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che danno alla coda. Poi tornò in sull'assedio di Siena, dove don Giovanni a man salva lo andò a trovare. Giunsevi anco don Giovanni Manriquez con le truppe mandate dal Regno, per modo che l'infelice città si vide stretta più che mai, ed oramai prossima all' ultima sua ruina. Tale fu il fine della correria di Piero Strozzi sul Fiorentino, di cui egli sentì grandissimo rammarico, avendo promesso al Re che, al primo romore de' suoi cavalli, tutta la Toscana si sarebbe ribellata contro il Duca.

Le disgrazie non vengono mai sole: una gravissima sovrastava a Piero. L'armata di Marsiglia non era venuta. Lione Strozzi, parendogli di perder tempo, e volendo pure ajutare l'impresa di Siena, era venuto con tre sue galere a Portercole, e vi si metteva a travagliare il nemico dalla parte di Piombino. Imbarcate all'improvviso tre insegne di fanteria sopra le tre galere, le pose vicino a Scarlino, luogo poco distante da Castiglione della Pescaja. Sua intenzione era di vincere la terra per correre più oltre, la quale non volendo arrendersi, egli vi si trasse vicino per speculare il sito. Quivi fu percosso d'un archibuso nel fianco con tal ferita che, portato a Castiglione, in poche ore finiva i suoi giorni: giovane di smisurata grandezza d'animo, e che per conservarla ruppe da sè medesimo più volte il corso della propria fortuna.

Il lagrimevole caso del fratello afflisse incredibilmente Piero, vedendosi massimamente fuori di speranza di rinfrescare Siena, e con l'esercito ridotto in Maremma, dove per l'aria avversa era ogni giorno assottigliato per la mortalità. Qualche sollievo gli arrecava la flotta del Re, che congiunta con quella d'Algeri era arrivata, ma un mese più tardi del bisogno, in Portercole, dove aveva sbarcato sei mila fanti di truppa veterana. Ma ciò non era sufficiente per far allargare l'assedio, trovandosi il Marchese bene fortificato ne' suoi alloggiamenti, ed aumentato

di molte forze. Ciò nondimeno lo Strozzi, non consentendo a consumarsi inutilmente nella Maremma, poichè sforzare il Marchese sotto Siena non poteva, voltò l'animo a farlo muovere con le diversioni, sperando che nel movimento dei campi potesse avvenire caso ond' egli si sollevasse ed il nemico vincesse. Disegnava di correre la Valdichiana, tentare Arezzo, guadagnare il Valdarno, e spaventare per tale guisa il Duca stesso nel suo palazzo. Conobbe il Marignano questi disegni, e antivedendo il pericolo, se più oltre dimorasse nel suo alloggiamento verso porta Romana, di essere côlto tra la città assediata, donde avrebbe potuto uscire il popolo a furia per assalirlo, e l'antico nemico, si ritirava, tornando nella sua antica stanza di Camollia. Apertasi per tal modo porta Romana, e restituita la comunicazione con Montalcino, entrò qualche provvisione nella piazza. Arrivava a confortare maggiormente i cittadini il general Piero, come lo chiamavano, e siccome quegli che molto valeva nel dire, fece un'acconcia orazione avanti agli Otto della guerra ed altri magistrati del governo. Promisero di sforzarsi ad ogni modo per fare ciò che il caso richiedeva.

Piero se n'andava quindi alle sue imprese. Faceva passare da porta Romana le genti Italiane in ordinanza, e per porta a Tufi le Tedesche e le Francesi, e le inviava per porta Ovile inverso l'Osservanza. Quindi, lasciato Monluc al governo dell'armi, essendosene Lansac tornato in Roma alla sua legazione, data buona speranza a quell'afflitto popolo di salute e ordinato quel che vi bisognava, muoveva le schiere inverso la strada Romana per andar a travagliare le cose del Duca in Valdichiana e in Valdarno, confidando con ciò di allontanare l'avversario da Siena.

Il Marchese, non per suo consiglio, chè avrebbe voluto restarsi ne' suoi alloggiamenti, ma per commissione molto imperativa di Cosimo, si mise in sul seguitarlo, e lo andava continuamente costeggiando, Boll, vol. II.

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(1554) con fuggire però la necessità di venire ad un cimento terminativo, perchè sapeva che l'esercito nemico, mal pagato, non avendo di che pascersi, e in preda a molti disordini da parte dei commissarj sanesi, che fra di loro non s'intendevano, nè con nessuno, non avrebbe tardato a risolversi.

Piero intanto, o, per meglio dire, i suoi soldati davano un guasto orribile in ogni luogo dove capitavano. Sollecitava, ma senza frutto, Arezzo. Prese il ponte della Chiana, prese Monte San Savino, patría del Papa, che pose a taglia, espugnò Fojano, espugnò Marciano, diè la stretta ad altri vicini castelli, e minacciava di far peggio un giorno più che l'altro. Andava il Marchese alla ricuperazione di Marciano, e già cominciava a batterlo. Mossesi incontanente lo Strozzi al soccorso con animo di tirare a battaglia il circospetto capitano del Duca: ora la guerra s'avvicina ad un avvenimento decisivo.

