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otto parlamenti onde deliberare sul modo di ovviare a tante calamità: e in quella congregazione il gran cancelliere, dopo certi altri propositi, aggiunse, al dire del Botta: Che si trattava non de formare una Religione, ma di ordinare una Repubblica, nè essere cosa assurda che molti siano buoni cittadini e non buoni Cristiani; e che si possa vivere in pace anche fra quelli che non hanno le cose sacre comuni.

Queste parole contengono per lo meno un' assurdità, perchè non può esser buon cittadino chi non è un uomo onesto; e siccome non può essere veramente uomo Onesto chi non è buon Cristiano, così chi non è buon Cristiano non può mai essere buon cittadino. Il Bolta però la pensa diversamente, e dichiara che parole vere e prudenti erano quelle del Cancelliere, cioè che molti non buoni Cristiani sieno buoni cittadini.... Noi non vogliamo dire che fra i protestanti e i dissidenti di adesso non si trovino galantuomini e buoni cittadini, ma i protestanti di oggidì, nati e cresciuti nell'errore (non di rado incolpevolmente), hanno una scusa nell' ignoranza, nell'educazione e nell'esempio dei padri, laddove gli eretici di quel secolo, nati e nudriti nella fede Cattolica, ne disertarono per volontaria malignità; e se coloro potevano essere onesti uomini e buoni cittadini, potevano esserlo ancora Calvino e Lutero, e possono riconoscersi come tali anche tutti gli apostati e tutti i malfattori.

Ma, soggiunge il Botta, il fanatismo religioso è cieco, e ne vuol oltre ragione. Ciò dico d'ambe le parti; nè era ancora nato in quei tempi il frutto che si vede ai giorni nostri, del vivere non solo pacificamente, ma ancora amichevolmente insieme, gli addetti a reli gioni diverse.... Ora in quelle parole ciò dico d'ambe le parti può rilevarsi che il nostro Autore mette del pari i Cattolici con gli Eretici, e crede ugualmente vizioso essere troppo zelanti per la causa della Fede, o per quella dell' apostasia; e in tali sentimenti spicca a meraviglia l'imparzialità religiosa del Botta. Quanto poi al vivere pacificamente con gli addetti a religioni diverse, noi ne saremmo lieti, perchè il Cristianesimo è religione tutta di amore e di pace; ma il frutto del vivere amichevole e pacifico che è nato ai giorni nostri, e di cui si rallegra il Botta, non è quel frutto di cui possa ral

legrarsi un Cristiano, perchè non è nato dall'albero della carità, ma bensì da quello dell' indifferenza e della incredulità.

Alla pag 397. Il Concilio di Trento, considerando che dalla imperizia dei notari nascevano molti danni e molte liti, decretò nella sessione XXII, che i vescovi avessero facoltà di esaminarli tutti, e non trovandoli idonei, potessero inibirgli, o provvisoriamente o per sempre, di esercitare l'ufficio nelle cause ecclesiastiche e spirituali. Il Botta, non piacendogli questo decreto, lo chiama una ordinazione enorme, perchè ingiuriosa all' autorità del Principe che approva i notari, e perchè suppone l'autorità d'interdire; e decide che i Padri del Concilio erano bensì commendevoli per pietà e per dottrina nelle scienze ecclesiastiche, ma non s'intendevano di quelle cose che dipendono dalla legge civile. In questi sentimenti noi non sappiamo se debba più rimarcarsi la povertà del giudizio, ovvero l'abbondanza d'ardire. Imperciocchè, in primo luogo, accade in ogni facoltà, che quelli i quali devono ammettersi a trattarne vengano esaminati ed approvati dai professori della facoltà medesima; e se non si trova strano che gl'iniziati alla medicina vengano esaminati ed approvati dai medici, e che la perizia degli architetti venga giudicata dagli architetti, non si sa perchè avesse da sembrare una stravaganza che quegli uffiziali o notari i quali dovevano ingerirsi delle materie ecclesiastiche venissero esaminati ed approvati dai dottori e dai superiori ecclesiastici. Ne le materie ecclesiastiche sono tanto scarse o triviali o di leggiera importanza, che non domandino singolare diligenza e perizia, nè gli esaminatori e approvatori laici sono sempre tanto dotti nelle materie canoniche e spirituali, che dai loro scrutinj non possa uscire un notaro ignorante delle leggi e degli usi della Chiesa; sicchè, rimossa ancora qualunque altra considerazione, con togliere ai vescovi la facoltà di esaminare e di approvare i notari, per quanto spetta alle materie ecclesiastiche e spirituali, si correrebbe il rischio di vederle turpemente disordinate e confuse,

