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l'animo alieno dal convenire; onde si mettevano in ordine le genti per muovere, anche dalla parte della Toscana, lor contro. la guerra, dove non avevano luoghi forti, e donde non pensavano essere feriti. Al tempo stesso il Duca d'Alba pensava al venir innanzi, per modo che la parte più vitale dello Stato Ecclesiastico, anzi Roma stessa, combattuta da due parti, rimaneva in pericolo di ultima ruina. Ma tale calamità tolse via un caso accaduto in lontani paesi, e che levò a grandissima maraviglia il mondo.

FINE DEL LIBRO NONO.

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LIBRO NONO

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LLA pag 277. Trattandosi dell'elezione di Paolo IV, ecco le tinte amichevoli e modeste con cui si colorisce dal Botta il ritratto di questo Papa: Mostrava in tutte le sue azioni una grande arroganza ed una alterigia ancor maggiore, e maltrattava con parole villane le persone di miglior qualità; il che non era nè da Papa ne da un Caraffa, nè da gentiluomo, nè da uomo civile. Si aggiungevano non di rado eccessi di collera, che il rendevano parte terribile, parte sprezzabile; e poche settimane dopo la sua creazione non ebbe riguardo di trattar a pugni e a calci il Luogotenente del governo di Roma, e di pelare la barba ad un ambasciatore di Ragusi.

Certamente anche i Papi portano sul soglio la debolezza umana, e Paolo IV lasciò fama di grande severità, e di costumi e modi piuttosto rigidi ed aspri: ma che un vecchio Pontefice di santissima vita si abbandonasse a tali trasporti non è troppo credibile; e poichè autori niente ligj dei Papi non ne fanno parola, è il Botta non si cura di parteciparci onde ha tratto questi aneddoti pellegrini, ci sarà permesso almeno di dubitarne. In ogni modo, i figliuoli rispettosi cuoprono e non divulgano i difetti del padre; e se il Botta non si fosse fermato nel proposito di screditare tutti i Papi per dritto e per traverso, avrebbe taciuto di queste miserie, considerando che il commentario sulla barba dell'ambasciadore di Ragusi non era un documento interessante perla Storia d'Italia.

SOMMARIO.

Guerra di Fiandra. Grandissima vittoria degli Spagnuoli guidati da Emanuele Filiberto di Savoja sopra i Francesi a San Quintino. Timori del Papa. Si pacifica con la Spagna, e con quali condizioni. Il Duca d'Alba in Roma a render omaggio al Pontefice. Per la costanza del re Enrico, la prontezza della nazione, l'opera del Duca di Guisa, risorge la fortuna della Francia. Il Senato veneziano s'interpone a concordia. Pace di CastelCambresi. Quali ne siano le condizioni. Emanuele Filiberto ricupera i suoi stati. Grave sdegno del Papa contro i suoi nipoti prevaricatori. Morte del re Enrico, infelicemente datagli per accidente in una giostra. Gli succede Francesco 11. I Sanesi rifuggiti a Montalcino vengono sotto l'obbedienza del duca Cosimo. Morte di Paolo IV. Terribili risentimenti dei Romani contro la sua memoria. Viene eletto papa il cardinale Gianangelo de' Medici, Milanese, fratello del Marchese di Marignano. Quale fosse. Fa cardinale Carlo Borromeo, suo nipote, e in lui rimette tutte le faccende importanti. Lagrimevole fine dei Caraffa, nipoti di Paolo. Rintegra il Concilio in Trento. Paragone tra Cosimo di Toscana ed Emanuele Filiberto di Savoja. Modo di reggere dell'uno e dell'altro. Umori diversi in Piemonte, e come il Vincitor di San Quintino, venuto nel regno con tanto valore acquistato, gli governa. Come Cosimo ed Emanuele Filiberto ordinino le milizie. Spinto dal Papa e dall'Inquisizione, il Duca di Savoja travaglia con atti rigorosi Valdesi. Moti che ne seguono. Si fa sangue. Editto di perdono con qualche concessione. Il Papa se ne lagna. Simili tragedie dei Valdesi in Calabria.

