fiorentine messo fuoco in alcuni pagliai vicini. La notte era scurissima, e quel vasto lume in mezzo al bujo, congiunto al suono delle campane, al romore

delle armi ed alle grida dei combattenti e dei cittadini, facevano una scena molto fiera, e un maraviglioso terrore rendevano. Il Marignano, che si era fatto seguitare da gran numero di guastatori e da molte some di stromenti da cavare e levar terra per poter chiudersi dentro a guisa di fortezza, cominciò a mettergli in opera, ed in poco d'ora si assicurò tanto che non aveva più timore di essere sforzato dai cittadini. Bene questi avevano cagione di temere, perchè quel luogo signoreggiava buona parte della città.

Le altre parti del disegno Cosimesco non ebbero si prospero successo: il Baglioni, scorso il Valdichiana e tentata inutilmente Pienza, si ridusse al campo sotto Siena, carico di preda, ma senza aver occupato alcun luogo. Lo stesso avvenne al Montauto per la difficoltà del passo dei fiumi ingrossati dalle piogge, e per aver trovato, che lo Strozzi aveva contro ogni aspettazione munito gagliardamente le piazze della Ma

remma.

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Credette Cosimo essergli necessità di giustificare una così strepitosa alzata d'insegne presso tutti i potentati d'Italia. Però andava loro dicendo che, non mosso da alcuna ambizione, nè per cupidigia di maggiore imperio aveva impreso la guerra, ma dal pericolo e continuo sospetto della vicinanza francese, vedendosi manifestamente, per l'esempio dei Sanesi e poco poi dei Genovesi, ai quali aveva tolta la Corsica, che l'ambizione del Re di Francia non finiva quivi; che già i suoi avevano macchinato trattati in varie parti del ducale dominio; che i Francesi avevano dato ricetto in Siena ai ribelli di ogni parte ed a uomini scandalosi, la vita dei quali era il travaglio di tutta Toscana, nè potevano contentarsi nè della pace, nè della quiete, i quali modi portando seco dispregio, disonore e pericolo, non si potevano più sofferire. Quanto all'universale di Siena, diceva che già molti anni loro aveva mantenuta appresso a Cesare la libertà, la quale dai vicini, e da altri signori d'Italia

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