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re é biasimare detto Imbalt, nè si restò mai, infino a tantochè si conobbe che se Beaumont fusse stato simile a Imbalt, si sarebbe avuto Pisa come Arezzo. E così per tornar a proposito, le Repubbliche irresolute non pigliano mai partiti buoni, se non per forza, perchè la debolezza loro non le lascia mai deliberare dove è alcun dubbio; e se quel dubbio non è cancellato da una violenza che le sospiuga, stanno sempre mai sospese.

CAPITOLO XXXIX.

In diversi Popoli si veggono spesso
i medesimi accidenti.

E' si conosce facilmente per chi considera le cose presenti e l' antiche, come in tutte le città, e in tutti i popoli sono quelli medesimi desideri, e quelli medesimi umori, e come vi furono sempre; in modo che egli è facil cosa, a chi esamina con diligenza le cose passate, prevedere in ogni Repubblica le future, e farvi quelli rimedi che dagli antichi sono stati usati, o, non ne trovando degli usati, pensarne de'nuovi, per la similitudine degli accidenti. Ma perchè queste considerazioni sono neglette, o non intese da chi legge, o se le sono intese, non sono conosciute da chi governa, ne seguita che sempre sono i medesimi scandoli in ogni tempo. Avendo la città

di Firenze dopo il 9+ perduta parte dello imperio suo, come Pisa, e altre terre, fu necessitata a fare guerra a coloro, che le occupavano e perchè chi le occupava era potente, ne seguiva che si spendeva assai nella guerra seuza alcun frutto: dallo spendere assai ne risultava assai gravezze, dalle gravezze infinite querele del popolo ; e perchè questa guerra era amministrata da un magistrato di dieci cittadini, che si chiamavano i Dieci della guerra, l'universale cominciò a recarselo in dispetto, come quello che fusse cagione e della guerra, e delle spese di essa, e cominciò a persuadersi che, tolto via detto magistrato, fusse tolto via la guerra; tantochè avendosi a rifare, non se gli fecero gli scambi; e lasciatosi spirare, si commisero le azioni sue alla Signoria. La qual deliberazione fu tanto perniziosa, che non solamente non levò la guerra, come l'universale si persuadeva; ma tolto via quelli uomini, che con prudenza l'amministravano, ne seguì tanto disordine, che, oltre a Pisa, si perde Arezzo e molti altri luoghi; in modo che ravvedutosi il popolo dell' error suo, e come la cagione del male era la febbre, e non il medico, rifece il magistrato de' Dieci. Questo medesimo umore si levò in Roma contra al nome de' Consoli, perchè veggendo quello popolo nascere l'una guer ra dall' altra, e non poter mai riposarsi, dove e' dovevano pensare che la nascesse

LIBRO PRIMO.

dall'ambizione de' vicini che gli volevano 149 opprimere, pensavano nascesse dall'ambizione de' Nobili, che non potendo dentro in Roma gastigare la Plebe difesa dana potestà Tribunizia, la volevano condurre fuori di Roma sotto i Consoli, per opprimerla dove non aveva ajuto alcuno. E pensarono per questo, che fusse necessario o levar via i Consoli, o regolare in modo la loro potestà, che e' non avessino autorità sopra il popolo nè fuori, nè in casa. Il primo che tentò questa legge, fu uno Terentillo Tribuno, il quale proponeva che si dovessero creare cinque uomini, che dovessino considerare la potenza de' Consoli, e limitarla. Il che alterò assai la Nobiltà, paren dogli che la maestà dell' imperio fusse al tutto declinata, talchè alla Nobiltà non restasse più alcun grado in quella Repubblica. Fu nondimeno tanta l'ostinazione de' Tribuni, che il nome Consolare si spense; e furono in fine contenti, dopo qualche altro ordine, piuttosto creare i Tribuni con potestà Consolare, che i Consoli; tanto avevano più in odio il nome, che l'autorità loro. E così seguirono lungo tempo infino che conosciuto l' error loro, come i Fiorentini tornarono ai Dieci, così loro ri crearono i Consoli.

CAPITOLO XL.

La creazione del Decemvirato in Roma e quello che in essa è da notare; dove si considera, tra molte altre cose, come si può salvare per simile accidente, o oppressare una Repubblica.

Volendo discorrere particolarmente sopra gli accidenti che nacquero in Roma per la creazione del Decemvirato, non mi pare superchio narrare prima tutto quello che seguì per simile creazione, e dipoi disputare quelle parti che sono in esse azioni notabili; le quali sono molte, e di grande considerazione, così per coloro che vogliono mantenere una Repubblica libera, come per quelli che disegnassero di sottometterla. Perchè in tal discorso si vedranno molti errori fatti dal Senato e dalla Plebe in disfavore della libertà, e molti errori fatti da Appio, capo del Decemvirato in disfavore di quella tirannide, che egli si aveva presupposto di stabilire in Roma. Dopo molte disputazioni e contenzioni seguite tra il popolo e la Nobiltà per fermare nuove leggi in Roma, per le quali si stabilisse più la libertà di quello Stato, mandarono d'accordo Spurio Postumio con due altri cittadini ad Atene, per gli esempi di quelle leggi che Solone dette a quella città, acciocchè sopra quelle po

tessero fondare le leggi Romane. Andati, e tornati costoro, si venne alla creazione de gli uomini ch'avessino ad esaminare e fermare dette leggi; e crearono dieci cittadini per uno anno, tra i quali fu creato Appio Claudio, uomo sagace e inquieto. E perchè e' potessino senza alcun rispetto creare tali leggi, si levarono di Roma tutti gli altri magistrati, ed in particolare i Tribuni, e i Čonsoli, e levossi lo appello al popolo; in modo che tal magistrato veniva ad essere al tutto Principe di Roma. Appresso ad Appio si ridusse tutta l'autorità degli altri suoi compagni, per gli favori che gli faceva la Plebe, perchè egli s'era fatto in modo popolare con le dimostrazioni, che pareva maraviglia ch'egli avesse preso si presto una nuova natura e uno nuovo ingegno, essendo stato tenuto innanzi a questo tempo un crudele persecutore della Plebe. Governaronsi questi Dieci assai civilmente, non tenendo più che dodici littori, i quali andavano davanti a quello ch' era fra loro preposto. E benchè egli avessino l'autorità assoluta, nondimeno avendosi a punire un cittadino Romano per omicidio, lo citarono nel conspetto del popolo; e da quello lo fecero giudicare. Scrissero le loro leggi in dieci tavole, ed avanti che le confirmassero, le messero in pubblico, acciocchè ciascuno le potesse leggere e disputarle, acciocchè si conoscesse se v'era alcuno difetto, per poterlo in

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