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SOMMARIO.

Azioni del Concilio Tridentino; il Papa vi manda per presiederlo Legati di somma pietà e dottrina. Sospetti del Papa, e come vi rimedia. La Francia si scompone e sconvolge per cause di Religione; casi spaventevoli che ne seguono. Arrivo degli ambasciatori francesi al Concilio con commissioni che turbano la mente dei Padri. Come si spiegano in presenza del Concilio. Seguitano le azioni conciliari così quanto al dogma, come quanto alla disciplina. Questione gravissima circa l'instituzione e la residenza dei Vescovi. Singolare discorso del Generale dei gesuiti Lainez in favore dell'autorità Pontificia. Arrivo del cardinal di Lorena al Concilio, e come acconciamente vi parla. Molestie che dà l'ambasciator francese Ferrier. Guerre civili in Francia sotto il re Carlo IX, succeduto a Francesco II. Accidenti in Milano per l'Inquisizione. Il Concilio vuol entrare nelle prerogative dei principi, i quali si risentono. Acerbe parole del Ferrier in questo proposito, ed acerba risposta che gli si dà dal promotore del Concilio. L'Ambasciatore se ne parte da Trento, va a Venezia, e più non torna. Altri decreti conciliari di somma importanza. Fine del Concilio; solennità gravissima dell'ultima sessione. Come i suoi decreti siano ricevuti dai diversi principi.

ESSENDO la Bolla Pontificia della riassunzione del Concilio in Trento stata accettata da tutti i principi cattolici, e già pervenuti in gran numero i Padri in quella città, vi si attendeva a dar principio alla veneranda Assemblea. Vi aveva il Papa deputati per Legati e Presidenti, primieramente Ercole Gonzaga, cardinal di Mantova, fratello di don Ferrante, ma tanto dissimile da lui di quanto si discosta la virtù dal vizio, ed il cardinal Puteo, nativo di Nizza, uomo eccellente per integrità della vita, e per fama di profonda dottrina nella legge canonica. Poscia diè loro per compagni il cardinal Seripando, di cui si è già altrove da noi fatta onorata menzione, uomo di altissimo sa

(1562) pere e di rara eloquenza, l' Osio, vescovo Varmiense, recentemente creato cardinale, il cardinal Simonetta, milanese, e l'Altemps, suo nipote di sorella. Oltre la santità dei costumi, piacque al Pontefice nell' Osio l'essere lui, essendo nunzio presso all' Imperatore, in grandissima estimazione presso le nazioni alemanna e polacca, e per avere lungamente trattato con loro negozj di somma importanza. Risplendeva nel Simonetta, oltre una grande perizia, come nel Puteo, nel diritto canonico, una singolare pratica delle faccende di corte, ed uno zelo molto ardente per le prerogative di Roma, onde ne nasceva che a lui principalmente il Papa partecipava i suoi consigli più reconditi e più gelosi. Quanto all' Altemps, quantunque molto commendabile fosse pe' suoi retti costumi, in lui più si amò l'affinità con Pio che ogni altro rispetto, essendo egli persona di facile natura, ed atto piuttosto ad essere tirato che a tirare. Tra questi il Puteo, gravemente infermo, non potè mai trasferirsi in Trento, anzi poco dopo fu tolto dal suo male irrimediabile da questa vita.

Nella destinazione dei Legati al Concilio chiaramente appare qual fosse l'intenzione del Pontefice, poichè in primo luogo tutti erano commendabili per Îa santità dalla vita, il che valeva se non ad allettare i dissidenti, almeno a non dar loro materia di denigrazioni. Poscia nel Cardinal di Mantova ai molti pregi della persona si aggiungevano le aderenze della famiglia, è la pratica delle corti, cose di molta efficacia per introdurre e facilitare la conclusione dei negozj; principe, e solito a trattar coi principi, conosceva i modi e i tempi per conseguire il fine. Dal che si conosee che la parte cortigiana era a questo Cardinale (a cui il Papa aveva anche dato il titolo di primo legato e di presidente) principalmente confidata. L'altro Cardinale, particolarmente per la difesa di Roma, era il Simonetta. Per ammollire poi gli umori tedeschi faceva ottimo uffizio l'Osio. Ma il Seripando era specialmente in fede del Papa per l'emendazione dei co

363 stumi e la correzione degli abusi, perchè, essendo persona integerrima, detestava la corruzione introdottasi nella disciplina ecclesiastica, e nei costumi dei cherici, ed avrebbe anche voluto qualche moderazione nelle ordinazioni della romana curia: in ciò credeva egli consistere piuttosto la salute del gregge rimasto sano che nella definizione dei dogmi.

