di catene, e laceri di vesti; anzi gli esortava egli stesso di nuovo. a chiedergli perdono, ed a confessarsi rei; ma persistendo questi invece a dichiararsi innocenti, li rimandava sdegnato sulle galere, deciso omai di punirli col più esemplare castigo. Mortificato il Doge dell' esito infelice di sue premure si congedava da Urbano; e questi proseguiva per Genova, ove giunto faceva giustiziare a morte quei suoi confratelli (186). Ma di lì a non molto chiamato esso pure al severo Tribunale di Dio dovè rendere ragione del suo operato. - A succedergli intanto veniva eletto nel 2 di Novembre il giovine Cardinale Pietro Tommacelli Napolitano, il quale assunse il nome di Bonifacio IX. L' Antipapa Clemente, proseguendo in questo mezzo a pretendere il triregno, trovavasi ben tosto in contrasto anche col novello Pontefice Italiano. Ora sotto la dipendenza da quest' ultimo i Certosini del Convento della Gorgona ottenevano per loro primo Abate, e Superiore il rinomato Don Bartolommeo Serafini, quell' ecclesiastico cioè, che la celebre S. Caterina da Siena (parlandone, o scrivendogli) nomava sempre l' Angiolo di Dio. In fatti impiegato spesso anche in gravissimi affari dal ridetto Pontefice Bonifacio, ed a trattare in specie col Re di Francia l' unione della Chiesa, dava saggio luminoso delle somme virtù che l' adornavano, venendo in fine destinato dal Duca di Milano Galeazzo Visconti a benedire la prima pietra della famosa Certosa di Pavia, ove egli alla fine cessava di vivere (187). — In questo mezzo ferveva la guerra tra i Fiorentini, ed il prefato Duca di Milano, chiamato anche il Conte di Virtù (188). Per quanto la Potenza Pisana non si mostrasse al presente di quella forza, e considerazione, con cui nei tempi decorsi aveva dato peso alla bilancia politica dell' Italia, nondimeno veniva ricercata premurosamente la sua alleanza e dall'enunciato Conte, ed anche da Antonio Adorno Doge attuale di Genova. Avrebbero sì l'uno che l'altro voluto che i Pisani si dichiarassero contro i Fiorentini. Ma il Gambacorti, che li reggeva, professando per questi la più sincera amicizia, saldo e fedele si manteneva nel sistema di neutralità, che aveva adottato, e rigettava i maneggi, con cui anche Jacopo d' Appiano, già fin d'adesso divenuto suo intimo confidente, avrebbe tentato di fargli cangiare politica, e pensiero. Per mare intanto, ed entro al Porto Pisano, e nella stessa cala interna di Livorno, e per le strade del villaggio pur anco, accadevano tra i Genovesi, i Milanesi, ed i Fiorentini tali fatti scandalosi ed imbarazzanti; e sì violenti contrasti alternavansi, che potevano facilmente compromettere, ed alterare la neutralità professata dal Gambacorti. Imperocchè il Conte di Virtù avendo prese a soldo due galere dai Genovesi dava ordine che a forza si inoltrassero nel Porto Pisano, onde catturarvi una grossa nave dei Fiorentini, la quale sapeva contenere tante mercanzie per oltre il valore di dodici mila fiorini d'oro: ed i Fiorentini per rappresaglia vi inviavano tre delle loro galere armate in guerra e comandate da Andrea Gargiolli, perchè spingendosi nel Porto istesso vi recuperassero la nave perduta non solo, ma si introducessero anche nella Cala di Livorno per impadronirsi di una Barca Milanese, che vi si era rifugiata. E ciò in fatti eseguirono ad onta che dai soldati delle due Rocche tutto si tentasse per impedirlo. Anzi fecero audacemente di più, posero cioè a terra le loro ciurme, ed impegnarono entro il villaggio una sì fiera zuffa con i marinari Genovesi che vi si trovavano, che più di quaranta ve ne lasciarono uccisi, e più di cinquanta feriti. Sì fatte frequenti violenze sul territorio dipendente dalla Re pubblica, commesse impunemente, e senza alcun riguardo dalle tre Nazioni belligeranti, come che altamente offendessero la dignità stessa del Governo Pisano, e