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facciarsegli reo anche del tradimento d' essersi affratellato in Treviso co' Caminesi nemici degli Scaligeri, e co' demagoghi de' guelfi, e co' preti caporali delle crociate pontificie contro a' Signori di Lombardia (1). E però s' anche questa nuova novella agli occhi del dottissimo illustratore diviene storia verissima, il racconto del Petrarca sul quale diresti ch'ei giuri, trasformasi tanto quanto in novella. Non ch'io voglia contendere che il poeta poco innanzi di morire non abbia riveduto Cane della Scala in Verona; e forse andando e tornando dalla legazione che intorno a quel tempo, al dire degli storici ravennati e del vecchio Villani (2) gli fu commessa presso i Veneziani da Guido da Polenta. Anzi taluni attribuiscono a Dante certa tesi da lui sostenuta a mezzo l'anno 1320 in Verona; ma va tenuta con molti per impostura indegna di esame (3). Sia che si vuole, le condizioni d'Italia, e le guerre implacabili delle due fazioni, ma sopra ogni cosa il disprezzo con che Dante rispinse il perdono offertogli da'suoi concittadini, e tutto il tenore della sua vita indurranno, o ch'io spero troppo, l'eruditissimo illustratore a considerare, che nè il capitano della lega de' ghibellini avrebbe potuto o degnato intercedere presso i guelfi, se non con l'armi; nè che Dante sospirando la sua patria, poteva sperarsi, o desiderare di rivederla finchè non n'erano dispersi i capi di parte che l'avevano condannato all'infamia (4).

LXVIII. A rivelare che il codice, e la storia, e gli aneddoti che vorrebbero autenticarlo, sono peggio

(1) MURATORI, Ann. d'Italia, 1521.

(2) Vedili citati dal Pelli, Mem. pag. 115.

(5) TIRABOSCHI, Stor. Lett., Vol. V, pag. 485. (4) Vedi dietro sez.

XXXIX.

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che apocrifi, sarebbero stati assai alcuni pochissimi degli anacronismi e de' passi d' autori citati a traverso; e congegnati, o per impeto di fantasia sopraffatta di gioia dalla scoperta del codice; o per deridere i trovatori di notizie recondite; o per altra cagione, qual che pur siasi, dall'eruditissimo illustratore. Onde parrà che io mi travagli a procacciarmi il titolo d'uomicciuolo che si fa merito degli altrui falli. Ma se io tenessi conto di opinioni si fatte, non mi proverei di sgombrare le favole accumulatesi d'anno in anno per tanti secoli sovra l'epoca e la Commedia di Dante. Non ch' io mi speri di vederne la fine; bensì dove taluno pur si rassegni di ritentare la prova, per quanto ci può, e rimetterla ad altri; ed altri ad altri, che vi perseveri; e tutti col medesimo metodo e senz'ambizione di scoprire cose ignotissime, ma con animo deliberato, inflessibile contra gli errori, verrà forse giorno che mentre noi saremo dimenticati, le fatiche nostre avranno per merito l'utile frutto che gli Italiani ricaveranno dal loro poeta. Non però alcuno mai si lusinghi di potersi guardare in tutto da nuovi errori; onde quantunque per ora io non m' avvegga de' miei, pur me ne chiamo colpevole innanzi tratto: basti che non siano adottati per amore di sistema: e dove naseano a caso, ogni uomo saprà discernerli, e non avrà da penare a combatterli. Bensi le favole create e adulate dall'istinto degli Italiani chiamato amore di patria, e che impone di compilare volumi per la gloriuccia d'una provincia, d'una città o d'un villaggio, a danno della verità e del'Italia le favole giurate per fatti storici, sopra l'unica autorità di un illustre scrittore che tu non puoi chiamare ad esame, e non farti reo della colpa di lesa macstà letteraria le favole accolte scientemente affine di adornarle di erudizione, e procac

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DANTE

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ciare al loro illustratore il nome di chiarissimo in tutti i giornali le favole, nelle quali la patentissima assurdità, le invenzioni puerili, e le imposture si stanno, non pure inosservate o dissimulate, ma ricoperte di magnificenza di parole, di apparato di vario sapere, e di nomi di collaboratori viventi, e d'elogi di critici, in guisa da stringere tutti gli uomini a credere queste, ed altre parecchie maniere di favole sono difficilissime a scorgersi, perchè procedono per via di sistemi; e pericolose a combattersi, perchè sono difese dall' animosità provinciale, dalla vanità letteraria, e talvolta anche dalla venalità, passioni ciarliere, e invereconde, e ostinate a non ricredersi mai: e però sono favole che per quanto siano ridicole per se stesse, s'hanno pur da assalire a tutto potere, e sino all' ultima distruzione. Ogni poco che tu le disprezzi risorgeranno sotto altre apparenze di verità. Vergognando di correre dietro a spropositi fanciulleschi nelle illustrazioni del codice patriarcale, durai nondimeno; e libererò i forestieri dalla semplicità di ripetere che gli autografi del poema sono stampati, e gli Italiani dalla vergogna di tacere mentre pur vedono il testo guasto in nuova maniera, e la storia di tutto quel secolo pervertita, e l'anima di Dante contaminata da chi lo manda ad accattare favori da nemici attendati de' ghibellini -e queste nientedimeno sono le notizie predicate da chi non le legge, e raccolte da chi non ha cura d'esaminarle. Però i dottissimi della Biblioteca Italiana in Milano le hanno raccomandate fra supplementi opportuni alla storia della vita di Dante.

