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terveniva il contrario; perchè quanto più il nimico s' appressava a Roma, tanto più trovava quella città potente a resistergli. E si vide nella venuta d'Annibale in Italia che dopo tre rotte, e dopo tante morti di capitani e di soldati, ei poterono non solo sostenere il nimico, ma vincere la guerra. Tutto nacque dall'aver bene armato il cuo re, e delle estremità tenuto poco conto. Perchè il fondamento dello stato suo era il popolo di Roma, il nome latino, e l'altre terre compagne in Italia, e le loro colonie, donde e' traevano tanti soldati, che furono sufficienti con quelli a combattere, e tenere il mondo. E che sia vero, si vede per la domanda che fece Annone Cartaginese a quelli oratori d'Annibale dopo la rotta di Čanne; i quali avendo magnificato le cose fatte da Annibale, furono domandati da Annone se del popolo Romano alcuno era venuto a domandar pace, e se del nome latino e delle colonie alcuna terra si era ribellata da' Romani ; e negando quelli l'una e l'altra cosa, replicò Annone: Questa guerra è ancora intera come prima. Vedesi pertanto, e per questo discorso, e per quello che più volte abbiamo altrove detto, quanta diversità sia dal modo del procedere delle Repubbliche presenti a quello delle antiche. Vedesi ancora per questo, ogni dì, miracolose perdite e miracolosi acquisti. Perchè dove gli uomini hanno poca virtù, la fortuna dimostra assai la potenza sua; e perchè la

è varia, variano le Repubbliche, e gli stati spesso, e varieranno sempre, infino che non surga qualcuno che sia dell' antichità tanto amatore che la regoli in modo, che non abbi cagione di dimostrare ad ogni girare di sole quanto ella puote.

CAPITOLO XXXI.

Quanto sia pericoloso credere agli sbanditi.

E' non mi pare fuori di proposito ragionare tra questi altri discorsi, quanto sia cosa pericolosa credere a quelli che sono cacciati della patria sua, essendo cose che ciascuno di si hanno a praticare da coloro che tengono stati; potendo massime dimostrare questo con uno memorabile esempio detto da T. Livio nelle sue istorie, ancora che sia fuora di proposito suo. Quando Alessandro magno passò con l'esercito suo in Asia, Alessandro di Epiro, cognato e zio di quello, venne con genti in Italia chiamato dagli sbanditi Lucani, i quali gli dettero speranza che potrebbe mediante loro occupare tutta quella provincia. Donde che quello, sotto la fede e speranza loro, venuto in Italia, fu morto da quelli, sendo loro promesso la ritornata nella patria dai loro cittadini se lo ammazzavano. Debbesi considerare pertanto quanto sia vana e la fede, e le promesse di quelli che si trovano

privi della loro patria. Perchè, quanto alla fede, si ha ad estimare che qualunque volta possono per altri mezzi, che per li tuoi, rientrare nella patria loro, che lasceranno te e accosterannosi ad altri, nonostante qualunque promessa ti avessino fatta. E quanto alla vana promessa e speranza, egli è tanta la voglia estrema che è in loro di ritornare in casa, che e' credono naturalmente molte cose che sono false, e molte ad arte ne aggiungono; talchè tra quello che credono e quello che dicono di credere, ti riempiono di speranza; talmentechè fondatoti in su quella, tu fai una spesa in vano, o tu fai una impresa, dove tu rovini. Io voglio per esempio mi basti Alessandro predetto, è di più Temistocle Ateniese, il quale, essendo fatto ribello, se ne fuggì in Asia a Dario dove gli promise tanto, quando ei volesse assaltare la Grecia, che Dario si volse alla impresa. Le quali promesse non gli potendo poi Temistocle osservare, o per vergogna o per tema di supplicio, avvelenò sè stesso. E se questo errore fu fatto da Temistocle uomo eccellentissimo, si debbe stimare che tanto più errino coloro, che per minor virtù si lasceranno più tirare dalla voglia e dalla passione loro. Debbe adunque un Principe andare adagio a pigliare imprese sopra la relazione d'un confinato; perchè il più delle volte se ne resta o con vergogna, o con danno gravissimo. E perchè ancora rade volte riesce il pigliare le terre

di furto, e per intelligenza che altri avesse in quelle; non mi pare fuor di proposito discorrerne nel seguente capitolo, aggiungendovi con quanti modi i Romani le acqui

stavano.

CAPITOLO XXXII.

In quanti modi i Romani occupavano le terre.

Essendo i Romani tutti volti alla guerfecero sempre mai quella con ogni vantaggio e quanto alla spesa, e quanto ad ogni altra cosa che in essa si ricerca. Da questo nacque che si guardarono dal pigliare le terre per ossidione; perchè giudicavano questo modo di tanta spesa e di tanto scomodo, che superasse di gran lunga l'utilità che dell' acquisto si potesse trarre e per questo pensarono che fusse meglio e più utile soggiogare le terre per ogni altro modo, che assediandole; donde in tante guerre e tanti anni ci sono pochissimi esempi di ossidioni fatte da loro. I modi adunque, con i quali egli acquistavano le città, erano o per espugnazione, o per dedizione. La espugnazione era o per forza o per violenza aperta, o per forza mescolata con fraude: la violenza aperta era o con assalto senza percuotere le mura, il che loro chiamavano aggredi urbem corona, perchè con tutto l'esercito circondavano la città, e da tutte

le parti la combattevano. E molte volte riuscì loro che in uno assalto pigliarono una città, ancora che grossissima, come quando Scipione prese Cartagine nueva in Ispagna;

quando questo assalto non bastava, si dirizzavano a rompere le mura con arieti, o con altre loro macchine belliche; o e'facevano una cava, e per quella entravano nella città; nel qual modo presono la città de' Veienti; o, per essere eguali a quelli che difendevano le mura, facevano torri di legname, o facevano argini di terra appoggiati alle mura di fuori, per venire all'altezza d'esse sopra quelli. Contra a questi assalti, chi difendeva le terre, nel primo caso circa l'essere assaltato intorno, portava più subito pericolo, ed avea più dubbi rimedi; perche bisognandoli in ogni luogo avere assai difensori, o quelli ch'egli aveva, non erano tanti che potessero o supplire per tutto, o cambiarsi; o se potevano, non erano tutti di eguale animo a resistere, e da una parte che fusse inclinata la zuffa, si perdevano tutti. Però occorse, come io ho detto, che molte volte questo modo ebbe felice successo. Ma quando non riusciva al primo, non lo ritentavano molto, per esser modo pericoloso per l'esercito; perchè difendendosi in tanto spazio, restava per tutto debile a potere resistere ad una eruzione che quelli di dentro avessino fatta, ed anche si disordinavano e straccavano i soldati; ma per una volta ed all' improv

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