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431 le rinunzie in favore o con regresso, la pluralità dei benefizj, le annate, le prevenzioni, il litigar del possesso innanzi altri che i giudici regj, e della proprietà o altra causa civile criminale fuori di Francia; che avevano anche proibito l'impedir le appellazioni come d'abuso, ovvero impedire che il Re, signore primo de' Galli, poi di tutto il reame, fondatore e patrono di quasi tutte le chiese di Francia, non potesse liberamente valersi de' beni ed entrate, eziandio ecclesiastiche, de' suoi sudditi per istante ed urgente necessità della Repubblica.

Disse appresso che di due cose si maravigliava il Re: l'una, ch'essi Padri, congregati solo per restituir la disciplina ecclesiastica, non attendendo a questo, si fossero rivoltati a riformar quelli cui conviene obbedire, se ben fossero discoli, e pregar per loro: l'altra, che si possano e debbano, anche senza ammonizione, scomunicare i re e i principi, i quali sono dati da Dio agli uomini; il che non si dovrebbe fare nemmeno in uomo plebeo perseverante in un gravissimo delitto.

A questo passo, infiammandosi viemmaggiormente il Ferrier nel suo dire, gridò che l'Arcangelo Michele non ardi maledire il diavolo, nè Michea o Daniele i re impiissimi; che essi padri versavano tutte le maledizioni contro re buoni e devoti al culto di Cristo.

Concluse che a nome del Re ricercava i Padri di non decretare cosa alcuna contro le leggi de'suoi maggiori, e la libertà della Chiesa gallicana, e che se altrimenti facessero, il Re comandava a' suoi ambasciatori di opporsi, siccome allora si opponevano.

Sin qui il Ferrier parlò a nome del Re; poi di sè stesso invocò ii cielo è la terra ei Padri stessi a considerare, se la domanda del Re era giusta; ammoni i Padri che pensassero alla loro dignità, all'antica virtù ritornassero, si ravvedessero, e quando Cristo veniva, non gridassero: Mandaci nel gregge dei porci; seguitassero l'esempio d' Ezechia, che non imito il pa

dre empio, nè il primo, secondo, terzo e quarto avi, ma andò più in su all'imitazione de'perfetti maggiori; così allora non si poteva attendere ai prossimi precessori, sebben dottissimi, ma ascendere sino ad Ambrogio, Agostino e Crisostomo, i quali avevano abbattuti gli eretici, non con porre in arme i principi, ma con l'orazione, la buona vita e la pura predicazione; laonde se anch'essi riformassero loro medesimi, ed a guisa degli Ambrogi, degli Agostini e dei Crisostomi 'informassero, farebbero diventar anco i principi Teodosj, Onorj, Arcadj, Valentiniani e Graziani. Ciò sperava, terminò dicendo, dai Padri del Concilio, e ciò pregava che fosse loro da Dio conceduto.

L'orazione dell' Ambasciator francese destò un gran susurro fra i Padri. Alcuni la tassavano d'eretica, altri almeno di sospetta, altri di offendente le orecchie pie. Soprattutto nessuna cosa offese maggiormente di quella che l'autorità dei re di Francia sopra le persone e beni ecclesiastici non fosse fondata sopra la Prammatica, concordati e privilegi conceduti dai Papi, ma sopra la medesima legge naturale, sopra la Scrittura divina, gli antichi Concilj e leggi degl'Imperatori cristiani. Il Cardinal di Lorena, che in questo frattempo era andato a Roma, quando ciò intese, ed i più dei prelati francesi che assistevano al Concilio, ne mostrarono grave dispiacenza; ma di ciò il Ferrier, che era un intrepido giansenista e parlamentario, poco si curava.

Intanto, quando ebbe il Ferrier posto fine al suo ragionamento, il primo Legato lo richiese d'appartarsi, affinchè i Padri potessero fra di loro consultare della risposta. Al che l'Ambasciatore, che era uomo un po'fatto alla traversa, rispose che non gli caleva d'averla. Nell' uscir poi dalla congregazione il medesimo cardinal Morone avendogli detto ch'ei l' aveva fatta a guisa dei tribuni della plebe, i quali intercedevano contro le leggi dei consoli, il Francese rispose che non domandaya se non cose buone; al che l'Ita

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liano soggiunse che nè altresì il Concilio voleva se non cose buone.