LXIX. Non dirò che l'editore del codice patriarcale si meriti l'imputazione d' essersi aiutato astutamente d'ogni arte acciocchè tutti gli uomini,

volere o non volere, s' ingannino su la sua fede. Tuttavia dove troverà egli giudici tanto indulgenti che possano assolverlo d'imprudenza? E chi mai non s'ingannerebbe, vedendo la stampa del codice dedicata al nome d'una dama veronese degli Allighieri? e la prefazione diretta al Marchese Trivulzio? e un'altra parte dell' edizione al Commendatore Bartolini padrone del codice (1)? E il Commendatore, e il Marchese dovizioso di codici del poema, ed altri uomini letterati aiutarono l'editore a raffrontare il suo testo. Anzi a fine di raffrontarlo a quanti antichi esemplari a penna ed a stampa sono da vedersi nelle pubbliche librerie, l'editore ha viaggiato per mezza l'Italia. Il catalogo ch'ei ne descrisse è ricchissimo; non so se accurato; e ne dubito: tuttavia farò che sia ristampato, ed altri saprà giudicare per sè da quali e quante sorgenti vanno più sempre sgorgando varianti nuove sul testo di Dante. Parecchie delle meno assurde, com'io le veggo additate sotto ogni verso, così le noto; a pericolo degli uomini dotti che affermano d'averle spigolate ne' testi a penna sotto a' loro occhi. Nè per noiose che riescano agli altri, saranno mai troppe a quanti s'intendono di curiosità filologiche; e a' quali fors' anche parrà che tutt'altro codice, anzi quell'uno per avventura che essi posseggono, sarebbe stato più degno delle magnificenze dette, e fatte, e perdute intorno al patriarcale. Frattanto agli altri, a' quali la filologia è scienza nuovissima, e che dal poema si sperano il frutto più utile della storia singolare de' tempi dell'autore, giovi d'avere veduto come nella narrazione intorno all'esemplare decantato per simile all' autografo, non v'è circostanza che non ripugni alle epoche, a' fatti, ed agli uomini conosciuti negli An

(1) Vol. I dopo la cantica dell'Inferno.

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mali d'Italia. L'arte diplomatica (dalla quale l'arte delle ambascierie piglia il nome meritamente) s'industria, dove bisogna, d'interpretare le carte a suo beneplacito e mettere tutte le storie del genere umano a soqquadro; e ridurre le origini de regni, delle famiglie, e degli avvenimenti, e de' patti, e de' libri a date d'anni or vere or non vere, sempre acconcie all'intento. Pur quand' esce fuor degli archivii, e de' gabinetti de' principi ad avventurarsi alla stampa, le conviene o procedere con buona fede, o starsi contenta allo scherno. Quel manoscritto della Divina Commedia ricopiato da Boccaccio; e postillato dal Petrarea; e collazionato dal Bembo; e seguitato dall' Aldo; e mandato in Francia. da Buonaparte fra le spoglie più nobili della vittoria (1) -fu rimandato perchè si adori nel Vaticano. Poi n' hanno lasciato stampare una cantica; onde a' monsignori reverendissimi, custodi de' tesori letterarii di Roma, tocca oggimai di scontare la loro imprudenza, e forse anche recitare la parte del frate, che, predicando la penna delle ali dell' Agnolo Gabriello, teneva in mano carboni spenti. Alludendo poc'anzi a taluno che pur non cessa di richiamarsi all' autorità di quel codice, m'è bastato sorridere per tutta risposta (2) tanto più che dovrò ricordare le antiche edizioni, e m occorrerà di avvertire che il Bembo non legge i versi del poema come si stanno nel testo dell' Aldo o del Vaticano. Oltre di che gli editori di Padova hanno già scritto che non risponde alle citazioni delle chiose altribuite al Boccaccio; nè credono verosimile che il Boccaccio lo ricopiasse, e il Petrarca lo postillasse

(1) GINGUENE, Hist. Lit., vol. II, pag. 412, nota (2) pag. 578. (2) Vedi dietro sez. vi.

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