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essere corrottissimo. Perchè allora, a mantenerlo saldo, e disposto a fuggire i Re bastò solo farlo giurare che non consentirebbe mai che a Roma alcuno regnasse; e negli altri tempi non bastò l'autorità e severità di Bruto con tutte le legioni orientali a tenerlo disposto a volere mantenersi quella libertà, che esso a similitudine del primo Bruto gli aveva renduta. Il che nacque da quella corruzione, che le parti Mariane messa nel Popolo, delle quali essendo capo Cesare, potette accecare quella moltitudine, ch' ella non conobbe il giogo che da se medesima si metteva in sul collo. E benchè questo esempio di Roma sia da preporre a qualunque altro esempio; nondimeno voglio a questo proposito addurre innanzi Popoli conosciuti nei nostri tempi. Pertanto dico, che nessuno accidente, benchè grave e violento, potrebbe ridurre mai Milano o Napoli libere, per essere quelle membra tutte corrotte. Il che si vide dopo la morte di Filippo Visconti, che volendosi ridurre Milano alla libertà, non potette e non seppe mantenerla. Però fu felicità grande quella di Roma che questi Re diventassero corrotti presto, acciò ne fussino cacciati, e innanzi che la loro corruzione fusse passata nelle viscere di quella città; la quale corruzione fu cagione che gl'infiniti tumulti, che furono in Roma, avendo gli uomini il fine buono, non nuocerono anzi giovarono alla Repubblica. E si può

fare questa conclusione, che, dove la materia non è corrotta, i tumulti ed altri scandali non nuocono; dove la è corrotta, le leggi bene ordinate non giovano, se già le non son mosse d'uno che con una estrema forza le facci osservare, tantochè la materia diventi buona; il che non so se si è mai intervenuto, o se fusse possibile ch' egli intervenisse; perchè e' si vede, come poco di sopra dissi, ch' una città venuta in declinazione per corruzione di materia, se mai occorre che la si levi, occorre per la virtù d'un uomo ch'è vivo allora, non per la virtù dell' universale che sostenga gli ordini buoni; e subito che quel tale è morto, la si ritorna nel suo pristino abito, come intervenne a Tebe, la quale per la virtù di Epaminonda, mentre lui visse, potette tenere forma di Repubblica, e d'Imperio; ma, morto quello, la si ritornò ne' primi disordini suoi la cagione è, che e' non può essere un uoino di tanta vita, che 'l tempo basti ad avvezzare bene una città lungo tempo male avvezza. E s'uno d'una lunghissima vita, o due successioni virtuose continue non la dispongono, come una manca di loro, come di sopra è detto, subito rovina, se già con molti pericoli e molto sangue e' non la facesse rinascere. Perchè tale corruzione e poca attitudine alla vita libera nasce d'una inequalità che è in quella città; e volendola ridurre equale, è necessario usare grandissimi straordinari, i

quali pochi sanno, o vogliono usare, come in altro luogo più particolarmente si dirà.

CAPITOLO XVIII.

In che modo nelle città corrotte si potesse mantenere uno Stato libero, essendovi; o, non essendovi, ordinarvelo.

Io credo che non sia fuori di proposito, nè disforme del soprascritto discorso considerare se in una città corrotta si può mantenere lo Stato libero, sendovi, o, quando e' non vi fusse, se vi si può ordinare. Sopra la qual cosa dico, come egli è molto difficile fare o l'uno, o l'altro ; e benchè sia quasi impossibile darne regola, perchè sarebbe necessario procedere secondo i gradi della corruzione; nondimanco, sendo bene ragionare d'ogni cosa, non voglio lasciare questa indietro. E presupporrò una città corrottissima, donde verrò ad accrescere più tale difficultà; perchè non si trovano nè leggi nè ordini che bastino a frenare una universale corruzione. Perchè così come gli buoni costumi per mantenersi hanno bisogno delle leggi; così le leggi, per osservarsi, hanno biosgno dei buoni costumi. Oltre di questo, gli ordini e le leggi fatte in una Repubblica nel nascimento suo quando erano gli uomini buoni, non sono dipoi più a proposito, divenuti che sono tristi. E se le leggi secondo gli accidenti in una città variano,

non variano mai, o rade volte, gli ordini suoi; il che fa che le nuove leggi non bastano, perchè gli ordini che stannɔ saldi, le corrompono. E per dare ad intendere meglio questa parte, dico come in Roma era l'ordine del Governo, o vero dello Stato, e le leggi dipoi, che con i magistrati frenavano i cittadini. L'ordine dello Stato era l'autorità del Popolo, del Senato, dei Tribuni, dei Consoli, il modo di chiedere e del creare i magistrati, e il modo di fare le leggi. Questi ordini poco o nulla variarono nelli accidenti. Variarono le leggi che frenavano i cittadini, come fu la legge degli Adulteri, la Suntuaria, quella della Ambizione, e molte altre, secondo che di mano in mano i cittadini diventavano corrotti Ma tenendo fermi gli ordini dello Stato, che nella corruzione non erano più buoni, quelle leggi che si rinnovavano, non bastavano a mantenere gli uomini buoni; ma sarebbono bene giovate, se con la innovazione delle leggi si fussero rimutati gli ordini. E che sia il vero, che tali ordini nella città corrotta non fussero buoni, e' si vede espresso in due capi principali. Quanto al creare i Magistrati e le leggi, non dava il Popolo Romano il Consolato, e gli altri primi gradi della città, se non a quelli che lo domandavano. Questo ordine fu nel principio buono, perchè e' non gli domandavano, se non quelli cittadini che se ne giudicavano degni; ed aver

ne la repulsa era ignominioso; sicchè, per esserne giudicati degni, ciascuno operava bene. Diventò questo modo poi nella città corrotta perniziosissimo; perchè non quelli ch'avevano più virtù, ma quelli ch'avevano più potenza, domandavano i Magistrati; e gl' impotenti, comechè virtuosi, se n'astenevano di domandargli per paura: Venne a questo inconveniente non ad un tratto, ma per i mezzi, come si cade in tutti gli altri inconvenienti ; perchè avendo i Romani domata l'Affrica e l'Asia, e ridotta quasi tutta la Grecia a sua ubbidienza, erano divenuti sicuri della libertà loro, nè pareva loro avere più nimici che dovessero fare loro paura; questa sicurtà e questa debolezza de' nimici fece, che il Popolo Romano nel dare il Consolato non riguardava più la virtù, ma la grazia, tirando a quel grado quelli che meglio sapevano intrattenere gli uomini, non quelli che sapevano meglio vincere i nimici; dipoi da quelli che avevano più grazia, discesero a dargli a quelli che avevano più potenza; talchè i buoni, per difetto di tale ordine, ne rimasero al tutto esclusi. Poteva uno Tribuno, e qualunque altro cittadino proporre al Popolo una legge, sopra la quale ogni cittadino poteva parlare o in favore, o incontro innanzi che la si deliberasse. Era questo ordine buono, quando i cittadini erano buoni; perchè sempre fu bene, che ciascuno che intende un bene per il pubblico, lo

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