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uomo, dappoichè ha saputo che 'l vicerè è partito con l'armata, ha detto che non ha più che fare qui alla corte; e per questo e per altri rincontri stimasi ch'ei non venisse ad altro fine che per intertener con parole il vicerè che non andasse in Italia, e questi sono i rimedii che fa il re di Francia per aiutar l'impresa d'Italia.

A me pare che se alla giunta costi del signor Cesare non si da qualche mezzo buono per la pace, talmente che si vegga il successo in effetto, o almeno incamminato di modo che non possa mancare, non sia più da sperarvi; e che i sospetti passati dall' una parte e dall'altra abbiano da apostemarsi tanto, che la infirmità diventi del tutto incurabile. Piaccia a Dio, che nostro signore si disponga ad adoperare le arme di Cristo, che sono le sue proprie e che più sempre hanno valu to sole che accompagnate con quelle del mondo; perchè io son certo che sua santità conoscerà che hanno più forza. Io non dico tutto quello ch'io faccio, perchè sarebbe un lungo scrivere, e potrebbe parere che dell'opere, delle quali principalmente aspetto mercede da Dio, volessi farmene grado appresso sua santità. Certo è ch' io non pretermetto cosa ch'io stimi poter giovare al bene universale; e poichè Dio mi ha fatto grazia che l'imperatore e questi altri signori facciano qualche conto di me e mi credano, io mi sforzo che tutte le mie operazioni tendano a questo fine; e però non cesso ogni di e ogni ora d'imprimere a questi signori del consiglio, quanto più posso, quelle opinioni che mi paiono al proposito, e, come in questa lettera medesima più volte ho detto, parmi che tutti o la maggior parte siano inclinati al bene.

leri fu consiglio, e per essere la partita del signor Cesare tanto propinqua, parvemi di andar a

dare un assalto al signor cancelliero, all' arcivescovo di Toledo e al duca d' Alba, e il di avanti avevo fatto questo medesimo con il confessore, aociocchè la commissione del signor Cesare fosse tale che non si avesse d'aspettar risposta d'Italia per la conclusione; e di questo medesimo di consenso de sopraddetti signori aveva io parlato molto a lungo e con molta instanza all'imperatore sopra certi particolari appartenenti a questo negozio; e penso, secondo che i detti signori mi riferirono, che il ragionamento ch'io feci a sua maestà non fosse punto nocivo, e così il replicar con la medesima instanza ch'io feci a prefati siguori, prima ch' entrassero nel consiglio di ieri, penso che giovasse assai, acciocchè l'imperatore Jégasse le mani al vicerè e gli comandasse espressamente la sua volontà, che è della pace, alla quale sua maestà crede che il vicerè abbia da essere tanto più inclinato quanto che, oltre il desiderio che pensa ch'egli tenga di servirlo e obbedirlo, facendosi la guerra, al vicerè saria necessario star sotto Borbone, il che è cosa incompatibile; e il vicerè ha molto desiderio di godersi il regno di Napoli e le mercedi che in esso sua maestà gli ha fatte. In ultimo dico questo, che, s'io non in'inganno, con il signor Cesare verrà chiaramente l'animo dell'imperatore dispostissimo alla pace: e se non succederà, io non vorrei che 'l mondo conoscesse o credesse che mancasse dal papa; che, secondo ch'io veggo dalle bande di qua non solamente inclinazione, ma ostinazione dei popoli, e grandi e piccoli, di tener il papa per santissimo e vicario vero di Cristo, se sua santità mostra di posponere ogn'altra cosa a questa pace universale: cosi parmi vedere che lo terrebbero tutto in contrario, se in sua santità pensassero che sia mente aliena dalla pace. E di questo

non posso dire nè scriver tanto quanto mi par di vedere; e sto posto nella mia opinione, che da S. Pietro in qua niun papa mai abbia fatto tanto buona cosa quanto farà nostro signore se viene in Ispagna del modo che vostra signoria mi scrive. Vero è che molti di questi signori e i migliori non credono che abbia da essere, non perchè non aspettino ogni buona e santa opera da sua santità, ma perchè par loro che le persone ch'oggidi sono al mondo non debbano poter fare così buona opera, come farebbe sua santità (1).

