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nelle città capitali d'ogni provincia; la nazione non sarà moltitudine di Chinesi, ma popolo atto ad intendere ciò che si scrive, e giudice di lingua e di stile ma allora, non ora, e non mai prima d'allora.

<< Parecchie altre scritture su la storia della lingua italiana (da che la storia sola de' fatti e le vicissitudini della letteratura giovano a ricavare utili teorie) feci inserire in quel giornale, che cominciava con promesse magne e magnifiche, e finì sciaguratamente, e che ho nominato dianzi The European Review. Allora io per la somma di lire 240 diedi agli editori quattordici articoli intitolati Epoche della lingua italiana, ciascheduna delle quali occupava mezzo secolo, incominciando da Federigo 1o (il Barbarossa) sino a' di nostri. Le prime tre o quattro Epoche si pubblicarono, ma gli editori fallirono; io non toccai nè un unico soldo, e non solo sborsai da forse tre dozzine di lire per copisti e traduttori, ma per avere parte non foss' altro del mio credito, gli avvocati mi travolsero in altrettante dozzine di lire per le spese forensi, e non n'ebbi vantaggio se non questo, che pur non è poco, di riavere i miei manoscritti delle Epoche non pubblicate. Vorrei ridurle in una sola opera, diretta alla Accademia della Crusca col motto Battimi e ascolta; perchè forse i Montisti ei Perticariani con tutta la loro confraternità mi batterebbero peggiormente. Se non che, Gino mio, quid brevi fortes jaculamur ævo multa? A me mancano pochi anni ai cinquanta, ed oltre alla minore certezza e gioia e forza di vita in questa età mia, s'è accanita contro di me la fortuna, tanto che non ho certezza oggimai nè di vivere per lavorare, nè di lavorare per vivere, ec. ec.

Nella lettera che s'è qui ripubblicata a frammenti dal numero 104 dell'Antologia di Firenze, sì perchè porge indizio del modo con che Foscolo tentava la illustrazione della Commedia, e si perchè gli esemplari dell' Antologia sono oggi pochi e rari a trovarsi, è menzione di parecchi lavori preparati in Inghilterra da Foscolo e rimasti ignoti all' Italia. Dei nove canti dell' Iliade accennati, soli cinque furono trovati compiuti, più altri a lunghi frammenti, ed era mente di Foscolo ritoccarli. La lettera ai Greci, se pur fu scritta, è, credo, irreparabilmente smar

rita. Rimangono, alcuni in ordine per la stampa, altri abbozzati, i Discorsi sulle epoche della lingua italiana, e quel tanto che non fu poscia inserito da Foscolo in altri lavori stampati e parrà giovevole all' incremento della patria letteratura, verrà fatto noto in un modo o nell'altro all'Italia. Della lunga lettera apologetica ai letterati d'Italia letta negli ultimi tempi della sua vita con animo traboccante di affetti da Foscolo a taluno fra gli amici suoi, poi smarrita e tiepidamente cercata, e dichiarata perduta (1), son oggi e m'è dolce annunziarlo primo agli amici di Foscolo - ricuperati i due terzi almeno, sommanti a dugento pagine incirca di stampa. La Lettera è indirizzata agli Editori Padovani della Divina Commedia dalla Tipografia della Minerva uscita nell'anno 1822. È documento importantissimo per valore biografico e storico, perchè, mentre ribatte virilmente e decisivamente le accuse mosse dalla malignità e dalla cortigianeria letteraria a Foscolo uomo e scrittore, porge lume a discernere il vero d'alcuni fatti segnatamente degli anni 1814 e 1815, travisati per mala fede o taciuti per paura sino ai di nostri; e sarà pubblicata com'è in un libro intitolato Vita e Lettere d'Ugo Foscolo, intorno al quale chi scrive queste pagine sta lavorando quanto concedono angustie d'ogni sorta e doveri da' quali ei non pensa potersi esimere. Quel che avanza delle illustrazioni al Poema di Dante forma i volumi che qui si pubblicano.

Quel che avanza: perchè il concetto d'illustrazione era ben altrimenti vasto e degno di Dante. Oltre il Discorso sul Testo pubblicato nel 1825 pieno zeppo d'errori dal Pickering, e due anni dopo con nuovi errori da Ruggia, ed oggi ripubblicato con

(1) Camillo Ugoni nella Vita di Pecchio.

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maggiore esattezza di correzione e con emendazioni ed aggiunte considerevoli (1) desunte da un esemplare postillato di mano dell'autore, era intenzione di Foscolo d' aggiungere al Poema tre discorsi intorno allo stato civile, letterario, religioso in Italia a'tempi di Dante poi, per ogni cantica, osservazioni intorno ai passi ne'quali la storia e la poesia s'illustrano scambievolmente, e lunghe note, ricordate spesso nel manoscritto, sul sistema teologico del Poema, sulle applicazioni della teologia alla politica, sui latinismi di Dante, sull'aspetto e senso corporeo dell'ombre, ec., ec. Com'ei fosse strozzato a ridurre il primo disegno nelle minori proporzioni del lavoro ch'oggi si pubblica, appare dalla lettera inserita qui sopra e dalla prefazioncella, finora inedita, di Foscolo, che precede in questa edizione il Discorso sul Testo. E questo pure, dacchè la morte di Foscolo troncò l'edizione, si rimarrebbe, con danno e vergogna all'Italia, inedito tuttavia, se la generosità d'un libraio italiano qui in Londra, Pietro Rolandi, non ricomprava, a prezzo di quattrocento lire sterline, il manoscritto dalle mani del libraio inglese, avventurandosi a forti spese di stampa, dalle quali egli forse non ritrarrà che l'onore d'averle affrontate.

