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fondità della dottrina, per l'impero dell' eloquenza, pel candore dei costumi, facevano gran colpo, e tiravano a sè molti seguaci, sempre più avidi d'interpretare, secondo il lume proprio ed a pregiudicio dell' autorità della Chiesa, quanto dai Cattolici era tenuto come opinione certa e non contrastabile. Lo Spagnuolo, sebbene per la dottrina non fosse a gran pezza da paragonarsi ai quattro Italiani, faceva non pertanto molti proseliti con quel suo procedere fanatico, sendo il fanatismo cosa che tanto più accieca quanto più abbaglia. L'influenza andò tant'oltre, che, non che i plebei, ma i nobili e cogli uomini anche le donne ne furono tocche, e stimavasi che la famosa Vittoria Colonna, vedova del Marchese di Pescara, vincitore di Pavia, e Giulia Gonzaga con molte altre, mutate internamente dal Valdes, col quale avevano conversazione, avessero abbracciate dottrine non conformi alle credenze cattoliche. Ciò che si sospettava, poco dopo apertamente si scoperse. Ochino, ritiratosi fra i protestanti in Ginevra, professò pubblicamente le opinioni della riforma. Lo stesso fece, ritiratosi in Argentina, il Vermigli, solito, fra le altre proposizioni, a seminare gravi dubbj sull'esistenza del purgatorio. Montalcino, arrestato in Roma, vi fu punito per erronee opinioni dell'ultimo supplicio; Romano, confessati gli errori, consegui il perdono, non si però che, oltre all'aver dovuto fare molte penitenze, non gli fosse forza abbjurare pubblicamente nelle cattedrali di Napoli e di Caserta, dove aveva sparso semi sospetti.

Questi capi di riformazione, non contenti ad insidiare le credenze dell'universale con parole coperte, facevano anche opera che dalla Germania venissero a Napoli i libri scritti da Melantone, da Erasmo e da altri eretici, i quali erano ricercati e letti con ardore grandissimo. Nè ciò dee far maraviglia; perchè, oltre la novità sempre potente sulla mente degli uomini, la fama dei gravissimi fatti succeduti, e che tuttavolta succedevano in Germania e nei Paesi Bassi, fatti ap

punto che da queste disputazioni si originavano, risuonava per tutto il mondo, e riempiva le bocche di tutti gli uomini. Ognuno voleva conoscere le ragioni di tanta lite, ognuno giudicare di una si strepitosa

causa.

Il Vicerè s'accôrse che non bastava frenar le lingue, ma che bisognava ancora tôrre dagli occhi dei fedeli i libri sospetti. Usando per indicatore frate Ambrogio da Bagnolo, religioso di San Domenico, uomo di non poca dottrina e predicatore molto riputato, fe' ardere pubblicamente, concorrendovi a folla il popolo, le opere di Melantone e di Erasmo, poi anche alcuni altri libri, anzi sciocchi che no, ma non meno pericolosi. Parte ancora delle diligenze di don Pietro fu, ch' ei mandò fuori una prammatica, per cui proibiva con minaccia di severo castigo tutti i libri trattanti di materie teologiche, stampati da venticinque anni in addietro, e che non fossero dall' autorità ecclesiastica approvati. Ma più i libri si proibivano, maggior desiderio si accendeva di procurarseli e di leggerli.

Messe in opera tutte le raccontate cautele, il Toledo diede contezza all'Imperatore di quanto succe deva, manifestandogli anche il sospetto che aveva, che, malgrado dei rigori usati, la credenza nuova non arrivasse a turbare anche quell'ultima estremità d'Italia. N'ebbe per risposta (Cesare vedeva con gli occhi proprj in Alemagna i sovvertimenti nati dalle novità religiose), che procacciasse con destro modo di ordinare in Napoli l'Inquisizione a guisa di Spagna. Pericoloso cimento: i Napoletani abborrivano il tremendo tribunale per cui ardevano i Paesi Bassi di una orribil guerra, il sangue v' inondava, la solitudine e i deserti vi si dilatavano. Desiderava e voleva il Toledo mettere avanti agli occhi dei regnicoli quello spaventevole fantasma; pure, rattenuto dal pericolo, si andava peritando, ed aspettava occasione propizia per arrivare a' suoi fini.

In questo stesso tempo papa Paolo, volendo con

trapporre un argine potente in Italia a quelle acque che minacciavano di gran ruina la Sedia Apostolica, aveva, di concerto e consenso dell'Imperatore, mandato in tutte le province commissarj inquisitoriali, affinchè vegliassero su i casi di fede, ed i delinquenti punissero. Mitigato per altro era il mandato: perchè era richiesto, che si procedesse contro di loro per la via ordinaria, che si desse loro notizia dei testimonj, e che ogni pena di confisca fosse interdetta; la quale limitazione molto differenziava quell'ordine da quella maladizione di Spagna.

Il Vicerè avendo udito di tale deliberazione del Pontefice, pensò di servirsene come di grado per arrivare a stabilire nel Regno (perciocchè copertameute appoco appoco il voleva fare) l'Inquisizione a modo spagnuolo. Fece per tanto istanza a Roma, perchè il Papa vi mandasse un commissario con un Breve, per cui si ordinerebbe, che si procedesse per via d'inquisizione contro i cherici claustrali e secolari, infetti o sospetti d'eresia. Paolo, che si viveva in mala soddisfazione, sebbene non palese, con Carlo, diede volentieri il Breve, e mandò il commissario, non tanto pel desiderio d'estirpar l'eresie, quanto per isperanza, che i Napoletani, siccome quelli che sempre avevano abbominato la Inquisizione, a questo odiato suono si solleverebbero contro il loro signore, o turberebbero quel suo ascendente di voler comandare a tutti. Nè il disegno restò senza il suo vero riscontro.

