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in questa feroce battaglia le due compagnie di Lodovico Montiglio e di Carlo Trucchi per essersi loro con incredibile ardire avventati innanzi ad ogni altro contro a quel monte, tanto munito dalla natura e tanto difeso dagli uomini. Dei Ducali coloro che vennero subito dopo il fatto in poter dei nemici, furono con crudeli strazj dati a morte. Quest'era una delle guerre di religione delle più feroci, questi gli effetti delle papali e fratesche instigazioni! Ortodossi contro eterodossi, e questi contro quelli, con le armi, con le unghie, coi fuscelli, col fuoco si straziavano. A che valse che San Gregorio abbia scritto: Nuova ed inudita predicazione è questa di comandar la fede con le percosse? Ma forse i frati ne sapevano più di San Gregorio.

Rinnovava il Duca, e rintegrava i battaglioni, il Papa il sovveniva di danaro. Ma da una parte i Valdesi, per mostra di devozione verso il sovrano, e con qualche speranza di benigna composizione, avevano mandato deputati a Vercelli, dove il Principe in quel tempo faceva la sua dimora; da un'altra Emanuele Filiberto, vedendo la difficoltà dell'impresa, e che non faceva altro che agguerrire i suoi ribelli, congiungere la loro causa coi dissidenti di Francia, consumare i suoi territorj e spendere il danaro inutilmente, si era deliberato a ricevergli in grazia. A tal partito tanto più volentieri si appigliava, che, essendo passato di questa vita nel mese di dicembre dell'anno scorso Francesco, re di Francia, e succedutogli Carlo IX, suo fratello, d'età d'anni dieci, il governo, per la minorità del Re, si trovava in debolezza tale che, non che fosse in grado di soccorrere il Duca, a grave stento poteva resistere ai tumulti che in ogni parte del suo proprio reame si suscitavano. Faceva pertanto il Duca, con suo editto dato da Cavour addì cinque di giugno, le seguenti concessioni ai Valdesi:

Fossero perdonate a tutti le cose commesse;

Fosse lecito a quei d' Angrogna, Bobio, Villaro,

Valguicciardo, Rorà in val di Lucerna, e a quei di Rodovero, Marcello, Maniglia, e Salsa in val di San Martino, far le congregazioni, prediche ed altri esercizi della loro religione;

I medesimi esercizj si potessero fare al Villaro in val di Lucerna, ma ciò solamente insino a tanto che il Duca vi avesse fatto fabbricare una fortezza ;

Al Tagliareto, Rua di Boneto in confine della Torre fosse anche lecito far prediche e congregazioni, sì veramente che per questo fare non entrassero nel resto del territorio della Torre;

Non fosse lecito ai detti abitori di val di Lucerna e val di San Martino venire negli altri luoghi delle medesime valli, nè in altre parti degli stati di Sua Altezza, nè oltrepassare i limiti a fine di far prediche, congregazioni o dispute, stante che solamente era loro permesso di ciò fare dentro'i loro confini; e caso che interrogati fossero della fede loro, fosse loro lecito rispondere senza incorrere in alcuna pena nè reale nè personale.

I fuorusciti e banditi potessero tornare liberamente alle case loro, e i beni confiscati fossero loro restituiti;

Fosse lecito ai Valdesi di conversar liberamente, ed anche coabitare con gli altri sudditi, a trafficar con essi in tutti i paesi alla medesima dominazione soggetti, con ciò però che nè congregazioni facessero, nè prediche, nè dispute;

In tutti i luoghi dove si veniva a permettere ai Valdesi il libero esercizio della loro religione, si dovesse anche celebrare la Messa e gli altri uffizj della religione romana, ai quali, siccome i seguaci della prima non erano tenuti di andare, così non potessero molestare quelli che vi andassero, e meno ancora i sopraddetti uffizj schernire, o turbare in modo

veruno.

Questo editto, nel quale si vede molta prudenza, fu sottoscritto da Filippo di Savoja, signore di Racconigi,

per le concessioni, e da due ministri Valdesi di conto per l'accettazione. Nel che si può notare dall'un dei lati la biasimevole debolezza del governo ducale nel consentire che un editto sovrano, perchè fosse valido ed esecutorio, avesse bisogno della promessa dei sudditi di eseguirlo, dall'altro, la non comportabile pretensione dei sudditi d'intervenire, come parte contrattante, in un editto di tal natura, e quasi approvarlo con le loro spscrizioni. Questa pretensione, di voler trattare da uguale ad uguale col Principe, pretensione che misero innanzi anche negli anni susseguenti, e finchè durò la discordia, siccome scusare non si può, così nocque grandemente nel seguito alla quiete ed agli interessi dei Valdesi.

In fatti, sebbene il Duca per alcuni anni osservasse l'editto, non volle però mai ratificarlo, nè farlo registrare dal senato e dalla camera de' conti, formalità indispensabile perchè acquistasse forza di editto esecutorio.

