Manuale della letteratura italiana, Volume 3A. Fontana, 1832 |
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Parole e frasi comuni
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Brani popolari
Pagina 301 - Nè del suo ratto andar però s'accorge : Ma quando il sol gli aridi campi fiede Con raggi assai ferventi, e in alto sorge; Ecco apparir Gerusalem si vede, Ecco additar Gerusalem si scorge : Ecco da mille voci unitamente Gerusalemme salutar si sente.
Pagina 262 - Ne gli anni acerbi tuoi purpurea rosa sembravi tu, ch'ai rai tepidi, a l'ora non apre '1 sen, ma nel suo verde ancora verginella s'asconde e vergognosa; o più tosto parei, che mortai cosa non s'assomiglia a te, celeste aurora che le campagne imperla ei monti indora lucida in ciel sereno e rugiadosa.
Pagina 341 - Amico, hai vinto: io ti perdon... perdona tu ancora, al corpo no, che nulla pavé, a l'alma si; deh! per lei prega, e dona battesmo a me ch'ogni mia colpa lave.
Pagina 81 - Notte placido figlio; o de' mortali egri conforto, oblio dolce de' mali sì gravi ond'è la vita aspra e noiosa; soccorri al core ornai, che langue e posa non ave, e queste membra stanche e frali solleva: a me ten vola, o sonno, e l'ali tue brune sovra me distendi e posa.
Pagina 319 - Fuggì tutta la notte, e tutto il giorno Errò senza consiglio e senza guida, Non udendo o vedendo altro d'intorno, Che le lagrime sue, che le sue strida. Ma nell...
Pagina 342 - D'un bel pallore ha il bianco volto asperso, Come a gigli sarian miste viole : E gli occhi al cielo affisa; e in lei converso Sembra per la pietate il cielo e...
Pagina 276 - Bench' io da lei m'appiatti in monte o 'n valle, E per solingo calle Notturno io mova e sconosciuto il piede; E mi saetta sì che ne' miei mali Mostra tanti occhi aver quanti ella ha strali. Ohimè ! dal dì che pria Trassi l'aure vitali, ei lumi apersi In questa luce a me non mai serena, Fui de l'ingiusta e ria Trastullo e segno, e di sua man soffersi Piaghe che lunga età risalda appena.
Pagina 303 - Chiama gli abitator dell' ombre eterne 11 rauco suon della tartarea tromba: Treman le spaziose atre caverne, E l'aer cieco a quel romor rimbomba.
Pagina 348 - Qual uom da cupo e grave sonno oppresso dopo vaneggiar lungo in sé riviene, tale ei tornò nel rimirar se stesso, ma se stesso mirar già non sostiene: giù cade il guardo, e timido e dimesso, guardando a terra, la vergogna il tiene.
Pagina 342 - Mentre egli il suon de' sacri detti sciolse, colei di gioia trasmutossi, e rise; e, in atto di morir lieto e vivace, dir parea: « S'apre il cielo; io vado in pace ». D'un bel pallore ha il bianco volto asperso, come a...