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(1563) lano, si verrebbe anche a rimettere in piedi a Napoli; che forse altri principi italiani avrebbero dato luogo nei loro stati a giurisdizione si straordinaria; che pel terrore di lei i prelati diventerebbono, come in Ispagna erano, servi umili e ligj dei principi, e non più devoti alla Santa Sede; che nel presente e nei futuri concilj non avrebbe più il Papa nei prelati favore ed appoggio, ma contrarietà e resistenza: in somma essere l'Inquisizione di Spagna potenza emula della Sede Romana, e tanto terribile per lei quanto pei sudditi di qualunque principato.

L'accidente teneva occupato il Concilio pel numero degl'interessati. Il Duca di Sessa, governatore di Milano, udita la mala contentezza dei popoli, e nella mente sua riandando il moto poc'anzi quietato di Napoli, e quel maggiore che per questa medesima cagione travagliava allora cosi ferocemente i Paesi Bassi, promise di far ufficio col Re, affinchè lo stato avesse soddisfazione. Il Pontefice stesso, mosso dalle preghiere dei Padri di Trento, già si era deliberato di non accettare l'Inquisizione di Spagna nel Milanese, avvertendo però che, se i tempi il richiedessero, e col parere dei vescovi del ducato, avrebbevi introdotto quel tribunale, ma non mai a modo di Spagna, bensi a regola del dritto comune, senza pregiudizio degli ordinarj e dipendenza dall' Inquisizione di Roma, in guisa che se Spagna non bruciava gli uomini in Milano, Roma minacciava di fargl'impiccare. Per questa forma si fermarono le cose, ed il Concilio tornò pacatamente sulle sue religiose fatiche.

I principi avevano sollecitato riforme di clero e di Romana corte; ed ecco il Pontefice sollecitare riforme di principi. Addi ventisei di giugno il cardinal Borromeo scriveva ai presidenti del Concilio queste parole: « Perchè ognuno ci dà addosso in questa benedetta « riforma, e par quasi che non s'indirizzino i colpi che a ferir l'autorità di questa Santa Sede, e noi « altri cardinali, che siamo membri di quella, Nostro

Signore dice che per l'amor di Dio lascino e faca ciano cantare anche sopra il libro de principi seco« lari, e che in ciò non abbiano rispetto alcuno, nelle « cose però che sono giuste ed oneste, ed anche in « queste avranno a procurare che non paja che la « cosa venga da noi, »

Conforme adunque il desiderio del Pontefice ed anche della maggior parte dei Padri, e per cantare ancora sul libro de principi, i Legati diedero fuora e proposero all'esame del Concilio molti capi di riforma concernenti i principi, e tutti con intento di far riparo alle immunità ecclesiastiche. Noi daremo notizia al lettore dei più principali:

Che le persone ecclesiastiche non potessero esser giudicate dal foro temporale;

Che i giudici temporali non potessero intromettersi nelle cause spirituali, matrimoniali, d'eresia, decime, giuspatronati, beneficiali, civili, criminali e miste, pertinenti al foro ecclesiastico così sopra le persone, come sopra i beni, incluse anche le cause sopra i benefizj patrimoniali, feudi ecclesiastici, giurisdizione temporale di chiese;

Che il secolare non potesse comandare al giudice ecclesiastico di non iscomunicare senza licenza, e di revocare, ovvero sospendere la scomunica fulminata, nè potesse proibirgli che non esaminasse, citasse e condannasse, e che non avesse birraria ed esecutori proprj;

Che imperatore, o re, o qualsivogliano principi, non potessero far editti o ordinazioni in qualsivoglia modo pertinenti a cause o persone ecclesiastiche, nè intromettersi nelle persone, cause, giurisdizioni, ne tribunali eziandio dell'Inquisizione, ma fossero obbligati prestar il braccio ai giudici ecclesiastici ;

Che gli ecclesiastici non fossero astretti a pagar tasse, gabelle, decime, passi, sussidj con nome di dono o prestito, così pei beni della Chiesa, come pei patrimo→ niali, eccettuate quelle province dove per antichissima

consuetudine gli ecclesiastici medesimi nei pubblici comizj intervenissero ad imponer sussidj, così a laici, come ad ecclesiastici, contro gl'infedeli, o per altre urgentissime cause;

Che i principi e loro agenti non potessero metter mano ne' beni ecclesiastici mobili ed immobili, vassalli, decime ed altre ragioni, nemmeno nei beni delle comunità e dei privati, sopra i quali la Chiesa avesse qualche ragione;

Che le lettere, sentenze e citazioni de'giudici ecclesiastici, specialmente della corte di Roma, subito esibite, senza eccezione fossero intimate, pubblicate ed eseguite; nè così di questo, come del pigliar possesso dei benefizj, s' avesse da ricercar il consenso o licenza, che si chiama Exequatur, o veramente Placet, o con qualsivoglia altro nome, eziandio sotto pretesto di ovviare alle falsità e violenze, eccetto nelle fortezze, e in quei benefizj dove i principi sono riconosciuti per ragion del temporale ;

Che non potessero i principi e magistrati alloggiare i loro ufficiali, famigliari, soldati, cavalli, cani nelle case o monasteri di ecclesiastici, nè cavar da loro alcuna cosa pel vitto e pel transito;

Che se qualche regno, provincia o luogo pretendesse non esser tenuto ad alcuna delle suddette cose in virtù di privilegi della sedia Apostolica, i privilegi dovessero fra un anno essere esibiti al Pontefice, e, finito l'anno, se non fossero esibiti o confermati, s'intendessero di nessun valore.