GIA' abbiamo mentovato la guerra gravissima che il

re Filippo si era deliberato di fare al re Enrico dalle parti della Fiandra e della Piccardia, e come avess preposto, come generalissimo, a tutte le sue genti il

309 Duca di Savoja. Si numeravano nel campo del Re Cattolico dodici mila fanti tedeschi della Germania superiore e sei mila della bassa, quattromila Valloni, cioè d'uomini Fiamminghi de' migliori: si aspettavano in breve quattromila Inglesi; tremila Spagnuoli già si trovavano presenti, e cinquemila se ne attendevano di nuovo. Accompagnavano la gente viva ottanta cannoni grossi con altra artiglieria minore, ed una moltitudine grande di guastatori e maestri di cave e di mine; numero e copia infinita di palle, di polvere ed altri stromenti bellici con ispesa incredibile. Mentre Emanuele Filiberto con apparato tanto terribile scorreva la campagna, mostrando vigor d'animo ed assennatezza non ordinaria, Filippo, quasi accenditore d'ogni coraggio, e spettatore dei casi maravigliosi che si stavano preparando, se n'era venuto con la corte a Valenziana, e quindi si posava finalmente a Cambrai.

Per opporsi ad un tanto sforzo, il Re cristianissimo, quantunque con ogni nervo vi si fosse affaticato, non aveva di gran lunga forze uguali, avendo potuto raccorre poco più che quindici mila fanti tra Francesi e Tedeschi, e quattro mila cavalli. A tutta questa gente comandava, qual duce supremo, il gran conestabile Montmorency, capitano in cui l'età, già non poco avanzata, aveva cresciuto prudenza senza scemar vigore. Era venuto al campo il fiore della nobiltà francese; il che dava singolarmente animo ai soldati. Notavansi principalmente i due fratelli Coligny, cioè l'Ammiraglio e l'Andelotto, ambi forti guerrieri, ma il primo più cauto, il secondo più audace, e che avevano ambedue ad essere gran parte dei rivolgimenti cagionati in Francia dalle dissensioni religiose, che già erano incominciate e tuttavia si andavano dilatando.

Il Conestabile, trovandosi pel numero dei soldati, al di sotto dell'avversario, non si fidando massimamente della cavalleria, poichè la migliore era ita in Italia col Duca di Guisa, andava temporeggiando e

(1557) provvedendo cautamente ora a questa parte, ora a quell'altra, con fuggir sempre la necessità di una battaglia campale.

Il Duca di Savoja, conosciuta l'arte del nemico, pensava a correre addosso a qualche piazza importante di quella frontiera, sperando che il nemico, per non se la lasciar perdere, sarebbe accorso e datogli occasione di una giornata terminativa. Dal partito che pigliava pendevano le sorti universalmente non solo del Papa, di Francia e di Spagna, ma ancora quelle del Piemonte e della sua famiglia, alla quale poco altro era rimasto che la spada, che allora, quasi esule, portava ne' regni altrui. Era corso contro Marianburgo, facendo veduta di voler campeggiare quel luogo per tirarvi i Francesi, ma aveva l'animo altrove. S'indirizzava improvvisamente contro San Quintino, terra non molto quindi lontana, e poco provveduta, ed ai tre d'agosto vi si presentava con tutto l'esercito.

Uditane la novella, il Conestabile vi spinse volando l'Ammiraglio con dugento uomini d'arme ed alcuni pochi fanti che entrarono nella piazza; vi mandava due giorni dopo l' Andelotto con dodici insegne di fanteria ed alcuni cavalli, acciò, conoscendo la terra in pericolo, facesse forza d'entrarvi. Il tentativo parte riusciva, parte no; perchè, accortisi gli Spagnuoli della venuta del soccorso, il combatterono e il ruppero, non si però che alcune compagnie in mezzo alla mischia non trovassero modo di entrare. Misesi poi il Duca di Savoja a battere il borgo, che vicino alla terra di là dal fiume verso la parte della Fiandra, guardavano i Francesi, e se ne impadroniva. Anche sulla sinistra della Somma gli Spagnuoli erano passati, cignendo d'assedio tutta la città, cui fulminavano furiosamente con le artiglierie.

Il Generalissimo di Francia, parendogli, oltre al danno che poteva seguire di perdersi quella frontiera, che a lui se ne scemasse la riputazione, appartenen

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