Il Pontefice sentì con sommo rammarico la deliberazione del Duca di Savoja, parendogli intollerabile, che un Principe italiano ed ajutato da lui permettesse vivere eretici liberamente nel suo stato. Soprattutto il molestava l'esempio, che gli potrebbe essere sempre rinfacciato dai principi maggiori, che volessero permettere altra religione. Ne fece querela in concistoro con acerbità, facendo comparazione dei ministri del Re Cattolico del regno di Napoli col Duca', i quali in quei giorni medesimi, essendosi scoperta una massa di Luterani nella Calabria Citeriore, gli avevano distrutti, con averne parte impiccati, parte_abbruciati, parte mandati in galera. Mandò il Duca a giustificare la sua causa, e il fece per modo che il Pontefice, benchè allora Roma (fresca ancora di Paolo IV) volesse fuoco e sangue, non potendo far altro, acquietò, od almeno si acchetò. Ma un gran parlare e sparlare di frati si faceva in Piemonte contro Emanuele Filiberto, e poco mancò che non gli dessero Botta, vol. II.

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si

(1561) dell'eretico per la testa. Eppure egli è, non che certo, evidente che il Duca, nell'atto di cui si tratta, non toccò in nessuna maniera alcun punto di religione; solo nei dritti incontrastabili della potestà secolare contenendosi, limitò in certi confini l'esercizio della religione dissidente, concedendo anche nei medesimi luoghi quello della religione Cattolica, concessione, se religiosa, forse non prudente, perchè non poteva non dar luogo a risse ed a discordie., Così, se i Valdesi erano peste, come i frati pretendevano, erano anche come pestiferi confinati; ma i frati avrebbero voluto che il Duca gli facesse ammazzar tutti.

La tragedie di Napoli furono le seguenti. Insin dal principio del secolo decimoquarto, le valli del Piemonte non potevano più contenere la moltitudine degli abitatori, crescendovi giornalmente la popolazione per la giunta d'uomini avveniticci, che, perseguitati acerbamente in Francia per le loro opinioni religiose discordanti dalle Cattoliche, andavano in mezzo a quegli aspri monti cercando sicurezza e riposo. Pressati da ogni bisogno, nè potendo le terre ristrette e sterili più sovvenirli, una parte di loro si deliberava a spatriarsi una seconda volta per andar a posarsi in altri paesi, in cui e vivere tranquillamente e sussistere comodamente potessero. Sovvenne loro la Calabria, dove frequenti foreste e vaste terre incolte allettavano e tiravano popolazioni bisognevoli di vitto e vaghe di lavoro. Mandaronvi deputati, i quali convennero coi signori delle terre intorno alle condizioni con cui potevano venirvi ed abitarvi. Partirono ed arrivarono: sorsero felici colonie, coltivaronvisi le terre, fabbricaronvisi case, ville e villaggi intieri si innalzarono là dove per lo innanzi non si vedevano che boschi e deserti. La Guardia, Bacarizzo, San Sisto, la Rocca, l'Argentina, San Vincenzo furono opera delle loro mani. La Guardia ancora oggidì si distingue col nome di Guardia Lombarda, perchè di Lombardia erano venuti i suoi primi abitatori. Quivi si vivevano anzi

355 quietamente che no, celebrando a loro modo i riti religiosi, perchè i signori dei luoghi, cavando profitto dalle loro industriose fatiche, gli favorivano e proteggevano. Dal canto loro, essendo pochi in mezzo a molti, e come addetti alle opere manuali, poco o nulla ammaestrati, nè presi a niun modo della smania di far proseliti e propagare le loro credenze, non davano nè alle dignità ecclesiastiche nè ai magistrati secolari occasione di avvertir a loro, non che di punirli. Ciò durò intorno a tre secoli.

Ma la romorosa riforma d'Alemagna, e quella che più fiera ancora si andava preparando in Francia vennero a turbare in quelle lontane e quasi da ogni consorzio separate regioni l'antica quiete. I magistrati civili e i ministri della religione Cattolica s'insospettirono; nè gli abitatori stessi furono senza colpa. Crescendo il grido delle novità di Germania e di Francia, e il nome di Lutero risuonando fra di loro, mandarono a Ginevra alcuni, onde da quella città alle loro Calabresi sedi invitassero persone, per cui della novella dottrina potessero più ampiamente informarsi.

Vennervi effettivamente due ministri settatori della riforma, i quali la predicavano pubblicamente e l'insegnavano per catechismo non solamente in quelle loro terre della Calabria, ma ancora nei luoghi circostanti; il che constituiva un certo proselitismo, e tendeva a turbare lo stato, cosa che a modo alcuno non si poteva tollerare. Parecchie terre della Basilicata, e fra le altre Faito, la Castelluccia e la Cella ne furono contaminate.

Il male necessitava un rimedio: perchè se i Protestanti hanno per male che i Cattolici cerchino di convertirli, non si vede come e' possano lodare in sè ciò che condannano in altrui, massime quando ciò sia con pericolo di turbazione nello stato.

Il cardinale Alessandrino, inquisitore generale in Roma, che aveva del Caraffesco, e che poi fu papa sotto nome di Pio V, ebbe notizia del fatto. Vi man

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