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preti, e gli ordini da loro dati senza il consentimento o senza la vocazione del popolo e della potestà secolare esser nulli, e coloro che non sono secondo il rito ordinati, o mandati da ecclesiastica e canonica podestà, ma vengono altronde, esser ministri legittimi del Verbo e de' Sacramenti.

Quella generalità, che fossero legittimi i vescovi mandati da ecclesiastica e canonica potestà, da cui si potrebbe inferire che altre potestà ecclesiastiche che il Papa, possano creare vescovi legittimi, fu inserita, perchè era in Alemagna prevalso l'uso, che alcuni suffraganei fossero instituiti dai loro metropolitani senza commissione espressa del Pontefice Romano; la quale cosa però i Pontificj affermavano essersi sempre fatta per tacito consentimento della Santa Sede.

Un decreto di riforma nell'argomento dell'Ordine fu aggiunto alla parte dogmatica di cui abbiamo ragionato. In tale decreto, oltre varie ordinazioni utili per la buona amministrazione delle chiese, fu molto e con gran ragione lodata quella che statuiva, che in ogni chiesa episcopale fosse instituito almeno un seminario per l'instruzione e l'educazione dei giovanetti che destinavansi allo stato ecclesiastico. A tutto questo provvide il Sinodo col tenore del decreto, regolando il modo e la qualità dell'instruzione, le qualità degli allievi, le rendite del seminario, la capacità dei professori.

Da ciò si vede che il Concilio, non che mirasse all'ignoranza, promuoveva anzi la scienza, ed ottimamente giudicava, niuna peste esser maggiore che l'ignoranza de' chierici. Immenso benefizio fu questo del Tridentino Sinodo: gli uomini pii e buoni debbono restargli perpetuamente obbligati.

Gravissima materia ora imprendeva il Sinodo a trattare, e fu quella del Matrimonio. Stabilita in primo luogo la dottrina dogmatica che s'appartiene a questo sacramento, e fra molti altri articoli anche questo, che è proibito per legge divina ai cristiani l'a

(1563) ver più mogli, che per l'adulterio non si scioglie il legame matrimoniale, che i cherici di ordine sacro, ed i professi religiosi non possono contrar matrimonio, passò il Sinodo a considerare i matrimoni clandestini, e le forme che conveniva stabilire perchè i matrimonj fossero legittimi.

La Chiesa aveva sempre detestati i matrimonj clandestini, ma non gli aveva mai irritati. Per questa cagione si erano essi moltiplicati oltre misura con pregiudizio gravissimo della società. Per loro, osservarono, commutarsi in lordura di scelleraggine la grazia del Sacramento, per loro turbarsi la benevolenza delle cognazioni, per loro perdersi la fede maritale, mentre uno de'consorti, potendo negare il nodo, spesso lo rompeva, ed introduceva nel letto impunitamente un'adultera come moglie, scacciandone la moglie quasi concubina; per loro finalmente perdersi il ben della prole, quando spesso interveniva che i figliuoli legittimi fossero dispettati come bastardi, e i bastardi anteposti come legittimi.

Furono i Padri quasi tutti concordi nel decretare che i matrimonj clandestini, che in avvenire si contraessero, fossero nulli.

Restava a determinarsi quali fossero le forme che validassero i matrimonj. Nelle prime forme delineate dal decreto si richiedeva che, a volere che fossero validi, abbisognava che si contraessero alla presenza di tre testimonj, nè s' imponeva la necessità che fra questi testimonj dovesse esservi il paroco od altro sacerdote. Poi considerossi che era troppo facil caso che il matrimonio si contraesse a presenza di tre persone vagabonde ed ignote alla fanciulla, le quali partendosi, non rimanesse alcuna testimonianza del fatto, e si perdesse ogni traccia del maritale nodo, cosa di grandissimo pericolo, e tale che dava in tutti gl'inconvenienti dei matrimonj clandestini. Si conobbe allora la necessità di un testimonio conosciuto e stabile, il quale serbasse registro dei contratti maritaggi.

423 I Padri considerarono che questo testimonio poteva essere o il notajo o il paroco. Il notajo non parve acconcio, si perchè, essendo molti e in molti luoghi i notaj, le parti avrebbero potuto, volendo, occultare facilmente il legame, e si perchè il notajo, o con vera o con simulata ignoranza, avrebbe potuto indursi a rogar atto di matrimonio di tali fra cui fosse disdetto, benchè per impedimento non annullante, come, per esempio, se l'uno stesse allacciato di sponsali legittimi con altra persona, o per alcun misfatto gli fosse proibito il contrarre con quella, o se non fossero pręcedute le debite denunzie. Mancanze di tal sorte non potevansi temere dal paroco, meglio informato di quei fatti, e più timoroso delle pene ecclesiastiche che il notajo.

Cosi ragionavano i Padri; ma il Cardinal di Lorena, nel dir la sua sentenza, ricercò che si prescrivesse per essenziale la presenza del sacerdote. Oltre a ciò gli oratori di Francia fecero in nome del Re petizione che s'annullassero i matrimonj contratti senza la presenza del sacerdote; anzi addomandarono che egli al matrimonio presiedesse.