Seguitava a questi precetti un epilogo molto sostanzioso, il qual era un'ammonizione a tutti i principi d'aver in venerazione tutte le cose che sono di ragione ecclesiastica, come peculiari di Dio, rinnovando tutte le constituzioni de' sommi Pontefici, e i sacri Canoni in favore dell'immunità ecclesiastica, e comandando, sotto pena d'anatema, che nè direttamente, nè indirettamente, sotto qualunque pretesto, fosse statuita alcuna cosa contro le persone e beni ec

429 clesiastici, ovvero contro la loro libertà, non ostanti qualsivogliano privilegi ed esenzioni, eziandio immemorabili.

Qui non è bisogno di chiosa per giudicare dell' audacia di tali articoli. Si vede chiaramente che i prelati che gli prosposero, volevano ridurre il mondo in servitù di cherici, e fare che eglino godessero il beneficio delle leggi del principe in quanto gli favorivano, e non fossero soggetti alle medesime in quanto pei carichi e l'obbedienza con gli altri sudditi gli accomunavano; audacia veramente incomportabile, perciocchè accennava a quei tempi di ferro, e di feroce barbarie, e di profonda ignoranza, in cui i cherici soli sapevano leggere e scrivere, ed abusando della goffaggine dei popoli, ebbero facilità di voltare le cose sante ai loro mondani profitti. Ciò era certamente non dare, ma tôrre a Cesare quel che è di Cesare, cioè voler far approvare dal Concilio tutte le enormità della Bolla In Coena Domini. Di nessuna cosa più si debbono lodare le generazioni presenti, e gli ecclesiastici stessi, che del trovar loro gli ordini contrarj a questi, e che ai tempi nostri sono in quasi tutti i paesi Cattolici prevalsi, buoni, giusti e conformi ai dettami della religione.

L'Imperatore scrisse risolutamente che non consentirebbe mai che si parlasse in Concilio di riformare giurisdizioni di principi, nè di levargli l'autorità d'aver ajuti e contribuzioni dal clero.

Ma i Francesi alzarono ben più alti stridori. Appresentatosi, per commissione del Re, Ferrier il giorno vigesimosecondo di settembre in cospetto dei Padri, fece protestando una veemente orazione contro le riforme proposte ad aggravio de' principi. Disse, essere oramai cento cinquant' anni, dappoichè la Francia domandava riformazione della scaduta disciplina ecclesiastica; ciò comprovare le ambascerie da lei mandate ai Concilj passati, ciò comprovare l'ambasceria mandata al presente, e la sollecitudine del Re, perchè si

(1563) adunasse; non avere a ciò soddisfatto i Padri con la preterita decisione dei dogmi; non avere soddisfatto nè con le riforme già statuite, nè con quelle che di statuire si proponevano; nulla esservi che fosse idoneo a tener in ufficio i Cattolici, a riconciliar gli avversari, a confermare i vacillanti, poco di conforme e molto di contrario all'antica disciplina de' Padri; non esser questo quel si aspettato e salubre impiastro d'Esaia, che sanava, ma più veramente quel d'Ezechiello, che copre solamente le ferite per farle maggiormente infistolire; non potersi tollerare il Canone della scomunica dei principi; per lui fomentarsi, anzi chiamarsi la ribellione; tutto quel capo de' principi non tender altrove che a deprimere la libertà della Chiesa gallicana, e la maestà dei re Cristianissimi ; questi essere sempre stati in fede con Roma, e con tutto ciò, ad esempio degli antichi, aver fatte molte leggi ecclesiastiche le quali non solo non hanno dispiaciuto ai papi, ma essi ancora ne hanno inserte alcune ne' loro decreti, e giudicati degni del nome di santi Carlomagno e Luigi IX, principali autori di quelle.

Quivi aggiungeva il Ferrier che, secondo l'ordine prescritto dai re, i vescovi avevano governata la Chiesa di Francia, non dopo la Prammatica sanzione, come alcuni dicevano, o dopo il Concordato di Leone X, ma quattrocento e più anni avanti che uscisse a luce il volume delle Decretali Pontificie; che queste leggi, trasandate col tempo, il re Carlo, fatto maggiore, voleva ridurre in osservanza, imperocchè nulla in esse ripugnava alla dottrina della Chiesa, agli antichi decreti dei papi ed alla perfezione della disciplina ecclesiastica; che per loro non s'impedivano nè gli ufficj, nè le legittime facoltà dei vescovi, nè che nei seggi vescovili si collocassero e si tenessero.

Seguitò dicendo che la potestà data da Dio al Re, e le antichissime leggi di Francia, e la libertà della Chiesa gallicana avevano sempre proibite le pensioni,

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