non potessero perciò più oltre tollerarsi senza un manifesto avvilimento, persuadevano alla fine il Gambacorti, e gli Anziani di Pisa, essere omai tempo che agli statuti del 1284 si dasse esecuzione; e che Livorno in conseguenza fosse ridotto a Fortezza, ed in grado di far rispettare anche il contiguo Porto Pisano. In tal modo la ingegnosa Provvidenza andava preparando gli eventi, i quali sebbene a prima vista apparissero piuttosto contrarj, conducevano nondimeno al resultato il più favorevole pel nostro villaggio, a quello cioè di finalmente elevarlo al grado di fortificato Castello sul mare. In fatti senza più dilazionare il sagace Gambacorti dava gli ordini, e le disposizioni opportune acciò Livorno di valide mura venisse prestamente circondato (189). E con ciò terminava la sua storia come Villaggio. - Le vicende da esso percorse in questa prima parte dei suoi Annali nel lungo lasso di oltre 1400 anni, ed a traverso di tanti diversi avvenimenti, se non furono tutte sue proprie direttamente, ed originarono sovente da quelle di Pisa, al cui dominio apparteneva, dimostrarono però quanto Iddio mirabilmente il proteggesse; e come dalla instancabile affezione de' suoi abitanti in ogni occasione venisse sostenuto. Mentre lungi dal correre la sorte incontrata da quasi tutte le altre borgate dei suoi contorni, rimaste affatto distrutte, ed abbandonate, risorse sempre dalle tante devastazioni che il percossero; e con tale sufficiente prosperità si rinnuovo, direi quasi, dalle sue stesse rovine, che senza mai cessare di esistere venne anzi per la sua favorevole posizione sul mare ambito ognor più dagli stati più possenti d'Italia, e d'oltramonte, i quali fecero a gara onde involarne il possesso ai Pisani. Nella successiva seconda parte della sua Storia, in cui ora siamo per entrare, uscito per cosi dire dall'infanzia, nella quale sino a qui era rimasto, lo ravviseremo, divenuto già adulto, volgere con assai di vigore a quella meta le sorti, ove dopo tante Repubblicane glorie, e sventure, lo attendevano la forza del Principato, la quiete maggiore della Monarchia, ed il genio benefico dei Gran-Duchi Medicei, per essere poi nella primitiva sua giovinezza dichiarato Città. In tal modo senza mai retrocedere dal corso perenne di sua esistenza rimasto semplice Villaggio per quattordici secoli, e quindi Castello fortificato per 214 anni, lo scorgeremo più fortunato che mai nel rango di Città, e di uno dei più ragguardevoli Emporj d'Italia, percorrere altri 234 anni, sino al 1840, vale a dire sino a quello, a cui, se Dio ne concede la grazia, ci siamo proposti di condurre i suoi Annali (190). FINE ALL' EPOCA II. (1) Si avverta come sino da questo tempo il nostro Villaggio avesse già assunto il nome di Livorno, che tuttora ritiene, e deposto il precedente, quello cioè di Livorna, il quale desunto dal primitivo di Labrone aveva preso nella introduzione della Lingua Volgare. In quanto alla Corte, che adesso possedeva, sappiamo dal Muratori (An. d' It. An. 1038.) che le Corti relativamente alle Terre, ed alle Borgate abbracciavano in quei tempi un buon territorio con Parrocchia, e sovente con Castello. Il Sig. Repetti (Diz. della Tos.) accenna invece con questa voce « Corte » cotanto usata nel Medio Evo, avendo presente il sistema dei popoli del Nord, già venuti in Italia, di fabbricare i loro resedj tanto in città, che in campagna isolatamente dalle abitazioni, non potersi intendere se non se il terreno, col quale essi contornavano sempre i loro palazzi. Assicura poi il Tronci (Ann. Pis. ) che l'Originale del trascritto Documento di donazione della Contessa Matilde esisteva nell' Archivio dell' Opera di Pisa, come è citato anche dal Martini, (Th. Bas. Pis.) dal Fiorentini (Mem. di Mat.) dal Roncioni (Mto.) non che dal Targioni (Viag.), e da quasi tutti i Cronisti Livornesi. |