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crificò alla sua buona coscienza umane vittime, come il carnefice san Domenico; e in secolo meno crudele. Ne' primi anni dell'esilio del poeta, le sette politiche reciprocamente si calunniavano d'eresie; e i roghi del Santo Ufficio ardevano in ogni città d'Italia, tanti che un papa, stato domenicano, ordinò che le inquisizioni fossero meno arbitrarie (1). Se Dante, ove mai fosse tornato per le conquiste dei ghibellini in Firenze, avrebbe voluto vedere i suoi persecutori sul fuoco, al quale lo avevano condannato, non so. Era di anima indomita, d'ardente immaginazione, di longanimità senza esempio; pati di inique persecuzioni, e dell' impazienza di protratte speranze; minacciò da profeta; e sono indizi tutti di coscienza confidentissima, e che allontanandola dalle superstizioni, la guidano al fanatismo. Le riforme che fanno cambiare condizione a' ricchi e mendici, e vietano a' sacerdoti d'acquistare tesoro per privilegi venduti e mendaci (2), non si malurano mai senza sangue, e peggio dove la Chiesa è regnante. Nè pare che Dante fosse de' riformatori che fidano più ne' progressi della ragione, che della forza. I Fiorentini a' quali Cane della Scala pareva, « il maggiore tiranno e il più possente e ricco che fosse in Lombardia da Azzolino di Romano infino allora; e chi diceva anche più (3) » dovevano temere a ogni modo non il loro concittadino rientrasse profeta armato dal vincitore de' guelfi. Del resto gli uomini in ogni mutazione di fortuna sogliono ubbidire all'istinto, in taluni feroce, e in ta

(1) Officium sic exercere studeant, ut ad Nos de talibus clamor ullerius non ascendat. -an. 1304, Benedetto XI, Papa. Vedi la lettera del Tiraboschi al P. Inquisitore Maestro del Sacro Palazzo. Stor. lett., vol. VIII, pag. 645.

(2) Parad. xxvii, 53.

(3) G. VILLANI, Lib. X, 139.

luni clemente del cuore; e perpetuo e profondo, perchè vive ingenito nella tempra dell'individuo: e per esso mormorano le rampogne, e le adulazioni segrete che sono chiamate voci della coscienza e della ragione; pur sono passioni in forma di sillogismi. A me la tempra del cuore di Dante pare disposta, ma non arrendevole alla pietà.

LIII. Due anni o poco più da che vide Cane della Scala in tanta fama, ut hos in spe suæ posteritatis attollat: hos exterminii dejiciat in terrorem (1) — Dante morì. Questa data io la assegno alla dedicatoria del Paradiso, perchè la dittatura del Signor di Verona non cominciò ad essere sperata da'ghibellini, nè temuta da' guelfi in Italia, se non dopo le sue vittorie verso la fine dell'anno 1318. Poi dov' anche al poeta fosse toccato il tristo privilegio di lunghissima vita, ei non che godere d'alcuna vendetta, avrebbe veduto i suoi nemici nel breve corso di otto anni pericolare e risorgere; e Cane affrettarsi al sommo della potenza, é Castruccio ridurre quasi tutta Toscana a parte ghibellina, e l'uno e l'altro morirsi giovani (2); e in quel mezzo, Firenze protetta e di anno in anno avvilita più sempre dalla tirannide d'infami satelliti della casa di Francia (5), e il re Fra Roberto invecchiare con nome di Salomone; e il papa Caorsino minacciato di sovrastante. rovina dagli Apostoli nel poema (4), vivere novanta anni vendendo l'Italia alle rapine de' forestieri, e dissanguando tutti i popoli cristiani con simonie temute fino allora da' più avidi fra' pontefici (5). Tali

(1) Lett. cit., pag. 469.

(2) MURATOBI, Ann. 1508, 1509.

(5) MACHIAVELLI, Stor. Fior. Dall'an. 1525, al 1541. (4) Parad. XXVII.

(5) MURATORI, Ann. 1554.

condizioni pendevano; e Dante pur aspettandone di propizie, dolevasi delle presenti; e di certo la impazienza del desiderio dovea pur fargli temere alle volte quelle che avvennero. Adunque chi crederà ch'ei temuto com'era da'suoi concittadini, ed esoso naturalmente a ogni guelfo in Italia, sfidasse l'odio di quanti guelfi e ghibellini ferì nel poema, e lo pubblicasse imperterrito, e non toccato mai da veruno? Ma e quando? Forse ne'molti anni mentre ei « senza vela, senza governo, portato a diversi porti e foci e liti, andò quasi mendicando per tutta Italia (1)? » O forse la fama della sua grand'opera letta da tutti gli uomini il proteggeva? Non so se sì fatta difesa abbia mai protetto che i morti. Milton simile quasi in tutto e d'ingegno, e di fama e di anima a Dante, si fece morto; mandò la sua bara in processione al cimitero, e fuggì a'vendicatori di Carlo I (2). Molti altri poeti non che meritarsi mai protettori per via di satire, hanno penato sempre a trovarne a prezzo enorme di panegirici. Orazio mordeva gl'inermi; e per eludere le leggi contro a'libelli infamanti, allegava che Augusto lodava i suoi versi (3). Di questo esempio si fecero testo, non sono ancora quattordici anni, certi filologi in un giornale letterario di corte, a provare Che chiunque disprezza le inezie de'bibliotecarii, lettori di università, e di accademie, appone ignoranza al principe che li protegge, e si fa reo di lesa maestà (4). I detti e i fatti pregni di vilissima crudeltà non andrebbero mai ricordati, se

(1) Convito, pag. 71.