In secondo luogo, e senza entrare affatto nei limiti delle due podestà, certo è che, avendo Iddio accordato alla Chiesa il potere di pascere, le ha accordato neces

sariamente l'autorità coercitiva, e quella della interdizione. Se dunque la Chiesa può comandare i digiuni e le penitenze, e può inibire le nozze, i matrimoni e la commestione delle carni, non sarebbe un assurdo che potesse inibire ancora i notari ignoranti; e non vi ha ragione a tacciare di enormità i decreti di un Concilio ecumenico, perchè suppongono astrattamente nella Chiesa il potere della inibizione. I Giansenisti però, d'accordo coi filosofi liberali, non vogliono una Chiesa la quale possa costringere ed interdire, ma vogliono una Chiesa e un Papa di carta, come vogliono un Re di carta; e questo è lo scopo dove mira insidiosamente la dottrina del Botta, dichiarando ordinazione enorme un decreto del Concilio, perchè nella Chiesa suppone l'autorità d'interdire.

In terzo luogo, è d'uopo rammentare che al Concilio di Trento assisterono gli ambasciatori di tutti o quasi tutti i Monarchi Cattolici, e quando si propose qualche decreto con cui veniva alcun poco toccata l'autorità dei Sovrani, gli ambasciatori subito si risentirono, e il Concilio e il Papa condiscesero alle loro rappresentanze per amore di concordia e di pace. Poichè dunque nessuno di quegli ambasciatori fece la menoma opposizione al decreto sopra i notari, certo è che non lo ravvisarono ledente i diritti della podestà temporale; perlocchè non è di poca meraviglia che il Botta, tre secoli all'incirca dopo il fatto, pretenda di giudicarne meglio di quei grand' uomini che vi furono presenti, e si metta in cattedra a decidere con filosofico-giansenistica gravità che il Concilio fece una ordinazione enorme perchè ingiuriosa all'autorità del Principe.

Infine, poichè a giudicare rettamente delle cose si devono considerare congiunte alle circostanze da cui venivano accompagnate, è d'uopo sapere che i notari in quel tempo erano straordinariamente abbondanti, si facevano non di rado senza esame, non offerivano nessuna garanzia e non soggiacevano ad alcuna sorveglianza, sicchè non era possibile che avessero tutti quanti un giusto diritto alla comune fiducia Noi stessi abbiamo in mano due diplomi originali, dai quali risulta che, il giorno 20 di dicembre 1468, l'imperatore Federico III, traversando di passaggio per una mediocre città dello Botta, vol. 11.

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Stato papale, e trovandosi contento degli applausi e della buona accoglienza, li su due piedi e senza scender da cavallo fece stendere una Bollà con cui accordava in perpetuo al Magistrato della città di portare una collana d'oro, di legittimare i bastardi e di creare i notari, e un'altra Bolla con cui accordava il titolo di Conti Palatini e il privilegio di creare i notari al segretario attuale di quel comune e ai suoi discendenti in perpetuo. Simili privilegi erano comunissimi nelle città e nelle famiglie private; si compravano ancora per danari a prezzo determinato, sicchè se non si aveva piena fiducia in queste generazioni di notari Imperiali, seminate trottando, e se il Concilio accordava ai vescovi di esami. narli un poco prima di ammetterli all'esercizio nelle materie ecclesiastiche, questa non poteva dirsi una ordinazione ingiuriosa ed enorme. Considerato adunque tutto ciò, e considerato che il Botta dichiara di saperne esso solo più degli ambasciatori dei principi e dei Padri del Concilio, non crediamo avere ecceduto la misura dicendo che nel trattare di questo decreto egli ha mostrato povertà di giudizio e soprabbondanza di ardire.

