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CAPITOLO XXV.

Chi vuole riformare uno Stato antico in una Città libera, ritenga almeno l'ombra de' modi antichi .

Colui che desidera, o che vuole riformare uno stato d'una città, a volere che sia accetto, e poterlo con satisfazione di ciascuno mantenere, è necessitato a ritenere l'ombra almanco de' modi antichi, acciò che ai Popoli non paia avere mutato ordine, ancorachè in fatto gli ordini nuovi fussero al tutto alieni dai passati; perchè l'universale degli uomini si pasce così di quel che pare, come di quello che è; anzi molte volte si muovono più per le cose che pajono, che per quelle che sono. Per questa cagione i Romani, conoscendo nel principio del loro vivere libero questa necessità, avendo in cambio d'un Re creati i duoi Consoli, non vollono ch' egli avessino più che dodici littori, per non passare il numero di quelli che ministravano ai Re. Oltra di questo, facendosi in Roma uno sacrificio anniversario, il quale non poteva esser fatto se non dalla persona del Re, e volendo i Romani che quel Popolo non avesse a desiderare, per la assenza degli Re, alcuna cosa dell'antiche, crearono un capo di detto sacrificio, il quale essi chiamarono Re sacrificolo, e lo sottomessono al sommo Sa

cerdote. Talmentechè quel Popolo per que sta via venne a satisfarsi di quel sacrificio, e non avere mai cagione, per mancamento di esso, di desiderare la tornata de' Re. E questo si debbe osservare da tutti coloro che vogliono scancellare uno antico vivere in una città, e ridurla ad uno vivere nuovo e libero. Perchè alterando le cose nuove le menti degli uomini, ti debbi ingegnare che quelle alterazioni ritenghino più dell'antico sia possibile: e se i magistrati variano e di numero e di autorità e di tempo dagli antichi, che almeno ritenghino il nome. E questo, come ho detto, debbe osservare colui che vuole ordinare una potenza assoluta o per via di Repubblica, o di Regno; ma quello che vuol fare una potestà assoluta, la quale dagli autori è chiamata Tirannide, debbe rinnovare ogni cosa, come nel seguente capitolo si dirà.

CAPITOLO XXVI.

Un Principe nuovo in una Città, o Provincia presa da lui debbe fare ogni cosa nuova.

Qualunque diventa Principe o di una Città, o di uno Stato, e tanto più quando i fondamenti suoi fussino deboli, e non si volga o per via di Regno, o di Repubblica alla vita civile, il migliore rimedio ch' egli abbia a tenere quel Principato, è, sendo egli nuovo Principe, fare ogni cosa di nuo

vo in quello Stato; come è nelle città fare nuovi governi con nuovi nomi, con nuova autorità, con nuovi uomini, fare i poveri ricchi, come fece Davit quando ei diventò Re: qui esurientes implevit bonis, et divites dimisit inanes. Edificare oltra di questo nuove città, disfare delle vecchie, cambiare gli abitatori da un luogo ad un altro, e insomma non lasciare cosa niuna intatta in quella provincia, e che non vi sia nè grado, nè ordine, nè stato, nè ricchezza, che chi la tiene non la riconosca da te; e pigliare per sua mira Filippo di Macedonia padre di Alessandro, il quale, con questi modi, di piccolo Re diventò Principe di Grecia. E chi scrive di lui, dice, che tramutava gli uomini di provincia in provincia, come i mandriani tramutano le mandrie loro. Sono questi modi crudelissimi, e nimici d'ogni vivere, non solamente cristiano, ma umano, e debbegli qualunque uomo fuggire, e volere piuttosto vivere privato che Re con tanta rovina degli uomini. Nondimeno colui che non vuole pigliare quella prima via del bene, quando si voglia mantenere, conviene che entri in questo male. Ma gli uomini pigliano certe vie del mezzo, che sono dannosissime; perchè non sanno essere nè tutti buoni, nè tutti cattivi, come nel seguente capitolo per esempio si mostrerà.

CAPITOLO XXVII.

Sanno rarissime volte gli uomini essere al tutto tristi, o al tutto buoni.

Papa Giulio II andando nel 1505 a Bologna per cacciare di quello Stato la casa de' Bentivogli, la quale aveva tenuto il Principato di quella città cento anni, voleva ancora trarre Giovampagolo Baglioni di Perugia, della quale era Tiranno, come quello che aveva congiurato contra a tutti gli Tiranni che occupavano le terre della Chiesa. E pervenuto presso a Perugia con questo animo e deliberazione nota a ciascuno, non aspettò di entrare in quella città con lo esercito suo che lo guardasse, ma vi entrò disarmato, non ostante vi fusse dentro Giovampagolo con genti assai, quali per difesa di se aveva ragunate. Sicchè portato da quel furore, con il quale governava tutte le cose, con la semplice sua guardia si rimesse nelle mani del nimico, il quale dipoi ne menò seco, lasciando un Governatore in quella città che rendesse ragione per la Chiesa. Fu notata dagli uomini prudenti che col Papa erano, la temerità del Papa, e la viltà di Giovampagolo; nè potevano stimare donde si venisse, che quello non avesse con sua perpetua fama oppresso ad un tratto il nimico suo, e sè arricchito di preda, sendo col Papa tutti li Cardinali

con tutte le loro delizie. Nè si poteva credere si fusse astenuto o per bontà, o per coscienza che lo ritenesse; perchè in un petto d'un uomo facinoroso, che si teneva la sorella, ch' aveva morti i cugini, e i nipoti per regnare, non poteva scendere alcuno pietoso rispetto: ma si conchiuse, che gli uomini non sanno essere onorevolmente tristi, o perfettamente buoni; e come una tristizia ha in sè grandezza, o è in alcuna parte generosa, eglino non vi sanno entrare. Cosi Giovampagolo, il quale non stimava essere incesto, e pubblico parricida, non seppe, o, a dir meglio, non ardi, avendone giusta occasione, fare una impresa, dove ciascuno avesse ammirato l'animo suo, e avesse di sè lasciato memoria eterna; sendo il primo che avesse dimostro ai Prelati quanto sia da stimare poco chi vive e regna come loro, ed avesse fatto una cosa, la cui grandezza avesse superato ogni infamia, ogni pericolo che da quella potesse dipendere.

CAPITOLO XXVIII.

Per qual cagione i Romani furono meno ingrati ai loro cittadini, che gli Ateniesi.

Qualunque legge le cose fatte dalle Repubbliche, troverà in tutte qualche specie d'ingratitudine contra a' suoi cittadini; ma ne troverà meno in Roma, che in Atene, e per avventura in qualunque altra Repub

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