A chi intende come dopo tanto diluvio di commenti e note e lezioni e dissertazioni e logogrifi accumulato per cinque secoli da frati, abbati, monsignori, accademici arcadi o degni d'esserlo, e professori d'Università principesche sul Poema Sacro, non rimangono oggimai che sole due vie ad afferrarne l'anima e l'intima vita e l'eterno vero, lo studio della vita e dell'opere del pocta e la correzione

(1) Vedi a saggio delle aggiunte inedite le lunghe note alle sez. CIV, GXXI. CXLIII. CCX. e gran parte della sez. CCV, e tutta la CCHI. Le emendazioni ricorrono pressochè ad ogni pagina.

del testo, il lavoro di Foscolo, così come i casi lo han fatto, parrà pur sempre importante. E vita e testo si stanno tuttavia a rischio d'essere fraintesi in Italia dove l'assoluta mancanza di critica letteraria lascia l'inesperienza dei giovani ai pericoli della diffidenza cieca e della cieca venerazione, e gl' indizi del vero dati, com'è concesso, dai pochissimi savi, vanno sommersi nella farragine degli errori: il testo, sviato e guasto in mille guise dalla molteplicità de'copisti, dalla ignoranza dei più fra loro, dall'esclusiva fiducia d'ogni editore nel proprio Codice, e dal meschinissimo pregiudizio che trascina i più fra gli scrittori toscani ed altri i quali, scrivendo pure intrepidamente lombardo, teorizzano coi toscani a ringrettire il verbo della nazione futura per entro i termini d'una provincia e la maestà severa della lingua dantesca tra gl'idiotismi e le sincopi effeminate d'un dialetto e sia pure il migliore d'Italia la vita, falsata prima da quanti non hanno, duce il Pelli, guardato in Dante che il letterato, poi da'biografi che scrissero, nessuno eccettuato, da guelfi o da ghibellini intorno ad un uomo il quale si svincolò, giovanissimo, dalle due fazioni e vantavasi nel Poema d'

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Aversi fatta parte per se stesso.

Dante è tal uomo i cui libri studiati in un colla vita sarebbero da tanto da ritemprare tutta una generazione e riscattarla dall' infiacchimento che tre secoli d'inezie o di servilità hanno generato e mantengono. Bensì, lo studio ha da essere severo, spregiudicato, libero d'ogni venerazione alle autorità, impreso non per notare e citare le molte terzine e gl'infiniti versi sublimi d'immagini e d'armonia che raccomandano il Poema all'orecchio e alla fantasia, ma coll'animo volto al futuro, e santificato dal dis

DANTE

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prezzo per tutta quanta la genía de' pedanti eunuchi e dall'amore pei milioni d'uomini nati in Italia che covano il pensiero di Dante, a trovare e svolgere quel pensiero, a raccogliere, colla religione con che il figlio interroga la sepoltura paterna, il segreto dell' Idea che Dante adorava, che lo innalzava al di sopra di quanti Grandi ha l'Italia, e lo confortò nella povertà, nella solitudine e nell' esilio. E lo studio ha da cominciare dalla vita del poeta, dalla tradizione italiana ch'ei compendiava e continuava colla potenza del genio, dall' opere minori ch'ei disegnava come preparazione al Poema, per conchiudersi intorno alla Divina Commedia, corona dell'edifizio, espressione poetica del concetto ch' ei traduceva politicamente nella Monarchia, filosoficamente nel Convito, letterariamente nel libro su la Lingua volgare. Perchè Dante è una tremenda unità: individuo che racchiude, siccome in germe, l'unità e l'individualità nazionale; e la sua vita, i suoi detti, i suoi scritti s'incatenano in un'idea, e tutto Dante è un pensiero unico, seguito, sviluppato, predicato nei cinquantasei anni della sua esistenza terrestre con tale una costanza superiore alle paure e alle seduzioni mondane che basterebbe a consecrarlo genio dov' anche quel pensiero fosse utopia non verificabile mai: or di qual nome onorarlo quando fosse il pensiero fremente nella vita di cento inconscie generazioni, misura del nostro progresso, segno della nostra missione?!

Ed è. La patria s'è incarnata in Dante. La grande anima sua ha presentito, più di cinque secoli addietro e tra le zuffe impotenti de'guelfi e de'ghibelFini, l'Italia l'Italia iniziatrice perenne d'unità religiosa e sociale all'Europa, l'Italia angiolo di civiltà alle nazioni, l'Italia come un giorno l'avremo. Quel presentimento spira per entro a tutte le cose di

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