Alla pag. 397 le parole immediatamente seguenti del Botta ci chiamano anch'esse a gravi considerazioni: Infine (dice egli) fu statuito che chiunque usurpasse beni, ragioni o emolumenti delle chiese, benefizj, monti di pietà e luoghi pii, o chierico o laico che si fosse, quantunque re o imperatore si chiamasse, fosse scomunicato fino all'intiera restituzione del tutto e assoluzione del Papa. La quale ordinazione fu anch'essa eccedente il dovere, perchè, posto anche che i principi nei casi dell'estrema necessità dello stato, di cui il Papa non può giudicare, non abbiano facoltà di ritirare l'annuenza Imperiale, per la qual cosa la Chiesa, come corpo collettivo, riceve facoltà di possedere, l'usare quel rimedio di morte réligiosa, cioè la scomunica, era l'istesso come se il principe decretasse la pena dello estremo supplizio contro qualunque ecclesiastico che si usurpasse un diritto civile.

Vogliamo dunque osservare in primo luogo che la scomunica è una segregazione, non già una morte, ed altro è mettere un uomo fuori della porta, altro è tagliargli la testa. Gli uomini strozzati e decapitati non

tornano più, laddove gli scomunicati possono rientrare quando vogliono nel grembo della Chiesa; perlocchè chiamare la scomunica morte religiosa e assomigliarla alla guillottina e al capestro, questo è un solenne sproposito. Osserviamo inoltre essere falsissimo che il Concilio punisca con la scomunica e con la morte religiosa l'occupazione delle cose ecclesiastiche, anche nei casi dell'estrema necessità, giacchè di questo non ci è una parola nel decreto del Concilio; e il Botta lo suppone maliziosamente per concitare l'odio, e colorire come indis crete ed eccedenti il dovere le disposizioni della Chiesa. Ni casi di estrema necessità, la legge puramente ecclesiastica cede alla legge naturale, e come Davidde si nudri dei pani di proposizione, così non solo ai principi, ma neppure ai privati non è vietato a ricorrere alla sostanza ecclesiastica, in caso di vera ed estrema necessità, di cui però se non può giudicare il Papa, giudica sempre rigorosamente Iddio. Vuo!si bensì considerare che quei casi nei quali restano intatti gli allodiali dei principi, i beni della corona, le dotazioni delle accademie, le scorte dei teatri e le sostanze dei laici, mentre tutto l'impero della necessità si esercita sopra il patrimonio della Chiesa, questi non sono i casi esenti dalla scomunica.

Sopra tutto però nelle parole riferite dal Botta dobbiamo esaminare questa seutenza, la quale egli promulga alla sfuggita e come cosa non soggetta a questione: Che la Chiesa, come corpo collettivo, ricevè la facoltà di possedere per sola annuenza imperiale. La religione essendo inseparabile dal debito e dalla natura dell'uomo è per ciò appunto voluta e stabilita da Dio; e quindi la Chiesa, o sia la congregazione di quelli che professano la vera religione ed esercitano il suo culto, è anch'essa necessariamente instituita e voluta da Dio. Ma per professare la religione e per esercitarne il culto ci vogliono maestri e pastori, altari e tempj, ministri e sacerdoti; e trattandosi di cose terrene e di creature umane, le quali non possono alimentarsi e sostenersi senza i beni della terra, Iddio, che ha voluto il culto e l'altare, il sacerdozio e la Chiesa, ha voluto ancora che sieno convenientemente dotati e provveduti coi beni della terra. Che tali dotazioni e tali provvedimenti

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