Farà ad alcuno maraviglia, che nella nominazione dei Legati il Papa non abbia avuto speciale riguardo alla Francia, gelosissima della sua dignità, e bisognosa allora, più che la Germania stessa, di appropriata e forte medicina. Ma forse egli non trovò fra i cardinali, o francesi, o aderenti alla parte francese, chi fosse atto per fama, o per condizione ad un tanto uffizio; perchè il cardinal Tornone era a quel tempo allontanato dalla corte di Francia, il cardinal di Lorena, implicatissimo nelle discordie civili di quel regno, non pareva di animo abbastanza posato ed imparziale. Il cardinal di Ferrara poi, quantunque molto accetto al Re ed alla regina, non era tale per costume che potesse allettar gli animi per venerazione; tutti e tre, rimanente, piuttosto conosciuti per pratiche di corti e di faccende politiche che per ornamento di religione. Sperava ciò nondimeno il Papa, che ove i prelati, francesi fossero concorsi in numero al Concilio, anche il Lorena vi sarebbe venuto, e si proponeva di onorarlo in modo singolare, non essendogli nascosto che con un tal procedere se lo sarebbe guadagnato, siccome quello che era ambizioso, e molto si affannava per acquistar fama e potenza in tutta la cristianità, specialmente nel reame di Francia.

del

Il Papa non se ne stava senza sospetto che per i vescovi adunati in Concilio si facesse qualche deliberazione pregiudiziale alla Santa Sede, perchè alcuni di loro per opinione, altri per gli stimoli di qualche sovrano, tutti finalmente per senso di loro medesimi, e per l'altezza d'animo, che acquistano naturalmente le assemblee numerose, sempre solite a presumere di

(1562) sè più del dovere, potevano facilmente desiderare di liberarsi dal freno del supremo Pastore, con assumere una potestà quasi assoluta, ciascuno nella sua diocesi. Si sapeva che gli Spagnuoli massimamente nutrivano pensieri avversi, dei quali avevano già dati segni manifesti nelle due prime riduzioni. Nè era nascosto che primo loro proposito era, che si levasse dai decreti la causola, Che solo quelle materie si discutessero, che fossero proposte dai Legati —; dalla quale clausola affermavano essere offesa la libertà del Concilio.

I Francesi poi principalmente davano timore di qualche novità, ove fossero venuti in Trento; imperciocchè in sul principio di questa terza adunata due prelati di quella provincia solamente erano concorsi. Temevasi ch'eglino portassero tropp'oltre le dottrine sostenute dal clero di Francia e conosciute sotto il nome di libertà della Chiesa_gallicana, fra le quali una specialmente era esosa a Roma, e questa era, che il Concilio fosse superiore al Papa, e le sue decisioni riformiare potesse. Nè il Papa si fidaya dei teologi Sorbonisti, i quali necessariamente avrebbero accompagnato i prelati al Concilio, e che si dimostravano aderenti alle dottrine gallicane, e volonterosi di emendazioni negli usi della Romana corte. Eravi anche in ciò una gran necessità, per cui il Papa s'insospettiva di Francia; perchè, essendo allora questo regno in preda a gravissime discordie civili e religiose, si conghietturava che il governo si potesse inclinare (per conciliarsi i dissidenti, diventati molto potenti d'armi e di consiglio) a far loro concessioni in materia di religione, per cui l'autorità pontificale avesse a ricevere un grave pregiudizio.

Tutte queste cose, molto bene considerate dal Ponfice e nei più segreti consigli di lui diligentemente esaminate, il fecero venire in deliberazione di spingere al Concilio quanti prelati italiani più potesse, dai quali ragionevolmente poteva e doveva sperare appoggio ed assistenza. La corte Romana non solamente era fonte

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365 di grassi proventi per l'Italia, parte dei quali ridondava in utile personale di non pochi prelati italiani, ma era ancora ornamento e sussidio di potenza per quella provincia, derelitta e privata già da lungo tempo della forza che danno le armi. Confidavasi che, oltre i vantaggi che derivavano ai prelati italiani dall' autorità e splendore di Roma, l'amore di patria avrebbe operato in loro per mantener vivo nel cuore di lei quel fonte proficuo e glorioso.

I principi italiani stessi secondavano questi pensieri, si pei medesimi motivi, e sì ancora pel mirabile spettacolo che pure testè aveva rappresentato la Germania, e ehe di presente rappresentava la Francia, per essersi l'una e l'altra dipartite dall'antica fede dei loro maggiori. Pareva loro, che coll'unità della fede andasse congiunta la sicurezza dello stato, e che le novità religiose traessero con sè il seguito di novità pregiudiziali all'autorità propria, ed alla quiete e felicità dei popoli. Già suonavano sull' alte cime dell'occidentale Italia le grida e le armi di coloro, che, contro l'antica religione combattendo, aveano anche levate le mani ed alzate le insegne contro l'autorità regia. Da un altro lato sanguinosa era la Germania per le recenti ferite; i suoi gemiti e i suoi lamenti avvertivano gl' Italiani, e coloro massimamente che fra essi tenevano lo stato, che dalle menti mosse per motivi di religione nascono le ribellioni, dalle ribellioni le guerre, e dalle guerre tutta l'orribile accompagnatura degli strazi, delle morti, degl'incendi e delle devastazioni. Siccome poi le nuove opinioni ferivano principalmente l'autorità papale, cosi stimavano che in quel gran conflitto fosse da ajutarsi il Papa, divenuto per la necessità dei tempi radice e puntello dell' autorità e potenza loro. Le passate tribolazioni di Carlo V imperatore, le presenti di Francesco II, e di Carlo IX re di Francia, erano una terribile ammonizione pei principi italiani. Ciò scorgevano, ciò sentivano, specialmente la Repubblica di Venezia, il Duca di Savoja,

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