Ma tornando a quello che ieri si trattò nel consiglio, hammi fatto intendere il signor arcivescovo di Toledo la conclusion essere stata ottima, il che medesimamente mi ha notificato il confessore per una polizza di sua mano. La importanza di questa risoluzione e la credenza che si ha da pigliare di molto bene o molto male secondo la risposta che da Roma si avrà, parmi vederla, ma non so scriverla; e se ancora fossi presente forse non la saprei dire, Vero è che se di là si vede tepidità alcuna, o cosa per la quale si possa sospettare che si vada cercando sottilità o articoli per differire, noi perdiamo molto dal canto di qua quanto all' opinione della bontà, e mettiamo in grandissimo pericolo il resto quanto al mondo; di quello che tocca a Dio, che è esplorator dei cuori, non parlo. A vostra signoria infinitamente mi raccomando,

Di Granata alli XI di novembre MDXXVI.

(1) II papa, nonostanti gli sconforti avutine dal re di Francia, e da quello d' Inghilterra, sarebbe senza alcun dubbio andato a trovar Cesare sino a Barcellona, se le disgrazie succedutegli poco appresso non glie l'avessero impedito. Il che si può di leggieri argomentare da quanto ei fece dappoi nel portarsi per ben due volte a Bologna per ricevere esso Carlo V e una volta a Marsiglia per indurre il re Francesco ad una vera e stabile concordia con l'imperadore.

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Oggi siamo alli XVI; e pure il signor Cesare è ancora qui, benchè penso che questa sera ad ogni modo partirà. Porta cento mila ducati in lettere per lo esercito altro non posso dire più del già detto, se non che è giunto un uomo dell' infante (1) il quale conferma la clade d'Ungheria, donde questi signori sono restati molto attoniti; e par loro che Austria sia perduta, e conoscono quella importanza che insin qui non hanno conosciuta. Qui si crede che il vaivoda di Transilvania cerchi di alzarsi re d'Ungheria (2) e sia d'accordo col Turco: temesi che il re di Polonia faccia il medesimo aspirando a Boemia (3); e se l'infante potesse avere dal Turco una tregua, potrebbe essere che la pigliasse. I Luterani fanno come sogliono (4), e il gran maestro di di Prussia ha tolto moglie (5). Di Francia è ve nuto Monsieur di Large aspettato lungamente, quale, per quanto s' intende, non porta altro che quello che ho detto di sopra.

il

(1) Don Ferdinando, arciduca d' Austria, fratello dell' imperadore.

(2) E lo fu in effetto, essendogli col favore del Turco riuscito di salire a quel trono, e d'esserne coronato all'11 di novembre 1526. Egli si chiamava Giovanni di Rapolia, e con varia fortuna continuò a regnare sino alla morte, che segui alli 21 di luglio 1540.

(3) Il regno di Boemia lo ebbe l'arciduca Ferdinando a riguardo della regina Anna sua consorte, ch' era sorella del re Lodovico; e per la stessa ragione fu anche eletto re d'Ungheria nel 1527, benchè non ne potesse godere il possesso che dopo la morte del vaivoda.

(4) Cioè ribellioni e stragi, come fatto aveano l'anno antecedente i contadini della Franconia e della Turingia, che, sollevatisi contro de' loro signori, aveano prese le armi in numero di più di 40 mila, e combattuto disperatamente.

(5) Alberto, marchese di Brandeburgo, gran maestro delJ'ordine teutonico. Come egli, abbracciata l' eresia di Lutero, pigliasse moglie, e come si rendesse signore degli stati del suo ordine iu Prussia, si può vedere nel Graziani, de scriptis in

Al nunzio in Francia (1).

Reverendo e magnifico signore.

Alli 4 di questo ebbi un plico di lettere di vostra signoria de' 13 di settembre, nel quale erano altre sue lettere, cioè una duplicata de' 16 d'agosto, e un' altra de' 27 dello stesso mese: e rispondendo alla prima dico, che quelle che vostra signoria scrive di aver inviate per mano di Domenico Canigiani, magnifico orator fiorentino, de' 5 e 9 d'agosto insieme con un breve comune al reverendissimo legato e a me, nel quale si commetteva che ci dovessimo governare nelle occorrenze presenti secondo gli avvisi nostri, non sono pervenute. Vostra signoria potrà veder d'intendere come sieno capitate, poich' ella scrive averle fidate bene. Quanto a quello che scrive in cifra che facessimo intendere all' imperatore: non aver da' nostri principi il mandato di accettare in caso che sua cesarea maestà rispondesse voler entrare nella lega; fecesi senza che di questo fossimo avvisati altramente; perchè in verità niun di noi lo aveva. Del far instanza che senz'altro sua maestà cesarea volendo entrar nella lega adempisse le condizioni e mandasse al suo ambasciatore, che è in Francia, la sua intenzione col mandato per trattare col cristianissimo, non si è fatto; perchè non siamo giun

vita Minerva, lib. XVI, e più ampiamente nella vita del cardioal Commendone, scritta dallo stesso Graziani.

(1) Ruberto Acciaiuoli.

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