(2) CUNNINGHAM. History of Great Britain, vol. I, pag. 14. (3) Sat. Lib. II, 1. 80-87.

(4) Vedi il POLIGRAFO; Milano, 1811, 1842. Del fascicolo per l'appunto non mi sovviene. L'articolo è sottoscritto Y. Allega certa interpretazione, delle solite del Bentlejo, a rispondere a chi aveva rimproverato ad Orazio d'avere vituperato Labeone ch'era di parte

talor non parlassero per volumi di annali a insegnare come il ricorso di simili circostanze adonesta le ignominie della servitù nelle lettere delle nazioni. Dante in un poeta men cortigiano trovò ch' esce frutto migliore dalle censure della vita de' grandi, perchè standosi più cospicua e meno punita, viene più presto veduta e imitata (1). Però si gloria di rinfacciare delitti anche a' regnanti (2), a' quali il vendicarsi per mezzo di spie, ambasciadori, e sicarii, parve sempre infamia minore che il non vendicarsi.

LIV. Allorch'io dianzi alludeva all'ombra dell'ucciso che disse al poeta,

Là, dov' io più sicuro esser credea,
Quel da Esti il fe' far

e lì vidio

Delle mie vene farsi in terra laco

non m'erano venute sott'occhio le circostanze scritte dall'anonimo; e mostrano quanto quegli stessi individui piagati da Dante nella fama perseverassero nelle vendette (5). E non per tanto mentre nella Commedia affrontava a nome i potenti, si esacerbava un nemico in ogni plebeo d'ogni terra italiana. Siena

repubblicana, afflitta allora, ed esosa ad Augusto. Dalle parole Insanior Labeone, e alcune simili a queste, Dotli clelli dal loro Sire, per entro l'articolo, non sarà difficile a ritrovarlo e raffrontarlo alla dottrina citata,

(1) JUVENALIS Satira vi, 140, allegata nel Convito pag. 276. (2) Liber Sapientiæ, vi, 6-10, e concorda con più luoghi di San Paolo. Parad. xvi, 155-136, e tutto il XIX.

(5) Sempre li andavano dietro li assassini posti dal Marchese per ucciderlo quando fosse il destro. In processo di tempo Mess. Maffeo Visconti essendo Signore di Melano, si lo elesse podestà. Questi la ricevette, e venne per mare infino a Vinegia; poi quando volse andare a Padova, quelli ch'erano a sua caccia, si lo uccisono nella valle di Oriaco. Ediz. Fior. estratti dagli antichi. Purg. v. 70, seg. e qui dietro, sez. xxxi.

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era popolata da falui (1); Arezzo da cani, e il Casentino da porci (2); e gli abitatori di Lucca trafficavano di spergiuri (3); Pistoia era tana di bestie e non doveva indugiare a convertirsi in cenere (4), nè Pisa ad essere inondata dall'Arno ad annegarvi ogni persona vivente (5). Questo in Toscana; senza riguardo a fazioni, e solo a riprendere le magagne prominenti d'ogni città: onde le donne quasi tutte in Firenze sono descritte mezzo nude su per le piazze, e avvezze alle libidini di Sardanapalo, nelle lor case (6). Ma ogni fratello, e marito, e figliuolo, e padre, ogni uomo in Bologna era ruffiano delle sue donne (7); e micidiali gli abitatori d'altri paesi (8); nè in tutta Lombardia v' era da trovare più di tre uomini non villani (9); e in Genova, dove non era umano costume, e così pure in Romagna, dove il poeta ebbe rifugio a morirvi, vivevano corpi animati da diavoli; ma le loro anime cadute già nel profondissimo dell'Inferno giacevano tormentate fra i traditori di congiunti e d'amici (10). Forse a ridurre a concordia una nazione che si sbrana da sè, e che da quando le mancarono armi, armeggiò a vituperii, il solo rimedio, benchè l'estremo se pur mai v'è rimedio fors'è di assennare ciascheduna città a persuadersi che non ha troppo da millantare su le altre ;

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E cortesia fie loro esser villano.

(1) Inf. XXIX,

122.

(2) Purg. xiv, 57-54.

(5) Inf. xxi, 58-42.

(4) Inf. xxiv, 125.

(5) Inf. xxx, 81.

(6) Purg. xxi, 94, seg. Parad. xv, 107.

(7) Inf. xvi, 36, seg.

(8) Parad. 52, seg.
(9) Purg. xvi, 115-126.
(10) Inf. 115-157.

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