Il moto suscitato dall' Ambasciatore di Francia non così tosto si quietava: se ne parlava con molto calore, secondo l'affezione delle parti, dentro e fuori del Concilio. Il giorno che segui la protesta, Carlo de' Grassi, vescovo di Montefiascone, discorrendo in una congregazione generale, andò contraddicendo alle affermazioni del Ferrier: Desiderare, disse, che l'Ambasciatore mostrasse il mandato speciale del Re a quella azione; non potergli capir nell' animo che il successore di Pipino, per opera del pontefice Zaccaria unto a re da Bonifazio, vescovo di Magonza, di Carlomagno, gridato imperator d'Occidente da Leone III, entrambi difensori egregi della libertà ecclesiastica, avesse ingiunto al suo rappresentante si audaci, sì sediziose parole. Che era poi questo? Agli stessi Cesari era stato disdetto dai Pontefici d'intervenire nei Concilj, ed ora un Ambasciatore venirvi, e venirvi per prescriver leggi su i costumi ecclesiastici! Dove lo Spirito Santo parlava per lingua de' sacerdoti, un orator laico vantarsi di resistere allo Spirito Santo e d'intercedere! Là dove un Costantino Magno, anche pregatone da tanti Padri, non aveva osato giudicare, un Ambasciatore ardirsi di sua bocca e condannar tutti i Padri e minacciarli! Adunque, perchè in Francia i vescovi non sono impediti dal far limosina e da altri offizj di simil sorta, sono salve in quel desolato regno le immunità ecclesiastiche, salva la libertà della Chiesa! Sofismo indegno essere questo; quasi che, non vietandosi quelle pie operazioni, non si trattassero ad arbitrio del Re le altre cose appartenenti all'ecclesiastica franchezza e giurisdizione, non si desse fondo ai beni della Chiesa, non si giudicassero i vescovi ed il clero dalle potestà secolari contro l'Apostolica tradizione contro i decreti de' Concilj e de' Pontefici, contro gli insegnamenti di tutti i Padri; Nicolò. I, Gregorio VII, Innocenzo III, o da sè, o per decreti di Concilj, avere Botta, vol. II.

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(1563) condannate le sediziose parole del Ferrier; averle condannate Gregorio Nazianzeno, averle condannate Agostino contro Petiliano scrivendo, dove afferma che le leggi imperiali possono bene favorire, ma non contrariare alle ecclesiastiche; richiamare l'Ambasciatore ardentemente i Padri alla purità della primitiva Chiesa; non abborrisse adunque il candore e la pristina libertà della Chiesa, e si ricordasse ciò che per bocca di Daniele disse Iddio alla medesima Chiesa: Quella gente e quel regno che a te non servirà, perirà. Bei frutti in fatti raccogliere la Francia dell'aver domandate per cento quarant'anni a' sommi Pontefici alcune cose particolari, e dell' avere nei presenti nudriti pensieri di novità! Si, per certo, essere senza timore quel Re, essere concordi quei popoli, esser salvo quel reame: le uccisioni, i rubamenti, le profanazioni, le ribellioni, la corte stessa obbligata di fuggire da coloro che volevano il suo sangue, assai apertamente dimostrare qual destino aspetti chi a Roma non obbedisce, chi del supremo Pastore le voci non ascolta. Concluse il Grassi che si facessero i Legati consegnare il ragionamento dell' Ambasciatore, e il mandato regio, acciocchè i Padri sopra vi delibe

rassero.

Del mandato, rispose Ferrier maravigliarsi che gli si domandasse; esser cosa insolita, nè venire un ministro ad operazione così grave e forte senza un comandamento espresso del suo signore; avere avute specialissime commissioni da lui, anche mostrate al Cardinal di Lorena la sera innanzi alla sua partita. Poi pubblicò con le stampe l'orazione, ed anche un'apologia; ma, non che si ritrattasse, insisteva nei medesimi sentimenti assai fortemente. Non aver usato, diceva, di tanta acrimonia come gli era comandato; che non poteva tralasciare di obbedire al Re, nè meno di soggiacere alle riprensioni; che gli sarebbe convenuto soffrire dai parlamenti, quando in un Concilio generale, in sua presenza, si fossero determinate cose di

tanta importanza contro quello che dai parlamenti era stato sostenuto con tanta accuratezza; senza che, essendo l'autorità regia, che egli difendeva, sostenuta continuamente per quattrocento anni dal regno di Francia contro la guerra fattagli dalla corte di Roma, non era giusto che i Padri del Concilio, la maggior parte cortigiani romani, dovessero esser giudici delle vecchie differenze che il regno aveva con quella corte.

Andarono attorno scritti molto veementi da ambe le parti. Un anonimo scrisse acerbamente contro il Ferrier, dannando, fra le altre cose, come eretico e dannato dall' estravagante di Bonifacio VIII Unam sanctam quel detto dell' Ambasciatore, che i principi sono dati da Dio, se non si distingueva con dire che sono dati da Dio, ma mediante il suo Vicario. Al che poi rispose l'Ambasciatore che, nell' aver detto, la potestà dei re venir da Dio, aveva parlato assolutamente e semplicemente, come il profeta Daniele e San Paolo avevano scritto, e che non gli era venuta in mente la distinzione di mediato o immediato, e nè anco la costituzione di Bonifacio; al che quando avesse pensato, essendo Francese, avrebbe riferito anche quello che narrano le istorie della causa ed origine di quell'estravagante.

Dalla veemenza e perseveranza dell'Ambasciatore, e dal suo continuo gridare contro le romane usurpazioni vennero i Legati e molti Padri in opinione, ch'egli fosse volonteroso d'un Sinodo nazionale in Francia, aspirando accordatamente col gran Cancelliere a constituire il Re capo della Chiesa gallicana a guisa d'Inghilterra, a spogliar le chiese de' beni, e la Sede Apostolica dell' obbedienza. Notavano che la Regina madre dava molto credito all' Ammiraglio ed al Cardinale, suo fratello, apertamente eretici; che molto potessero appresso a lei il Gran cancelliere e Monluc, vescovo di Valenza, sospetti di eresia; che in somma la corte regia fosse piena di Ugonotti favoritissimi.

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