Immagini della pagina
PDF
ePub

quello che d'uno minore salga a governare un maggiore. Perchè a costui non può ragionevolmente credere, se non li vede uomini intorno, i quali siano di tanta ri verenza, o di tanta virtù, che la novità di colui possa essere con il consiglio ed autorità loro moderata. E quando in Roma fusse stata la consuetudine quale in Vinegia, e nell' altre Repubbliche, e Regni moderni, che chi era stato una volta Consolo, non volesse mai più andar negli eserciti se non Consolo, ne sarebbero nate infinite cose in disfavore del viver libero e per gli errori che arebbono fatti gli uomini nuovi, e per l'ambizione che loro arebbono potuto usare meglio, non avendo uomini intorno, nel cospetto de' quali ei temessino errare; e così sarebbero venuti ad essere più sciolti; il che sarebbe tornato tutto in detrimento pubblico.

CAPITOLO XXXVII.

Quali scandali partori in Roma la legge Agraria; e come fare una legge in una Repubblica che risguardi assai indietro e sia contra ad una consuetudine antica della città, è scandalosissimo.

Egli è sentenza degli antichi scrittori come gli uomini sogliono affliggersi nel male, e stuccarsi nel bene, e come dall'una e dall' altra di queste due passioni na

scono i medesimi effetti. Perchè qualunque volta è tolto agli uomini il combattere per necessità, combattono per ambizione; la quale è tanto potente ne' petti umani, che mai, a qualunque grado si salgono, gli abbandona. La cagione è, perchè la natura ha creato gli uomini in modo che possono desiderare ogni cosa, e non possono conseguire ogni cosa; talchè essendo sempre maggiore il desiderio, che la potenza dello acquistare, ne risulta la mala contentezza di quello che si possiede, e la poca satisfazione di esso. Da questo nasce il variare della fortuna loro; perchè, desiderando gli uomini, parte di avere più, parte temendo di non perdere lo acquistato, si viene alle inimicizie e alla guerra, dalla quale nasce la rovina di quella provincia, e l'esaltazione di quell' altra. Questo discorso ho fatto, perchè alla Plebe Romana non bastò assicurarsi de' Nobili per la creazione de' Tribuni, al qual desiderio fu costretta per necessità, che lei, subito ottenuto quello, cominciò a combattere per ambizione, e volere con la Nobiltà dividere gli onori e le sustanze, come cosa stimata più dagli uomini. Da questo nacque il morbo che partori la contenzion della legge Agraria, ed in fine fu causa della distruzione della Repubblica Romana. E perchè le Repubbliche bene ordinate hanno a tenere ricco il pubblico, e li loro cittadini poveri, convenne che fosse nel

la città di Roma difetto in questa legge la quale o non fusse fatta nel principio in modo che la non si avesse ogui di a ritrattare; o che la si differisse tanto in farla, che fusse scandaloso il riguardarsi indietro; o sendo ordinata bene da prima era stata poi dall' uso corrotta. Talchè in qualunque modo si fusse, mai non si parlo di questa legge in Roma, che quella città non andasse sottosopra. Aveva questa legge duoi capi principali: per l'uno si disponeva, che non si potesse possedere per alcun cittadino più che tanti jugeri di terra; per l'altro, che i campi, di che si privavano i nimici, si dividessino tra il popolo Romano. Veniva pertanto a fare di duoi sorte offese a' Nobili; perchè quel li che possedevano più beni, che non permetteva la legge, quali erano la maggior parte de' Nobili, ne avevano ad esser privi; e dividendosi tra la Plebe i beni de' nimici, si toglieva a quelli la via dello arricchire. Sicchè, venendo ad essere queste offese contra ad uomini potenti, e che pareva loro, contrastandole, difendere il pubblico; qualunque volta, com'è detto, si ricordava, andava sottosopra quella città, e i Nobili con pazienza ed industria la temporeggiavano o con trar fuori un esercito, o che a quel Tribuno che la proponeva, s'opponesse un altro Tribuno, o talvolta cederne parte, ovvero mandare una colonia in quel luogo, che s'avesse a distribui

re; come intervenne del contado di Anzio, per il quale surgendo questa disputa della legge si mandò in quel luogo una colonia tratta di Roma, alla quale si consegnasse detto contado. Dove Tito Livio usa un termine notabile, dicendo, che con difficultà si trovò in Roma chi desse il nome per ire in detta colonia; tanto era quella Plebe più pronta a voler desiderare le cose in Roma, che a possederle in Anzio. Andò questo umore di questa legge così travagliandosi un tempo, tanto che i Romani cominciarono a condurre le loro armi nelle estreme parti d'Italia, o fuori d'Italia, dopo al qual tempo parve che la restasse. Il che nacque, perchè i campi che possedevano i nimici di Roma, essendo discosti dagli occhi della plebe, e in luogo, dove non gli era facile coltivargli, veniva meno ad esserne desiderosa; ed ancora i Romani erano meno punitori dei loro nimici in simil modo; e quando pure spogliavano alcuna terra del suo contado, vi distribuivano colonie. Tanto che tali per cagioni questa legge stette come addormentata infino a' Gracchi, da' quali essendo poi svegliata, rovinò al tutto la libertà Romana; perchè ella trovò raddoppiata la potenza de' suoi avversari, e si accese per questo tanto odio tra la Plebe, e il Senato, che si venne all' armi, ed al sangue fuor d'ogni modo e costume civile. Talchè nou potendo i pubblici magistrati rime

diarvi, nè sperando più alcuna delle fazioni in quelli, si ricorse ai rimedi privati, e ciascuna delle parti pensò di farsi un capo che la difendesse. Pervenne in questo scandalo e disordine la Plebe, e voise la sua riputazione a Mario, tanto che la lo fece quattro volte Consolo; e intanto continuò con pochi intervalli il suo Consolato, che si potette per sè stesso far Consolo tre altre volte. Contra alla qual peste non avendo la Nobiltà alcuno rimedio, si volse a favorir Silla; e fatto quello capo della parte sua, vennero alle guerre civili; e, dopo molto sangue, e variar di fortuna, ri

mase superiore la Nobiltà. Risuscitarono poi questi umori a tempo di Cesare e di Pompeo; perchè, fattosi Cesare capo della parte di Mario, e Pompeo di quella di Silla, venendo alle mani, rimase superiore Cesare, il quale fu primo Tiranno in Roma; talchè mai fu poi libera quella città. Tale adunque principio e fine ebbe la legge Agraria. E benchè noi mostrassimo altrove come le inimicizie di Roma tra il Senato e la Plebe mantenessero libera Roma, per nascere da quelle leggi in favor della libertà, e per questo paia disforme à tale conclusione il fine di questa legge Agraria; dico, come per questo io non mi rimuovo da tale opinione; perchè egli è tanta l'ambizione dei Grandi, che se per varie vie, e in varii modi la non è in una città sbattuta, tosto riduce tosto riduce quella città al

« IndietroContinua »