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CAPITOLO XXV.

Che lo assaltare una città disunita, per occuparla mediante la sua disunione, è partito contrario.

Era tanta disunione nella Repubblica Romana tra la Plebe e la Nobiltà, che i Vejenti insieme con gli Etrusci, medianie tale disunione, pensarono potere estinguere il nome Romano. Ed avendo fatto esercito, e corso sopra i campi di Roma, mandò il Senato loro contro Gn. Manlio e M. Fabio, i quali avendo condotto il loro esercito propinquo allo esercito de' Vejenti, non cessavano i Vejenti e con assalti, e con obbrobri offendere e vituperare il nome Romano; e fu tanta la loro temerità e insolenza, che i Romani di disuniti diventarono uniti, e venendo alla zuffa, gli ruppero e vinsero. Vedesi pertanto quanto gli uomini s'ingannano, come di sopra discorremmo, nel pigliare de' partiti, e come molte volte credono guadagnare una cosa, e la perdono. Credettono i Vejenti, assaltando i Romani disuniti, vincergli, e quello assalto fu cagione della unione di quelli, e della rovina loro; perchè la cagione della disunione delle Repubbliche il più delle volte è l'ozio e la pace; la cagione della unione è la paura e la guerra. E però se i Vejenti fussino stati savi, eglino arebbono, quanto più Mach. Vol. II.

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disunita vedevano Roma, tanto più tenuta da loro la guerra discosto, e con l'arti della pace cerco d' oppressargli. Il modo è cercare di diventare confidente di quella città ch' è disunita, e infino che non vengono all'armi, come arbitro, maneggiarsi tra le parti. Venendo all' armi, dar lenti favori alla parte più debole, sì per tenergli più in su la guerra, e fargli consumare; si perchè le assai forze non gli facessero tutti dubitare che tu volessi opprimergli, e diventar loro Principe. E quando questa parte è governata bene, interverrà quasi sempre che l'arà quel fine che tu hai presupposto. La città di Pistoja, come in altro discorso e ad altro propósito dissi, non venne alla Repubblica di Firenze con altra arte, che con questa; perchè sendo quella divisa, e favorendo i Fiorentini or l' una parte or l'altra, senza carico dell' una e dell' altra, la condussino in termine, che, stracca di quel suo vivere tumultuoso, venne spontaneamente a gittarsi nelle braccia di Firenze. La città di Siena non ha mai mutato Stato col favor de' Fiorentini, se non quando i favori sono stati deboli e pochi. Perchè quando e' sono stati assai e gagliardi, hanno fatto quella città unita alla difesa di quello Stato che regge. Io voglio aggiun gere ai soprascritti un altro esempio. Filip po Visconti Duca di Milano più volte mosse guerra a' Fiorentini, fondatosi sopra le disunioni loro, e sempre ne rimase perdente;

talchè egli ebbe a dire, dolendosi delle sue imprese, come le pazzie de' Fiorentini gli avevano fatto spendere inutilmente due milioni d'oro. Restarono adunque, come di sopra si dice, ingannati i Vejenti e gli Toscani da questa opinione, e furono alfine in una giornata superati dai Romani. E per l'avvenire ne resterà ingannato qualunque per simile via, e per simile cagione crederà oppressare un popolo.

così

CAPITOLO XXVI.

Il vilipendio e l'improperio genera odio contra a coloro che l'usano senza al cuna loro utilità.

Io credo che sia una delle grandi prudenze che usino gli uomini, astenersi o dal minacciare, o dallo ingiuriare alcuno con le parole; perchè l' una cosa e l'altra non tolgono forze al nimico, ma l'una lo fa più cauto, l'altra gli fa avere maggior odio contra di te, e pensare con maggior industria di offenderti. Vedesi questo per lo esempio de' Vejenti, de' quali nel capitolo superiore si è discorso, i quali alla ingiuria della = guerra aggiunsono contro ai Romani l'obbrobrio delle parole, dal quale ogni capitano prudente debbe fare astenere i suoi soldati; perchè le son cose che infiammano ed accendono il nimico alla vendetta, e in nessuna parte lo impediscono, come è det

in

to, alla offesa; tantochè le sono tutte arme che vengono contro a te. Di che ne segui già uno esempio notabile in Asia, dove Gabade capitano dei Persi essendo stato a campo ad Amida più tempo, ed avendo deliberato, stracco dal tedio dell' ossidione, partirsi, levandosi già col campo, quelli della terra venuti tutti in su le mura, superbiti della vittoria non perdonarono a nessuna qualità d'ingiuria, vituperando, accusando, rimproverando la viltà, e la poltronería del nimico. Da che Gabade irritato mutò consiglio, e ritornato alla ossidione, tanta fu la indignazione della ingiuria, che in pochi giorni gli prese e saccheggio. E questo medesimo intervenne a' Vejenti, a' quali, com'è detto, non bastando il far guerra a' Romani, ancora con le parole gli vituperarono, ed andando fino in su lo steccato del campo a dir loro ingiuria, gli irritarono molto più con le parole, che con le armi ; e quelli soldati, che prima combattevano mal volentieri, costrinsero i Consoli ad appiccare la zuffa; talchè i Vejenti portarono la pena, come gli antedetti, della contumacia loro. Hanno adunque i buoni Principi d'esercito, ed i buoni Governatori di Repubblica a far ogni opportuno rimedio, che queste ingiurie e rimproveri non si usino o nella città, o nell' esercito suo, nè fra loro nè contra al nimico; perchè usati contra al nimico, ne nascono gl' inconvenienti soprascritti; fra loro farebbono

peggio, non vi si riparando, come vi hanno sempre gli uomini prudenti riparato. Avendo le legioni Romane, state lasciate a Capova, congiurato contra a' Capovani, come nel suo luogo si narrerà, ed essendone di questa congiura nata una sedizione, la quale fu poi da Valerio Corvino quietata, tra le altre constituzioni che nella convenzione si fecero, ordinarono pene gravissime a coloro, che rimproverassino mai ad alcun di quelli soldati tal sedizione. Tiberio Gracco, fatto nella guerra di Annibale capitano sopra certo numero di servi, che i Romani per carestía d'uomini avevano armati, ordinò tra le prime cose pena capitale a qualunque rimproverasse la servitù d'alcuno di loro. Tanto fu stimato da' Romani, come di sopra s'è detto, cosa dannosa il vilipendere gli uomini, ed il rimproverar loro alcuna vergogna; perchè non è cosa ch' accenda tanto gli animi loro, nè generi maggiore sdegno, o davvero o da beffe che si dica: Nam facetiae asperae, quando nimium ex vero traxere, acrem sui memoriam relinquunt.

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