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CAPITOLO LV.

Quanto facilmente si conduchino le cose in quella Città, dove la moltitudine non è corrotta; e che, dove è equalità, non si può fare Principato; e dove la non è, non si può far Repubblica.

Ancorachè di sopra si sia discorso assai quello sia da temere, o sperare delle città corrotte; nondimeno non mi pare fuori di proposito considerare una deliberazione del Senato circa il voto che Cammillo aveva fatto, di dare la decima parte ad Apolline della preda de' Veienti; la qual preda sendo venuta nelle mani della plebe Romana, nè

potendo altrimente riveder conto, fece il Senato uno editto, che ciascuno dovesse rappresentare al pubblico la decima parte di quello gli aveva predato. E benchè tale deliberazione non avesse luogo, avendo dipoi il Senato preso altro modo, e per altra via satisfatto ad Apolline in satisfazione della plebe; nondimeno si vede per tali deliberazioni quanto quel Senato confidasse nella bontà di quella, e come e' giudicava, che nessuno fusse per non rappresentare appunto tutto quello, che per tale editto gli era comandato. E dall' altra parte si vede come la plebe non pensò di fraudare in alcuna parte l'editto con il dare meno che non doveva, ma di liberarsi da quello con il

mostrarne aperte indignazioni. Questo esempio, con molt' altri che di sopra si sono addutti, mostrano quanta bontà e quanta religione fusse in quel Popolo, e quanto bene fusse da sperare di lui. E veramente dove non è questa bontà, non si può sperare nulla di bene, come non si può sperare nelle provincie che in questi tempi si veggono corrotte, come è l'Italia sopra tutte l'altre, e ancora la Francia e la Spagna di tale corruzione ritengono parte. E se in quelle provincie non si vede tanti disordini, quanti nascono in Italia ogni dì, deriva non tanto dalla bontà de' Popoli, la quale in buona parte è mancata, quanto dallo avere un Re che gli mantiene uniti, non solamente per la virtù sua, ma per l'ordine di quelli Regni che ancora non sono guasti. Vedesi bene nella provincia della Magna questa bontà e questa religione ancora in quelli Popoli esser grande, la qual fa che molte Repubbliche vi vivono libere, e in modo osservano le loro leggi, che nessuno di fuori, nè di dentro ardisce occuparle. E che sia vero che in loro regni buona parte di quella antica bontà, io ne voglio dare uno esempio simile a questo detto di sopra del Senato e della plebe Romana. Usano quelle Repubbliche, quando gli occorre loro bisogno d'avere a spendere alcuna quantità di danari per conto pubblico, che quelli magistrati o consigli che ne hanno autorità, ponghino a tutti gli abitauti della Mach. Vol. II. 13

città uno per cento, o dua, di quello che ciascuno ha di valsente. E fatta tale deliberazione secondo l'ordine della terra, si rappresenta ciascuno dinanzi agli esecutori di tale imposta, e, preso prima il giuramento di pagare la conveniente somma, getta in una cassa a ciò deputata quello, che secondo la coscienza sua gli pare dover pagare: del qual pagamento non è testimonio alcuno, se non quello che paga. Donde si può conietturare quanta bontà e quanta religione sia ancora in quelli uomini. E debbesi stimare che ciascun paghi la vera somma; perchè quando la non si pagasse, non gitterebbe l'imposizione quella quantità che loro disegnassero, secondo l' antiche che fussino usitate riscuotersi, e, non gittando, si conoscerebbe la fraude, e, conoscendosi, arebbon preso altro modo, che questo. La qual bontà è tanto più da ammirare in questi tempi, quanto ella è più rara; anzi si vede essere rimasa sola in quella provincia; il che nasce da due cose: l'una, non aver avuti commerzi grandi con i vicini, perchè nè quelli sono iti a casa loro, nè essi sono iti a casa altrui, perchè sono stati contenti di quelli beni, vivere di quelli cibi, vestire di quelle lane che dà il paese; donde è stata tolta via la cagione di ogni conversazione, e il principio d'ogni corruttela; perchè non hanno possuto pigliare i costumi ne-Francesi, nè Spagnuoli, nè Italiani, le quali nazioni tutte insieme sono

la corruttela del mondo. L'altra cagione è, che quelle Repubbliche, dove si è mante nuto il vivere politico ed incorrotto, non sopportano ch' alcun lor cittadino nè sia, nè viva ad uso di gentiluomo; anzi mantengono fra loro una pari equalità, ed a quelli signori e gentiluomini che sono in quella provincia, sono inimicissimi; e se per caso alcuni pervengono loro nelle mani come principii di corruttela, e cagione d'ogni scandalo, gli ammazzano. E per chiarire questo nome di gentiluomini quale e' sia dico che gentiluomini sono chiamati quelli, ch' oziosi vivono dei proventi delle loro possessioni abbondantemente, senza avere alcuna cura o di coltivare, o d'alcun' altra necessaria fatica a vivere. Questi tali sono perniciosi in ogni Repubblica, ed in ogni Provincia; ma più perniziosi sono quelli, ch'oltre alle predette fortune comandano a castella, ed hanno sudditi ch' ubbidiscono a loro. Di queste due sorte d'uomini ne sono pieni il Regno di Napoli, Terra di Roma, la Romagna, e la Lombardia. Di qui nasce che in quelle provincie non è mai stata alcuna Repubblica, nè alcuno vivere politico; perchè tali generazioni d'uomini sono al tutto nimici d'ogni civiltà. Ed a volere in provincie fatte in simil modo introdurre una Repubblica, non sarebbe possibile. Ma a volerle riordinare, s'alcun ne fusse arbitro, non arebbe altra via, che farvi un Regno: la ragione è questa, che

dove è tanta la materia corrotta, che le leggi non bastino a frenarla, vi bisogna ordinare insieme con quelle maggior forza, la quale è una mano Regia, che con la potenza assoluta ed eccessiva ponga freno alla eccessiva ambizione e corruttela dei potenti. Verificasi questa ragione con l' esempio di Toscana, dove si vede in poco spazio di terreno state lungamente tre Repubbliche, Firenze, Siena, e Lucca; e l'altre città di quella provincia essere in modo serve, I che con l'animo, e con l'ordine si vede o che le mantengono, o che le vorrebbono mantenere la loro libertà: tutto è nato per non essere in quella provincia alcun Signore di castella, e nessuno, o pochissimi gentiluomini; ma esservi tanta equalità, che facilmente da un uomo prudente, e che delle antiche civilità avesse cognizione, vi si introdurrebbe un viver civile. Ma lo infortunio suo è stato tanto grande, che infino a questi tempi non ha sortito alcun uomo che l'abbia potuto, o saputo fare. Traesi adunque di questo discorso questa conclusione, che colui che vuole fare, dove sono assai gentiluomini, una Repubblica, non la può fare, se prima non gli spegne tutti; e che colui che, dove è assai equalità, vuole fare un Regno, o un Principato, non lo potrà mai fare, se non trae di quella equalità molti d'animo ambizioso ed inquieto, e quelli fa gentiluomini in fatto, e non in nome, donando loro

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