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pia (1). » Ma gli studii e pensieri e l'anima tutta intera dell' illustratore dottissimo, i suoi storici, le sue croniche manoscritte, le sue scoperte delle epoche precise de'viaggi di Dante nella Marca di Treviso e nel Foro Giulio, e della sua stanza nelle corti poetiche del Caminese e de' Patriarchi, ogni parola insomma, letta, ideata e scritta dal dottissimo illustratore, tende ad un unico oggetto, ed è: l'autorità del codice friulano equivalente all' autenticità degli autografi. Tanto apparato di dottrina, e promesse di nuove cose, e professioni di critica, inducono molti ad ammirare il sapere dello scrittore, e credergli a un tratto; e sgomentano chiunque mai dubitando dell' origine del suo codice si volesse provare di contradirgli. Perchè chi potrebbe emularlo a tenere l'occhio possibilmente a quanto fu scritto, intorno alla vita di Dante, dall' età del Boccaccio alla nostra? Inoltre qualora la sana critica lo abbia richiesto, ei s'è giovato del sapere dei filologi e degli scienziati antichi e moderni, citando sempre gli autori sì di libri stampati, come di non istampati, sì di morti che di viventi. Non avvi interprete, da Jacopo della Lana fino al Biagioli, che per quanto appartiene al testo, ei non abbia consullato (2). Pur mentre così pare che intimi che s'ha da credergli in tutto, provoca a guardare a' frutti prodotti da tanta erudizione, e rispondergli che non si può credere a cosa ch'ei dica. Le prove innegabili ch'ei promette intorno alla figliuola di Gherardo da Camino si riducono alle multæ laudes quæ possent dici de ista Caja, gittate in fretta alla ventura nel suo latino da fra Giovanni di Serravalle, quasi un secolo dopo Jacopo della Lana. Le notò il Tiraboschi

(1) Storia della Lett., vol. V, pag. 478, nota (a). (2) Prefaz. al Cod. Bartoliniano.

come indizi probabili di alcuni fatti ch' ei credeva oscurissimi; e l'illustratore dottissimo le ricopia a guisa di soli e santissimi documenti di verità.

LXV. Or s' egli avesse tanto quanto osservato, o nell'una o nell'altra delle edizioni, o nelle due nobilissime e più benemerite del poema, uscite non molto innanzi ch'ei donasse al mondo il suo codice, si sarebbe accertato senza altre letture, che i commentatori chiamati da esso più conosciuti, e che lodano nella figliuola del buon Gherardo la pudicizia e le altre virtù domestiche, sono per avventura oscurissimi a tutti, fuorchè all'editore del codice, e che i più antichi e prossimi a Dante si taciono e di pudicizia e di poetiche dilettazioni; bensì ricordano: «Che madonna Gaia fu donna di tal reggimento circa le dilettazioni amorose, ch'era notorio il suo nome per tutta Italia (1) e il pocta con doppio intento, rappresentando il vecchio Gherardo nolo non tanto per le sue virtù quanto per le dissolutezze di una figlia famosa, mirava a rinfacciare i tralignati costumi alle case signorili in Italia. Per altro questa mia non è che opinione desunta da'significati, che i contemporanei del commentatore antico usurpavano ne'vocaboli reggimento e notorio (2).

»

(1) Estratto dall'Anonimo famigliare di Dante, ediz. di Firenze, e di Padova. Purg. xvI.

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(2) «Con disonesti e vani cenni, e molti motti, e reggimenti invitano e traggono in concupiscenza di loro i giovani Parlano per vezzi e reggimenti stringendo le labbra, e dimezzando le parole ». Pist. di San Girolamo nel vocabolario del Cesari. E nel Vocabolario dell' Accademia alla voce Notorio, 1. lare e gli alli, reggimenti e portamenti sogliono essere chiamali così il poeta nel Convito, e nel poema gli occhi di Beatrice raggiavano,

Or con uni or con altri reggimenti.

Il par

Purg. XXXI, 125.

Altri, giustificato dall'autorità d'esempi diversi, darà forse interpretazione più giusta al nome di madonna Gaia, o più onesta. Ricciardo da Camino, non so se figlio o nipote del padre di lei, e se gli successe nella signoria di Treviso, fu ammazzato, v'è chi dice, per tradimento del Signor di Verona; e tutti consentono che la congiura fu tramata da'ghibellini (1). L'anima amara di Dante contro alla famiglia de'Caminesi traspira daʼversi,

E dove Sile a Cagnan s'accompagna
Tal signoreggia e va con la testa alla,
Che già per lui carpir si fa la ragna (2).