Per tutte queste ragioni ed istanze fu fermato il canone, per cui si ordinò che coloro i quali si attentassero di contrarre matrimonio altramente che a presenza del paroco o di altro sacerdote per licenza o del paroco o dell' ordinario, e di due o tre testimonj, sono fatti inabili dal Concilio a contrarre in tal modo, e questi contratti rendonsi e dichiaransi privi di valore. Ördinossi eziandio che il paroco abbia e custodisca diligentemente un libro, nel quale descriva i nomi dei consorti e dei testimonj, e il dì e il luogo de' contratti.

Seguitarono le ordinazioni intorno alle denunzie gl'impedimenti e le dispensazioni. Volle il Sinodo, rispetto a queste ultime, che o non si desse dispensazione alcuna, o rade volte, per cagione e gratuita

mente.

(1563) I Pontefici Romani si sono sempre discostati dal decreto Sinodale, che le dispensazioni non si dessero se non di rado e per cagione; nel qual procedere sono essi da commendarsi di molta prudenza, perchè spesso accadrebbe, se la disposizione conciliare esattamente si osservasse, che due persone accese di violenta passione, non potendosi maritare fra di loro per la negativa della dispensa, cadrebbero in altri gravi peccati, e celebrerebbero altre nozze con ripugnanza di cuore ed infelicità di vita, e spesso ancora fingerebbero e colorirebbero cagioni false, per modo che contrarrebbero maritaggi sacrileghi, ed in essi continuerebbero sino alla morte.

Da un altro lato l'esigere sempre le cagioni per dar le dispense parve anche soverchio, perchè le persone di delicata e timorosa coscienza, ricorrendo spesso negli animi loro le cagioni addotte, e della loro sufficienza dubitando, viverebbero in perpetuo ed inremediabile tormento, commetterebbero per coscienza erronea molti peccati, e cadrebbero in disperazione della salute.

Sono adunque da lodarsi le dispense, ma bene non si può lodare, anzi deesi dannare, che la curia pontificia, violando l'altra parte del Decreto tridentino, non le conceda gratuitamente. Lascio stare ciò che il Pallavicino afferma per giustificare questa pratica del cavar danaro dalle dispense, e del far bottega delle cose sante, là dove dice che il decreto non obbliga il Papa, e che sì nel principio, come nel fine del Concilio si legge preservata l'autorità Pontificia con parole espresse; ma non posso passar sotto silenzio l'altra scusa che adduce, anzi ridicolosamente che no, e questa è che il decreto ben si osservava, perchè le dispense matrimoniali si concedevano gratuitamente, cioè senza verun guadagno dal conceditore, stante che il danaro ritratto da tali dispense non si mescolava con l'altro il quale stava in cura del tesorier generale, ma si depositava nel monte di pietà, donde non

si poteva levare se non per mandato del Papa, il quale sempre lo convertiva in uso di opere pie. Per verità questo è un bel trovato, e nemmen da Gesuita, perchè è troppo sciocco; e bisognerà dire che il gratuitamente si debba intendere non dell'implorante, ma del concedente. Non so se i Padri di Trento l'abbiano intesa così. In somma, si ha da pagare.

Ebbero a questo tempo i Tridentini Padri una gran perturbazione. Era al re Filippo, sotto colore dell'infezione della Valtellina, d'oltr' Alpi in quella parte, e delle terre del Duca di Savoja verso la Francia, e perchè anche in Vicenza era pullulato qualche seme di novità, venuto il capriccio di mettere nello stato di Milano l'Inquisizione a modo di Spagna. Voleva che un prelato spagnuolo la presiedesse e governasse. Suppliconne al Papa, il quale gli si mostrava incli nato. Sgomentaronsi i popoli a così strana e cruda novella. Le Lombarde città mandarono al Pontefice Sforza Morone, al Concilio Sforza Brivio, al Re Cattolico Cesare Taverna, supplicando, acciò non fossero a peste così crudele sottomesse. Il Brivio espose in Trento il terrore e la costernazione dei cittadini, pregò i prelati di quello stato ad aver compassione della comune patria, che sarebbe dal novello tribunale e nelle coscienze tormentata, e nelle borse manomessa, sapendosi quanto avara sia, non che crudele, quella fiera di Spagna, che ora si voleva scatenare contro la misera Milano.

Si commossero i Milanesi Padri; a loro s'aggiunsero quei di Napoli, ancora ricordevoli dei tumulti suscitati nel regno da sì atroce cagione. Scrissero unitamente al Pontefice ed al cardinal Borromeo, con le più istanti preghiere, implorando per la devota e fedel Milano pace, quiete e silenzio delle tremende forme; badassero che l'Inquisizione di Spagna non voleva obbedire alla Santa Sede, che levava la giurisdizione agli ordinarj, che non aveva mai voluto, ancorchè richiesta, mandare i processi a Roma; che, messa a Mi

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