Appiccato il Breve, con l' Exequatur regio, prima alla porta del palazzo arcivescovile, poi a quella della` basilica, non è credibile a quanto sdegno si concitasse il popolo, a cui si congiunsero tostamente i nobili, sì per questo stesso orrore dell' Inquisizione, sì per l'odio che portavano al Vicerè. Fatta una loro adunanza in Sant'Agostino, e la nobiltà convocatasi ne' suoi cinque seggi, crearono deputati, che a nome del popolo e della nobiltà medesima andassero a dolersi al Vicerè, a Pozzuolo, dove per suo diporto, e per ca

gione della salubrità dell'aria dimorava. Introdotti alla sua presenza, Antonio Grisone, nobile del seggio di Nido, in nome di tutti parlò, dicendo:

« Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore, questo « regno, e questa nostra felicissima città di Napoli, « per quanto abbiamo rettamente sentito della catto■ lica ed ortodossa fede, è stata sempre riputata re« ligiosissima, ed a niuna persona crediamo essere « nuovo o dubbioso, e principalmente all'Eccellenza « Vostra, che tanti anni ne ha retti e governati, e appieno ne conosce tutti. Dall'altra parte, quanto « sia stato sempre alla città ed al regno, non solo « odioso, ma formidabile il nome dell'Inquisizione, a << tutto il mondo è palese e chiaro; e questo per molte « e molto giuste ragioni, e sovra tutto che, avendosi <con tanta facilità, con quanta si trova per ogni parte « del regno, falsi testimonj e uomini ribaldi, e senza « coscienza, che per odio o danari si corrompono fa« cilmente, la città e il regno in breve disfatta e ro<< vinata ne resterebbe.. Noi da quel tempo, nel quale « altra volta, sotto il reggimento della felice memoria << del re cattolico Ferdinando d'Aragona, fu questo « negozio d' Inquisizione tentato, poi, per grazia di « quella Maestà per lo nostro giusto risentimento, « fu tolto via, e sopito in tutto, ne stavamo riposati <«<e sicuri, tanto più che Vostra Eccellenza questi « giorni addietro ne diede speranza, che questa cosa sopita sarebbe ; ma ora da questo editto perturbati «<e insospettiti, temendosi da noi sopra ogni altra pe«ste, a Sua Eccellenza, primo ministro di Sua Mae« stà Cesarea, e così gran protettor nostro, siamo « yenuti animosamente, riputando Vostra Eccellenza « non meno cittadino nostro, per dir così, che sommo

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preside e governatore, sperando che si debba que«sto accidente determinare in modo che restiamo « nella nostra solita quiete e sicurezza. Supplichiamo << adunque Vostra Eccellenza, resti servita, che a • tempo suo non voglia soffrire che Napoli sia di

tanto obbrobrio e vergogna macchiata, e da così a intollerabil giogo, non meritandolo, aggravata, rac« comandando e rimettendo nelle mani dell'Eccellenza « Vostra le nostre facoltà, le mogli e i figli, e l'o«nore, che importa più di ogni altra cosa. »

Il Vicerè, dopo d'aver guardato tutti uno per uno i deputati, ed insieme a tutti rivolto, molto umanamente, in lingua spagnuola favellando, rispose nei seguenti termini :

<< Non era di mestiere, che per questi negozj tutti ◄ voi, signori, pigliato aveste la fatica del viaggio, nè a deve la città restar con ansia e sospetto alcuno; per◄ chè io veramente mi reputo vostro cittadino, e certo ◄ con ragione, avendo per tanti anni con esso voi di

morato e trattato, ed oltre di ciò avendo maritata « con uno dei vostri nobili una mia figlia: e perciò vi « dico che nè intenzione di Sua Maestà nè mia è « stata, nè è, di apporre alla religiosa città vostra << macchia alcuna di eresia, nè d'imporre Inquisizione. « Nè piaccia mai a Dio, che io stando in governo del « regno, che tale gli avvenga mai; anzi se l'Impera«peratore, mio e vostro signore, lo comandasse, prima io mi affaticherei con le supplicazioni mie, che restasse servito di non eseguirlo, e quando pure « lo conoscessi inclinato a dover farlo, prima gli do« manderei licenza e mi partirei che questo io vedessi « o comandarsi o eseguire. Restate dunque sicuri, « che l'Inquisizione non si tratterà mai; ma perchè « voi pur sapete che molti, benchè ignoranti e di « poco conto, parlano licenziosamente di quello che « alla loro professione non conviene, e potrebbe es« sere, che alcuni fossero infetti di qualche errore, perciò non giudico fuor di proposito, nè la città lo debbe tener per male, che se alcuni ve ne fossero « siano per la via ordinaria, secondo i Canoni, in«quisiti e castigati, acciò le pecore infette non ab«biano ad attaccar la rogna alle altre sane, e per « questo fine solo debbono questi editti esser posti, e « non per altro. »

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