Questi versi l'eruditissimo illustratore del codice non gli ebbe in mente, o non si curò di raffrontarli agli altri in lode del vecchio Gherardo, nè agli annali d'Italia. Forse ch'ei si sarebbe avveduto che la profezia dell'uccisione di Ricciardo avveravasi nel 1512; onde il poeta non poteva, d'allora in poi non foss'altro, ricevere nè da esso nè da'suoi predecessori, alcuna ospitalità sino al 1519, quando all'illustratore eruditissimo piacque di condurlo in Udine per camparlo dall'ira di Cane della Scala, dentro il palazzo del Patriarca.

LXVI. Impunemente, osserva l' eruditissimo illustratore del codice, non si punge un potente ambizioso; e il talento di Dante inclinato alla satira, non poteva sperare continuato favore da un uomo della tempra del signor di Verona. Guai al bisognoso, se fra i cenci della povertà s'arrischia di far sentire all'altero suo protettore la possanza del proprio

(1) Parad. ix, 49-51, e gl'interpreti antichi nell'ediz. di Padova MURATORI, Ann. an. 1312.

(2) Parad. ix, 49.

ingegno! Ma Dante non seppe usar la moderazione che all'avversità si conviene; e noi lo abbiamo appreso da un suo celeberrimo concittadino. Francesco Petrarca (Memorand. lib. 2) narra, Che «< la per contumacia dell'indole, e per la libertà del parlare, Dante non poteva soddisfare alle delicate orecchie, nè agli occhi de'principi dell'età sua e che prima da Can della Scala onorato, coll' andar del tempo retrocesse passo passo finchè gliene mancò affatto il favore. » A noi fu sufficiente l'autorità di tanto uomo per desumere che l'Allighieri s'attirò la disgrazia dello Scaligero, quantunque di altre molte testimonianze avessimo potuto fortificarci (1). Altre molte testimonianze, caso ch'ei non intenda delle novelle di Franco Sacchetti e di Cinzio Giraldi, niuno, temo, potrebbe insegnarmele. Certo io non trovo scrittore serio il quale, o negando-e fra questi è il Maffei (2) o credendo come fa il Tirabo- schi (5) l'ira implacabile di Cane della Scala contro al poeta, abbia fatto mai fondamento fuorchè sopra l'aneddoto nelle opere del Petrarca; onde merita riverenza insieme ed esame, perchè è di nobile autore, ma tardo ed unico testimonio. L'illustratore del codice, nondimeno, mentre stima che la celebrità del Petrarca sia suggello di verità ad ogni cosa che ei narri, gli vitupera d'una mentita il racconto che ei pur non esamina, e crede con religione È vero che il primo rifugio, e il primo ostello di Dante fu Cane Grande della Scala, come egli ne fa chiara testimonianza (Parad. XVII. 70); ma quando così cantava il poeta, cra passato il tempo della sua fortuna con quello Scaligero: egli finge di predire

(1) Prefazione cit. al Codice Bartoliniano. (2) Verona illustr. P. I., I. 2.

Stor. Lett., vol. V, pag. 27.

quello che già era a lui per lo innanzi accaduto: e se pur vuole onorar Cane di tanto elogio, il fa a mio credere per tre ragioni: l'una a fine di non mostrarsi ingrato ai benefizii prima ricevuti; la seconda, per l'affetto ch'ei nutriva verso chi sostenea la fazion ghibellina; la terza, perchè gli stava a cuore il ricuperar la grazia di quel principe già divenuto formidabile e potentissimo, per mezzo del quale sperava di ritornare nella sua cara patria. E a dir vero, avendo egli abitato, per fede de' sopra mentovati storici, un anno intero in Friuli, ed essendo venuto con Pagano entro il 1319; ciò non toglie ch'ei non potesse di qua partire prima dello scadere del 1320; anzi il Candido stesso nel luogo citato afferma che da Udine ritornò poscia presso Cane della Scala a Verona; della cui mediazione vedendo di non poter più valersi per ritornare alla patria, nel seno della quale, com'egli dice nel Convito, desiderava con tutto il cuore di riposare l'animo stanco, e terminare il tempo che gli era dato, si rivolse per si bramato fine al signor di Polenta, presso cui è indubitato, ch'egli si trattenne fino all'estremo suo giorno (1).

LXVII. Taccio che a questo modo la stanza del poeta in Ravenna ristringerebbesi a pochi mesi; e dove uno in questo prestasse fede agli storici del dottissimo illustratore, terrebbe da nulla gli altri d'Italia, ei Fiorentini tutti quanti, e i contemporanei di Dante; e stoltissimo chiunque gli allega (2). Ma se crederemo che Dante fuggiva dalla vendetta d'un tremendo tiranno irritato da' motti satirici, non potremo mai credere ch' egli poi s' attentasse d'af

(1) Prefazione cit. al Cod. Bartoliniano.

(2) Vedi qui dietro, sez. XI.

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