Stavano i due eserciti a fronte l'uno dell'altro, accampati sovra due colli, cui separava una valle, e nel fondo di lei era, come suole, un fosso assai profondo e largo, in cui si precipitavano ai tempi piovosi le acque delle due parti, e che serviva anche di strada alla gente di campagna. I soldati di Piero se ne stavano con molto disagio per difetto delle provvisioni, massime dell'acqua, che erano costretti a far venire da Lucignano. In miglior grado si trovano quei del Marchese, quantunque anch'essi sentissero penuria di acqua, essendo la stagione molto calda e secca, cioè in sull'uscir di luglio. Era il numero delle fanterie quasi uguale da ambe le parti; ma per bontà e numero de' cavalli, i Cosimeschi superavano di gran lunga gli Strozzeschi. Ambi i campi stavano fermi, ciascuno sul suo colle, attentamente osservando che si volesse fare il nemico, per poter prendere quelle risoluzioni che più al caso si convenissero. Si conoseeva che quello che avesse levato il campo il primo, avrebbe avuto lo svantaggio pel disordine che sem

pre tira seco una levata. Però voleva assalire il nemico, se il vedesse diloggiare, non stimando poterlo cozzare con frutto nel forte sito in cui si era ridotto, dovendo, per ciò fare, traversare e disordinarsi nella valle frapposta. Il Marchese, pel contrario, aveva deliberato di fuggire la battaglia, quand' anche il nemico si fosse levato di là, e di seguitarlo solamente alla coda, cercando, con la lunghezza della guerra, di vincere al sicuro. Ma vennero ordini risoluti di Cosimo (nojato dalla spesa, e desideroso oggimai di veder fuori del paese tanti forestieri nemici ed amici) che, preso un buon destro, si venisse assolutamente alla battaglia. Fu costretto il Marignano d'obbedire al Principe, quantunque poca voglia ne avesse.

Ora avvenne che Piero non aveva più danari da pagar i soldati, e i Grigioni se ne volevano tornare alle loro montagne. I viveri mancavano, e ogni sorta di disagio si pativa nel campo. Deliberò pertanto di levarsene con animo di ritirarsi verso Lucignano e Fojano, e di combattere, quando pure il nemico se gli presentasse innanzi. La notte mandava le bagaglie e le artiglierie a Fojano. Felice egli se avesse usato quell'oscurità anche per tirar indietro i soldati! Ma per quella sua grandezza d'animo, cui niuna cosa poteva domare, e per un puntiglio d'onore, come se l'onore non consistesse nella vittoria, ostinossi a non voler levarsi da campo se non allo schiarir del giorno, e quando già cominciava a spuntar il sole, parendogli indegno di lui, e recandosi a viltà il chiamare in ajuto il bujo della notte. Ebbe il Marchese avviso dell' intento del nemico, e stette tutta la notte in armi. Fatto giorno, Piero cominciò a muover l'esercito in ordinanza per le colline che menano a Fojano. Il Marchese, ciò vedendo, mise insieme i suoi, e mandò avanti i corridori, si fanti che cavalli italiani e spagnuoli, affinchè, varcata la valle, trattenessero l' inimico, ed appiccassero la zuffa. Lo Strozzi dall' altra parte, conoscendo esser venuta l'ora della battaglia,

(-1554) spingeva anch'egli avanti le sue squadre armate alla leggiera. Onde si attaccava su quelle colline una fierissima scaramuccia. Intanto il grosso dei due eserciti, venuto avanti da ambi i lati, scendeva ciascuno dalla sua china in fondo della valle a proda del fosso che lo trascorreva. Quivi fermaronsi, perchè bene s'accorgevano i due periti avversarj che il disordine, che avrebbe di necessità tirato seco il passo del fosso in chi passato l'avesse, dava il vantaggio a chi l'aspettava fermo ne' suoi ordini sull'altra sponda. Ma in ciò il Marchese aveva miglior condizione; percioc chè, avendo con sè alcuni pezzi d'artiglieria, con essi fulminava il nemico, mentre questi, privatosene poco innanzi per averla mandata a Fojano, non poteva con eguale arma rispondere. I cavalli di qua è di là s'erano venuti al dirimpetto dalla parte di sotto della valle più aperta, e stavano nei medesimi modi distesi, come la fanteria, ne' loro squadroni, e ciascuno per vantaggio del fosso teneva a' suoi la briglia; ma essendo alcune squadre di cavalli del Marchese, che, mandate ad alcuna fazione, erano rimaste indietro, sopravvenute sul campo, diedero, entrando nella battaglia, il crollo alla bilancia. Avevano, all'incontro, dall'altra parte del fosso la cavalleria francese, cui scorgevano mal ferma e con segni di paura. Parve allora tempo ai capi della cavalleria Cosimesca di muoversi, siccome ne avevano commissione dal Marchese, e fatto dare romorosamente nelle trombe, si misero a passare, seguendoli gli altri cavalli a corsa, e andarono ad investire arditamente i nemici. La cavalleria di Franeia fece quivi cattivissima pruova, perchè, fatta niuna resistenza, si diede a fuggire alla sfilata a tutta briglia, gittando l' armi e gli stendardi per terra. La cavalleria di Cosimo seguitando, corse loro addosso uccidendone molti, e facendone molti prigioni. Gli altri cavalli dello Strozzi si sbaragliarono, andando in rotta ancor essi, chè mai non si vide tanta viltà. Piero, vedendo fuggita la sua cavalleria, e i fanti di

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